Visualizzazione post con etichetta Astronomia. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Astronomia. Mostra tutti i post

giovedì 27 ottobre 2011

I cinesi


L’antica astronomia cinese è famosa soprattutto per le assidue osservazioni astronomiche condotte sin dal 2000 a.C: esiste ad esempio la registrazione di una eclissi di sole risalente al 1217 a.C! I cinesi osservarono e documentarono fenomeni come: passaggi di comete, macchie solari e persino l’esplosione della “supernova del Granchio” del 1054; questo fenomeno divenne particolarmente evidente per 23 giorni, quando apparve una stella luminosissima visibile anche di giorno. Nel trattato astronomico cinese Sung-shib, cioè “Storia della dinastia Sung” si legge infatti: «Una stella ospite è apparsa a sud-est di Tien-kuan [la stella zeta Tauri nella costellazione del Toro]. Dopo più di un anno è scomparsa a poco a poco.» Rispetto ai popoli europei i cinesi documentarono tutti gli eventi astronomici osservabili mantenendo un certo rigore descrittivo, per questa ragione grazie agli antichi testi è possibile oggi avere un buon riscontro in merito ad eventi poco documentati presso altre culture.


Crearono un calendario lunisolare di 360 giorni cui venivano aggiunti 5 giorni epagomeni*. Il primo giorno dell’anno cinese veniva identificato col solstizio d’inverno, quando le ombre proiettate dagli gnomoni al mezzogiorno raggiungevano la massima lunghezza.
Nella cosmologia cinese l’Universo aveva la forma di un carro, con la Terra come sfondo e il cielo come baldacchino. La Terra a sua volta era circondata da quattro mari che la separavano da una terra abitata dalle divinità. La volta celeste era sostenuta da otto pilastri altissimi che affondavano le loro basi ai confini del mondo. Secondo la tradizione a causa di un’antica catastrofe uno dei pilastri s’era rotto inclinando il cielo verso il pilastro più basso, in questo modo le stelle non essendo più in posizione di equilibrio cominciarono a ruotare.


*Giorni epagomeni: giorni di calendario che si aggiungono in determinati anni.

domenica 25 settembre 2011

Gli egiziani

 
La civiltà egiziana sorta intorno al 3300 a.C. si sviluppò grazie all’influenza delle diverse dinastie di faraoni che ne caratterizzarono l’arte e la cultura. Essendo l’economia egiziana di sussistenza fortemente legata alle periodiche alluvioni del fiume Nilo, la costruzione dei calendari egiziani ne risulta fortemente legata proprio per permettere di individuare i periodi e organizzare così il lavoro. La ciclicità delle alluvioni infatti veniva conteggiata secondo il calcolo di 11 o 13 lunazioni, conteggio che mutò nel primo apparire annuo della stella Sirio (“Sopdet”). Con questo principio nacque il primo calendario egizio detto lunare di 354 giorni con mesi di 29 o 30 giorni. Successivamente, avendo riscontrato vistose discrepanze nelle osservazioni, venne introdotto un secondo calendario chiamato calendario civile composto da mesi di 30 giorni più 5 giorni aggiunti nel corso dell’anno, onde raggiungere il conteggio finale di 365 giorni. Ma anche questo calendario mostrava delle discrepanze così fu introdotto un ultimo calendario, molto più preciso, che presentava un ciclo di 25 anni cui si aggiungeva un mese intercalare nel 1°, 3°, 6°, 9°, 12°, 14°, 17°, 20°, e 23° anno di ogni ciclo. Questo calendario, proprio per la sua precisione, venne introdotto nel II sec. d.C. e utilizzato sino ai tempi di Copernico; esso aveva sempre una divisione in mesi di 30 giorni, a sua volta divisi in “settimane” di 10 giorni e in tre grandi stagioni chiamate: mesi dell’inondazione, mesi della germinazione e mesi del raccolto
 
Zodiaco di Dendera

Per il calcolo delle ore sin dal 3000 a.C. gli egiziani avevano in uso la divisione del tempo in dodici ore diurne e notturne: per le ore diurne scandivano agevolmente il tempo attraverso le meridiane, mentre per le ore notturne utilizzavano la posizione di 24 stelle di riferimento nel cielo. L’imprecisione del metodo determinava una scansione del tempo differente tra giorno e notte soprattutto in base alle stagioni (e dunque alle stelle di riferimento). Per ovviare a ciò e rendere il conteggio più accurato vennero introdotti successivamente i decani, ovvero 36 stelle che consentivano una determinazione più precisa delle ore notturne.

