sabato 26 luglio 2014

Giappone 2013: terzo giorno a Tokyo (quarto giorno)


Lunedì 1 aprile:

Quando ci siamo incontrati nella hall di mattina la prima cosa che ho pensato è stata quella di risolvere il mio problema con la SIM. Ho chiesto alla reception il favore di chiamare il numero dell’helpdesk per parlare con un operatore. L’operatore per fortuna parlava inglese, questo mi ha permesso di fare una lunga chiacchierata senza tuttavia risolvere definitivamente il problema. Egli sosteneva che non era compito loro sostituire la SIM e che veniva sempre sconsigliato il taglio della stessa, proprio per il problema in oggetto. Così al termine della conversazione mi sentii sconsolato perché la società non si era presa la responsabilità del problema, proprio come avviene quotidianamente in Italia: quando c’è da onorare il diritto di un cliente la compagnia ti abbandona, tanto i soldi li ha incassati! Tuttavia raccontando la cosa ai ragazzi mi è stato suggerito di inviare un’email all’indirizzo allegato nella lettera della SIM. Diego mi spiegava che probabilmente le società erano diverse, quella che emette la SIM e una di appoggio che opera nella risoluzione dei problemi. Forse con quella email mi sarei rivolto direttamente alla società che ha ricevuto i miei soldi e di cui ero effettivamente cliente. Così tra una pausa e l’altra nel corso della giornata ho scritto l’email dove spiegavo tutte le problematiche nel caso e l’ho inviata…

Il lavoro in Giappone
C’è un elemento che colpisce parecchio della società giapponese ed è il modello lavorativo. Ho avuto modo di chiedere e di approfondire qualcosa riguardo l’argomento e ho compreso quanto essi eccedano nel lavoro. Non è solo una questione di dedizione, come tradizionalmente conosciamo questo popolo, è anche un complesso di leggi e prassi che lo elevano al di sopra di tutto. Un po’ come in America dove il lavoro è l’indice del proprio ruolo nella società anche qui (in fondo) è la stessa cosa. Il giapponese in linea di massima vive per lavorare, non si chiede più di tanto ciò che è giusto fare o meno, lo fa perché lo chiede il capo o comunque l’autorità superiore. In Italia accettiamo molte meno imposizioni, anche se l’arretramento dei diritti ad oggi sta mutando il nostro panorama. Ad esempio un giapponese ha a disposizione solo una settimana di ferie l’anno che verranno decurtate qualora si ammali. Le restanti ferie sono legate alle feste nazionali che comunque aumentano il conto dei giorni liberi ma non la pressione psicologica che viene esercitata su ognuno di essi. Per viaggiare all’estero infatti accumulano per più anni i giorni di ferie onde avere un periodo più lungo a disposizione. Di converso il lavoro è ben pagato, il reddito medio di un lavoratore si aggira attorno ai 37.000€ (questo è ciò che mi ha detto una mia amica giapponese) cui vanno aggiunti in base alle società dove si lavora dei bonus economici, l’affitto di un appartamento, l’assicurazione sulla salute e un extra alla pensione. Con tutti questi elementi viene subito da chiedersi: che razza di modello italiano stiamo sviluppando? Quando Marchionne minacciava di chiudere gli stabilimenti qualora non si fossero attuati delle modifiche ai contratti è legittimo chiedersi come il modello giapponese regga la concorrenza. In Italia, come sappiamo, l’idea di lavoro attuata dalle imprese è quella di pagare poco il lavoratore togliendo diritti, sovraccaricandolo di mansioni, riducendo il personale. Per le strade di Tokyo la percezione è esattamente opposta. I negozi sono pieni di lavoratori e commesse, in alcuni casi persino all’eccesso visti gli standard cui siamo abituati.


Un episodio che ho visto nella stazione di Shinjuku riguardava cinque lavoratori che stavano spostando un cartellone da un furgone verso l’interno della stazione. A reggere il cartellone erano in tre, di cui una persona stava davanti e l’altra dietro semplicemente a controllo dell’operazione: assurdo! Nei negozi era facile trovare commessi in attesa di un cliente o persino due persone all’ingresso di un negozio con la sola funzione di invitare i clienti ad entrare; per non parlare della commessa di un negozio di vestiti che, come se fossimo al mercato, strilla alla gente i prezzi dei prodotti. Alla reception di alcuni hotel per esempio ad ogni ora del giorno vi erano tre persone per turno. Tanto da dire scherzosamente a Diego: «Se qui ci fosse Marchionne ne avrebbe licenziati la metà! Che utilità ha quella persona? Il lavoro non potrebbe farlo uno solo invece di avere tutti questi impiegati?» La mia provocazione era legittima, ma credo nasconda una filosofia di base molto diversa rispetto l’Italia. Le aziende hanno molto a cuore il cosiddetto customer care, la cura verso i clienti. Esse fanno di tutto affinché il cliente abbia la massima efficienza, confort e qualità, nei servizi offerti. Essendo molto più grave per la fama della società un disservizio piuttosto che i conti dei dirigenti, il numero di impiegati resta alto. Ovviamente la mia è una analisi molto semplicistica e non tiene conto ad esempio dei costi sostenuti dalle aziende, e dal complesso di leggi a sostegno del lavoro che potrebbero rendere conveniente mantenere molte persone assunte.