giovedì 8 settembre 2011

Le civiltà mesopotamiche


I primi segnali di una civiltà ben sviluppata nella regione dell'attuale Iraq, tra i fiumi Tigri ed Eufrate, si hanno intorno al 2700 a.C. con gli insediamenti Sumeri, popolo che trovò il suo sviluppò politico e culturale sino al 2000 a.C. quando cadde sotto il dominio dei Babilonesi. Ma la storia dell'intera regione sarà poi dominata da altri popoli come gli Assiri ed i Caldei che arricchiranno ulteriormente le già vaste conoscenze astronomiche nella regione. La spinta allo studio dell'astronomia non proveniva solo dalla necessità di dotarsi di un buon calendario su cui fare riferimento (un problema importante per tutti i popoli antichi), ma dalla convinzione che i pianeti fossero gli “interpreti” del volere delle divinità sugli uomini; infatti erano gli stessi sovrani a richiedere le previsioni astrologiche agli astronomi di corte. Pur non avendo ancora a disposizione strumenti precisi intuirono il moto apparente dei pianeti basandosi sulla posizione di alcune stelle di riferimento nel cielo. Scoprirono anche i periodi sinodici di Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno, inoltre applicando complesse formule matematiche, riuscivano a prevedere le eclissi di sole e di luna ritenuti eventi infausti. Introdussero anche gli almanacchi astronomici per predire la posizione nel cielo dei pianeti e il loro moto. Su altri testi si evincono inoltre due versioni nella previsione del moto del Sole e dei pianeti sviluppata dall'astronomo e matematico babilonese Kidinnu (400 a.C. – 330 a.C. circa); la prima definita “sistema A” che assume un certo valore alla velocità apparente del Sole lungo alcune parti l'eclittica e un valore minore per altre. Nel “sistema B” invece la velocità è considerata più realisticamente con una progressiva variazione nel tempo, da un picco massimo ad un minimo. Questo concetto di variazione della velocità del moto lungo l'eclittica dimostra quanto fosse avanzata a quel tempo l'astronomia, nei secoli successivi infatti il concetto di variazione della velocità orbitale della terra verrà “dimenticata” sino all'introduzione delle Leggi di Keplero nel 1600. Negli antichi testi Goal-Year si parla anche del ripetersi periodico delle posizioni di Sole, Terra e Luna, cioè che ogni 223 lunazioni (18,10 anni) le eclissi si ripetono con uguale frequenza, fenomeno che prende il nome di ciclo di Saros.

Tavoletta con calcoli matematici

Grazie alla loro grande abilità nei calcoli matematici (inventarono persino l'algebra), riuscirono a determinare la durata del mese sinodico della luna con errori di 30 secondi d'arco in 5000 lunazioni: un valore di grande precisione se rapportato agli strumenti dell'epoca. Ma non solo, osservando il diametro apparente della Luna nel corso delle varie orbite scoprirono che la misura variava fra i 29' 30" e i 34' 16", valori sorprendentemente precisi se confrontati a quelli attualmente misurati di 29' 30" e 32' 55".

La loro grande abilità nello studio del cielo li portò ad identificare la fascia dello zodiaco e dell'eclittica, l’eclittica a sua volta venne divisa in 360 parti introducendo l'attuale sistema sessagesimale per il calcolo dei gradi. Furono i primi a dividere il giorno in 24 ore, facendo iniziare il conteggio del giorno dalla sera e ogni mese dopo ogni novilunio, conteggiando il primo giorno dell'anno subito dopo il plenilunio di primavera. Il calendario era diviso in 12 mesi lunari di 29 e 30 giorni, diviso a sua volta in settimane. Tuttavia per quanto fossero abili nella previsione degli eventi astronomici il loro calendario mostrava vistose imperfezioni, necessitando periodiche correzioni tramite l'aggiunta di mesi epagomeni. La correzione avveniva quando, in base all'osservazione di alcune stelle di riferimento, gli astrologi riscontravano uno scostamento eccessivo rispetto la posizione reale dell'orbita terrestre. Ma dal 499 a.C., quando venne introdotto il ciclo di 19 anni con cui venivano aggiunti 7 mesi intercalari distribuiti nel tempo, il calendario abbandonò il sistema incerto dei mesi epagomeni per uno finalmente programmato.

Molte delle nostre conoscenze riguardo le civiltà mesopotamiche derivano dalle tavolette a caratteri cuneiformi ritrovate in svariati siti archeologici. In particolar modo nella tavola 63 dell'Enuma Anu Enlil vi è una lista di presagi a carattere astrologico, nel Mul.Apin, un antico catalogo del cielo risalente al 1400 a.C., sono contenute le previsioni di levata delle costellazioni e le relative stelle; infine nelle tavolette di Venere di Ammi Saduqa sono riportate le osservazioni del pianeta e il suo grado di visibilità per un periodo di 21 anni.

Cosmologia sumera
Assai interessante risulta essere anche la cosmologia sumerica riguardante l'origine del mondo. Secondo la leggenda esso nacque dal mare primordiale tramite la dea Nammu da cui fu generata anche la Montagna Cosmica che comprendeva An il Cielo e Ki (o Enki) la Terra. Questi due elementi erano dapprima uniti e solo dopo la generazione di Enlil, l'Aria, avvenne la separazione tra cielo e terra. L'universo così creato era immaginato come una sfera divisa in due emisferi, nell'emisfero superiore vi era il cielo e in quello inferiore gli inferi; i due emisferi erano separati da un disco di acqua dolce su cui galleggiava la Terra.

venerdì 26 agosto 2011

Le origini dell'astronomia

Stonehenge

 Sin dagli albori della civiltà l’uomo ha sentito l’esigenza di conoscere il mondo circostante e di comprenderne i processi che lo regolano; la conoscenza dei moti del sole, della luna, e dei pianeti ha destato particolare interesse sia per approfondire primitive convinzioni astrologico-rituali, sia per determinate il calendario e prevedere eventi astronomici quali eclissi ed equinozi.

Secondo alcuni studiosi la costellazione dell’Orsa Maggiore era già nota agli uomini vissuti 40-50.000 anni fa: lo dimostra l’esistenza di un culto legato ad essa. Le costellazioni infatti sono il primo riferimento nel cielo, con cui l’uomo ha unito scienza e mitologia. Questo antico legame è anche testimoniato dalle costruzioni megalitiche come il famosissimo monumento di Stonehenge, e le molteplici costruzioni sparse in tutto il mondo. La maggior parte di esse mostrano precisi allineamenti in base a determinati periodi dell’anno come gli equinozi e i solstizi, o persino la capacità di prevedere la posizione delle eclissi, svelando uno stupefacente grado di precisione. L’astronomia quindi fa parte dell’uomo, essa è la scienza con cui ha cercato la sua collocazione nell’Universo.

martedì 16 agosto 2011

Isaac Newton



Nacque il 25 dicembre 1642, presso il borgo di Woolsthorpe a sud di Grantham una città vicino Nottingam; da Isaac Newton e Hannah Ayscough. Il padre morì tre mesi prima della sua nascita a soli 37 anni.

Isaac nacque prematuro, piccolo e gracile. La madre due anni più tardi si risposò con il reverendo Barnabas Smith, rettore di una parrocchia a due chilometri da Woolsthorpe. Così il piccolo Newton fu affidato alla nonna materna e allo zio, la madre Hannah andò ad abitare col nuovo marito.

A 12 anni Isaac frequentò la scuola superiore di Grantham alloggiando presso una famiglia di farmacisti, i Clark, cominciando i primi studi di chimica e leggendo nella soffitta molti libri. A scuola gracile come era, spesso si allontanava dagli altri ragazzi che lo prendevano in giro per il suo fisico, e spesso stava in disparte a meditare. Aveva anche una passione per i giocattoli meccanici che inventava e costruiva lui stesso. Questa passione lo occupava tanto che spesso tralasciava gli studi, riprendendoli alcuni mesi dopo, rimettendosi allo stesso livello dei compagni nello stupore dei maestri. Inventò anche un orologio ad acqua che sfruttando il dislivello tra due recipienti consentiva di leggere l'ora su un galleggiante alimentato dal serbatoio superiore. In quegli anni fece molte altre esperienze, costruì un aquilone con il quale vi attaccava una lanterna per terrorizzare i contadini, osservava il moto delle ombre sui muri e in pochi anni costruì un quadrante solare.