Il Senso-Ji
Nei giorni precedenti mi ero anche prodigato per trovare un po’ di tempo per il Couchsurfing. Avevo inviato un messaggio presso il gruppo di Tokyo chiedendo ai viaggiatori o ai residenti, chi era disponibile per vederci per alcune ore. Mi aveva risposto una ragazza giapponese, Fumiko che è subito apparsa molto disponibile e intenzionata a incontrarmi. Ma lei si sarebbe liberata solo domani, mentre nel pomeriggio ci saremmo visti con Janet, una ragazza irlandese. Avendo anche lei uno smartphone avevamo avuto uno scambio di messaggi per decidere un appuntamento: alle 15 ci saremmo visti all’ingresso di una delle stazioni della metro di Tokyo. Con questo riferimento siamo andati al Sensō-Ji un tempio vicino alla stazione di Asakusa. Il tempio di per se non era nulla di particolare, forse perché c'era una folla enorme di turisti ma anche per il fatto che esso si trovava circondato dai palazzi (è anche vero che in un sito internet si sconsigliava di visitare i templi della capitale perché i più belli stanno altrove). 



Ciò che ha destato invece la nostra curiosità è stata la breve passeggiata nel lungofiume poco lontano. Lì c'erano diversi ciliegi in fiore che rendevano tipica l'atmosfera di quei luoghi. Tipica perché il ciliegio in fiore è una caratteristica del Giappone propria del periodo che stavamo visitando cioè l’hanami, la fioritura del ciliegio. La presenza dei fiori bianchi i cui petali cadevano ad ogni soffio di vento, determina una speciale atmosfera che richiama i giapponesi anche da altre città dove il ciliegio non cresce per ragioni climatiche. Molti poi amano fare dei picnic all'ombra dei sakura, i ciliegi appunto.




Successivamente ci siamo spostati verso il Palazzo Imperiale, poco lontano dall'antica stazione ferroviaria di Tokyo. Il palazzo imperiale purtroppo non è visitabile al suo interno. Ciò che resta da vedere è l'esterno e il suo giardino costituito da alberi estremamente curati in perfetto stile giapponese. Di sfondo i grattacieli della città moderna che fanno da contrasto con la loro altezza ai vasti spazi che circondano i giardini.

Alberi del palazzo imperiale
Uno degli ingressi del Palazzo Imperiale
L'ora dell'appuntamento si avvicinava, così abbiamo preso la metro giungendo proprio alla fermata di riferimento. Li ci siamo fermati in un bar e puntuali all'ora ci siamo presentati all'ingresso della metro. Nello stesso tempo è spuntata Janet. Il carattere degli irlandesi è notoriamente molto espansivo e lei non faceva eccezione. Si trovava a Tokyo per pochi giorni, giusto il tempo per visitare alcune parti della città e fare dello shopping. Non era una ragazza con cui scoprire qualcosa di nuovo o di interessante, come a volte avviene incontrando dei couchsurfer. Tuttavia quel diversivo per noi era piacevole. La sua proposta era quella di andare allo zoo a pochi passi da dove eravamo. Uno zoo di per se non è nulla di speciale, un'attrazione che si può visitare in ogni capitale che si rispetti, però vedere un panda mi ha fatto una certa impressione perché questo animale è nella mia idea solo il simbolo del WWF o una specie rara che esiste da qualche parte. La gabbia del panda era invasa da una folla di bambini che lo fotografavano e si stupivano ad ogni gesto o posizione insolita che assumeva. 
Una piccola nota divertente è stata quella di notare alcuni responsabili dello zoo all’interno di uno dei recinti eseguire dei lavori. Questi lavoratori avevano parcheggiato l’auto poco lontano, ma ciò che colpiva era il fatto che al mezzo avevano applicato i cunei blocca ruote. Ho fatto notare la cosa agli altri perché appare una esagerazione essendo l’auto su un terreno piano dove il semplice freno a mano è sufficiente. L’estrema precisione con cui operano determina persino la cura di inserire il cuneo. Sicché per scherzare dissi a Thomas: «I giapponesi sono più precisi dei tedeschi, loro vanno oltre!»
La visita è proseguita per un'oretta circa, finché Janet scusandosi ci ha detto che doveva andare via.