Nel 1656 morì anche il secondo marito di Hannah, la quale rimasta sola volle Isaac con sé nella vecchia casa di Woolsthorpe. Così a 16 anni ma la madre lo indirizzò al lavoro nelle terre di famiglia, al bestiame e ai raccolti; ma pur con tutta la buona volontà Isaac non ne era predisposto, tanto da lavorare male e disinteressatamente, pensando solo ai suoi libri e ai suoi complicati meccanismi. Così, consigliata da Mr Stokes direttore della scuola superiore di Grantham, decise di fargli proseguire gli studi per prepararlo all'ammissione all'università. Newton quindi ritornò presso i Clarke per studiare.

Nel 1660 a 18 anni passò l'esame di ammissione al Trinity College di Cambridge. Iniziò a studiare tutte le materie come: la matematica e la geometria per la quale lesse gli Elementi di Euclide accantonandoli poco dopo e trovandoli eccessivamente facili. Preferì quindi dedicarsi alla lettura della Geometria di Descartes.

All'università il suo professore Isaac Barrow, gli diede le prime nozioni di matematica. Fu particolarmente attratto dalle lezioni matematico-geometriche di Descartes detto Cartesio, il quale a quel tempo aveva appena scoperto le applicazioni delle equazioni algebriche alle curve, e a superfici di geometria classica. Apprese anche tutte le nuove tecniche di calcolo algebrico e trigonometrico, conoscenze importanti per le sue future scoperte.

Nel gennaio 1665 Newton si laureò. Ma la peste che per parecchi anni fece stragi in Europa arrivando anche in Inghilterra, e per questa ragione l'università fu chiusa; così tornò nella casa di Woolsthorpe ove trascorse due anni meditando e lavorando a nuove idee. Questi due anni furono i più fecondi per lui, infatti, compì numerosi studi e scoprì molte applicazioni matematiche come: un metodo generale per risolvere le proprietà delle linee curve e delle aree ad essi delimitate, nonché la formula del teorema del binomio per la somma di due termini elevati a potenza frazionaria positiva o negativa. Importante è senza dubbio la scoperta del calcolo delle flussioni ossia il calcolo differenziale e integrale. Questa scoperta apparve nella sua prima monografia il 20 maggio 1665, un'importante data, perché da allora iniziò una lunga controversia con Leibniz (1646-1716) sulla potestà della scoperta. Newton usava spesso iniziare dei lavori e poi accantonarli per diversi anni. E così fece per il metodo delle flussioni, riprese le stesse formule quando Leibniz, un grande filo-sofo e matematico tedesco, scoprì appunto questo metodo indubbiamente migliorato rispetto a quello che presentava Newton. Lo scontro fu molto duro, tra i due non correva buon sangue e per anni i loro allievi difendevano l'uno o l'altro maestro. Newton e Leibniz infatti non si riconciliarono mai proprio per questa controversia. Resta da dire che di chiunque sia la paternità della scoperta rimane sempre un notevole passo in avanti dal punto di vista matematico. Parte proprio da questo secolo la base per lo sviluppo della moderna matematica.

Il telescopio newtoniano
Il biennio 1665-66 come ho già detto, fu per Newton un periodo particolarmente fecondo, oltre alle suddette scoperte c'é da annoverare i suoi studi sull'ottica e sulla luce. In quegli anni iniziò l'interesse per i telescopi, appena inventati da Galileo nel 1616 e successivamente perfezionati da Huygens e Descartes. I primi telescopi risalgono proprio a quel secolo in cui era evidente il difetto dell'aberrazione cromatica per tutte le ottiche a rifrazione, comportando diversi fuochi per ogni colore dello spettro. Newton allora dopo essersi per lungo tempo dedicato al taglio e alla costruzione di lenti per telescopi, abbandonò gli esperimenti per dedicarsi allo studio dei telescopi riflettori, che esistevano già prima dello scienziato. I primi passi infatti erano cominciati con James Gregory, il quale aveva pensato già a uno specchio concavo per raccogliere la luce e mandarla a uno specchio secondario. Ma dei suoi studi non realizzò nulla. Invece Cassegrain nel 1668 realizzò la celebre configurazione ottica, da ciò Newton pensò di costruire un telescopio sullo stesso principio, ma con uno specchio secondario inclinato a 45° in modo da spostare il fuoco al lato del tubo. Da allora è nato il moderno telescopio Newtoniano che risolve molti problemi ottici e agevola la raccolta della debole luce delle stelle. La costruzione del primo modello avvenne un anno dopo, avendo studiato e lavorato lui stesso allo specchio nei suoi laboratori. In una lettera del 23 febbraio 1669 scriveva:« ...penso che sia più di quanto possa fare qualsiasi cannocchiale da sei piedi - aggiungendo - Ma, tenendo conto del cattivo materiale adoperato e della mancanza di una buona levigazione, esso non rappresenta gli oggetti altrettanto distintamente di un cannocchiale da sei piedi. Darà tuttavia la possibilità di fare altrettante scoperte che un cannocchiale di tre o quattro piedi, soprattutto trattandosi di oggetti luminosi. Con questo strumento ho visto distintamente il disco di Giove, i suoi satelliti e la falce di Venere». Infine quasi sconsolato concludeva: «Sono persuaso che un cannocchiale normale, anche se costruito con una lente purissima, perfettamente levigata, secondo la migliore forma fino a oggi calcolata, o calcolabile in futuro, da un qualsiasi scienziato potrà essere di poco superiore a un cannocchiale meno perfetto della stessa lunghezza. E benché questa affermazione possa sembrare paradossale, non è che la naturale conseguenza di un certo numero di esperimenti da me fatti, relativi alla natura della luce».

L'11 febbraio 1671 Newton presentava il suo nuovo modello di telescopio ai soci della Royal Society. La società nacque ufficialmente il 15 luglio 1662 e composta inizialmente da cinquantadue soci. Così alla presentazione del telescopio il giovane Newton, con tutte le carte in regola, entrò ufficialmente nella nuova associazione. Huygens (1629-1695) ebbe l'incarico di assicurare e proteggere i diritti di proprietà del telescopio, in previsione della presentazione ufficiale nel continente.
Interessante è una lettera di Huygens a Oldenburg segretario della Royal Society del 1° gennaio 1672: «Mi faccio premura di spiegarle l'invenzione del nuovo telescopio del signor Isaac Newton, professore di matematica a Cambridge. Tutto quello che posso dirle per ora è che dal primo esperimento da noi esaminato risulta che, confrontando le due immagini, l'oggetto rappresentato dal telescopio di circa 6 pollici, è 9 volte più grande di quello rappresentato da un normale telescopio di 25 pollici. L'operazione avviene mediante due riflessioni, la prima riflette l'oggetto da un concavo metalinizzato ad uno specchio piano pure metalinizzato, l'altra da questo specchio ad una piccola lente oculare piano convessa che rinvia l'oggetto all'occhio rappresentandolo senza alcun colore e molto distintamente in tutte le sue parti.» Il 15 gennaio: «Le saremo grati se vorrà inviarci la sua opinione. Con un simile telescopio probabilmente non sarà facile trovare nè gli oggetti nè una sostanza riflettente che possa conservarsi nitida. Riteniamo però di poter trovare degli espedienti per ambedue i casi.»