Il pachinko
Il resto del pomeriggio è proseguito stancamente a quell'ora mancavano le idee su cosa andare a vedere, ma c'era anche una crescente stanchezza che ci induceva a prendere tutto con molta tranquillità. Mentre, nell'intento di dirigerci nuovamente in direzione di Shinjuku, abbiamo incrociato nella nostra strada una sala giochi del pachinko. Il pachinko è un gioco con delle biglie di metallo che cascando vanno intercettate. Non abbiamo provato, anche perché non avevo tutta questa curiosità, ma dall'esterno il gioco non pareva essere indice di abilità o intelligenza. Intercettare la biglia è, forse, più che altro una questione di concentrazione. Non ho avuto un'ottima impressione di quell’ambiente anche perché nelle sale di pachinko c'è un frastuono incredibile. I giapponesi che passano il tempo sembrano svuotare la propria testa, rincoglionirsi davanti quell'aberrazione ludica… Ciò che descrive perfettamente il significato di questo gioco è una citazione di Fosco Maraini
«È difficile capire il fascino del pachinko. Non c'è dubbio che esso costituisca una fuga dalla realtà, una droga; ma solo un popolo fondamentalmente buddhista poteva accettare con gioia proprio questo specialissimo tipo di fuga. Quali sono le tecniche buddhiste per arrivare all'illuminazione? Ce ne sono varie, ma una delle principali consiste nel liberare del tutto la mente dai pensieri contingenti perché possa farvisi luce la verità. E come si ottiene questa liberazione? Ripetendo fino ad annichilire la coscienza una frase, un mantra, una breve giaculatoria. Ecco il terreno subconscio su cui il fenomeno pachinko è poi esploso.»


Di sera poi siamo andati a mangiare in un ristorante giapponese dove finalmente ho potuto gustare, nel vero senso della parola, del buon cibo di qualità. I primi giorni ci siamo limitati a qualche locale a buon mercato dove con un menù semplice si mangiava. In quel ristorante invece il livello era molto più alto, lo stile stesso era anche in linea con il minimal chic dei migliori locali di Tokyo. Abbiamo ordinato diversi piatti fidandoci dei suggerimenti di Thomas che nei menu in giapponese (in quel locale non c’era un menu in inglese e il personale non lo parlava) aveva letto alcuni piatti deliziosi. Fu anche lui a parlare col cameriere in giapponese: ah se non ci fosse stato lui, questa ulteriore immersione nella cultura giapponese non sarebbe stata mai possibile! 
Nel frattempo ci aveva raggiunti anche Eric, spuntato all’ultimo dopo aver girato per Tokyo in maniera indipendente.

I gabinetti giapponesi
Devo necessariamente aprire una parentesi divertente, anche se a molti lettori non piacerà: quello dei gabinetti giapponesi. Sembrerà bizzarro ma una delle cose più curiose che mi aspettavo di vedere in Giappone erano proprio i gabinetti elettronici. In tutti i bagni degli hotel o dei locali pubblici ho riscontrato un’ampia diffusione di questi gabinetti muniti a lato di una sorta di bracciolo dove si comandano alcune funzioni specifiche. In base ai modelli e alla loro complessità il gabinetto possiede persino la tavoletta riscaldata e il bidè. Quando si è seduti è possibile comandare questa funzione e far spuntare dal basso uno spruzzino che emette un getto di acqua regolabile in intensità e persino riscaldato per fare il bidè. Questa funzione sembra essere quasi necessaria viste le dimensioni ridotte delle abitazioni giapponesi. Tale oggetto in Europa e in America non esiste, forse perché nessuna ditta ha immaginato un tale grado di integrazione. 
Scherzosamente ci siamo confrontati con i miei compagni di viaggio su questa cosa quando Diego, tornando dalla toilette del ristorante, si era stupito di quanto aveva visto. Aprendo la porta il gabinetto automaticamente, alla presenza di una persona, ha alzato il coperchio mostrando il fondo illuminato a led azzurri. Quel modello rispetto a molti altri riscontrati era molto più evoluto. In Giappone infatti quasi tutti i bagni hanno questo tipo di gabinetto “elettronico” ed è raro trovarne uno “normale”. Thomas addirittura aggiungeva che alcune coppie di giapponesi in Germania avrebbero voluto acquistare questo prodotto per la loro casa, ma purtroppo non esiste un mercato al di fuori del Giappone, salvo qualche paese asiatico…


Dopo cena ho avuto modo di scaricare l’email grazie a Thomas e di sapere che la compagnia telefonica mi aveva risposto chiedendomi dove inviare la nuova SIM. Avendo a disposizione solo l’intero giorno di domani a Tokyo ho risposto, poco prima di andare a dormire, dando l’indirizzo dell’hotel e la richiesta di inviarlo per tempo entro l’indomani. I tempi mi sembravano stretti, invece l’efficienza giapponese permetteva tranquillamente questa possibilità! Questo messaggio mi aveva rasserenato, ma soprattutto mi aveva fatto rivalutare l’indubbia efficienza giapponese.

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