Nei famosi anni di pausa Newton oltre ai suddetti esperimenti iniziò i suoi studi sull'ottica che ben presto sfociarono nel telescopio a riflessione e che continuarono nel 1669 con esperimenti sulla luce; agevolati dal fatto che il suo grande maestro Isaac Barrow abbandonò la cattedra di Cambridge per cederla successivamente al suo allievo. Così facendo Newton aveva la sicura rendita economica e poteva tranquillamente dedicarsi ai suoi studi; infatti doveva tenere un corso settimanale, più due lezioni per altri studenti, potendosi gestire gli argomenti da trattare tra fisica e matematica. Inoltre per gratitudine nei confronti della Royal Society che lo aveva associato, presentò una monografia sui suoi esperimenti della luce, i Philosophical Transactions; l'opera, indubbiamente un passo importante nella storia della fisica moderna oltre ad essere un valido testo di ottica, ebbe una grande risonanza sui contemporanei di Newton. La Royal Society così decise di ringraziare solennemente Newton con la pubblicazione. Per regolamento interno una commissione della Society doveva giudicarne il valore, Robert Hooke (1635-1702) era uno di quelli, il quale con tono critico, non condivise molte teorie. Hooke non era convinto della scomposizione dei colori da parte della luce bianca, nonché della teoria sul fenomeno dei colori. Anche Huygens lesse l'opera e criticò la teoria corpuscolare che Newton sosteneva, egli infatti era propenso per la teoria ondulatoria della luce. Ma Huygens non aveva inteso profondamente il senso dei suoi esperimenti e in alcuni casi gettò critiche eccessive, tanto che Newton dichiarò che Huygens fosse incapace di giudicare la sua opera. Le altre critiche ricevute successivamente da altri scienziati lo fecero decidere di abbandonare la carriera di scienziato. Ma le critiche non finivano solo lì, perché anche Hooke si mise contro. Egli era un importante scienziato dell'epoca, fece molte osservazioni col microscopio di sua invenzione, pubblicando Micrographia. In effetti conosceva bene l'ottica e i princìpi delle combinazioni tra lenti, sostenendo la teoria ondulatoria della luce.
Forse chi aumentò molto la controversia tra Hooke e Newton fu Oldenburg acerrimo nemico del primo, il quale difese Newton accentuado la controversia. E Newton per far capire il senso vero di ciò che affermava nel trattato, scrisse molte lettere a Hooke chiarendo il vago senso delle parole. Nel 1675 scrisse alla Royal Society un manoscritto Ipotesi per spiegare le proprietà della luce, parlando degli esperimenti condotti sui colori prodotti da lamine sottili. Ma Hooke rivendicò la sua priorità della scoperta citata anche nella Micrographia. Da allora Newton non mandò più nulla alla Society. Solo nel 1704 un anno dopo la morte di Hooke pubblicò il Trattato d'ottica sulle riflessioni, rifrazioni e colori della luce. Poi nel 1717 aggiunse nella seconda edizione dell'Ottica trentuno questioni sulla luce. Indubbiamente un libro che aprì molte porte a nuove conoscenze e teorie sulla natura della luce, nonché sulla fisica delle lenti.

Ma le scoperte e le discordie non finiscono qui, infatti anche per quanto riguarda la scoperta della gravitazione universale già da anni iniziavano i dibattiti sulla natura del movimento e di tutta la meccanica celeste. Dopo le tre famose leggi sul movimento dei corpi celesti di Keplero. Sarà Newton a dare certezza matematica anche se da tempo si affermava la medesima cosa ma in maniera empirica. Perché Gassendi credeva che la gravità fosse creata dall'attrazione della Terra. Nonché Hooke, diceva che esisteva una forza gravitazionale decrescente all'aumentare della distanza del pianeta dal Sole.
Nel famoso biennio 1665-66 inizia la prima idea della gravitazione: «Ero allora all'apice della forza creatrice, e non provai mai più una tale passione per la filosofia». Fu poi Voltaire a rendere famoso quel racconto sulla scoperta della gravitazione, ovvero la caduta di una mela dall'albero con la quale suppose l'origine del fenomeno della gravità.

Una volta assimilata la convinzione che la gravità ha certe caratteristiche, Newton cercò di trovarne una formula matematica per spiegare il fenomeno. Il suo ragionamento partì dalle leggi di Keplero, che affermando come un corpo ruoti attorno al sole in orbite ellittiche, ne deduce che ciò debba avvenire con un equilibrio di forze; una centripeta e l'altra centrifuga. Ma poiché non riusciva a calcolare la forza centrifuga di un ellisse paragonò l'orbita a un cerchio, calcolò così la forza e capì che è inversamente proporzionale al quadrato della distanza: aveva scoperto la legge di gravitazione universale e senza rendersi conto dell'importanza la accantonò per anni.

In questo periodo tutti sapevano che Newton aveva abbandonato gli studi della filosofia e precisamente dopo la polemica con Hooke riguardo il suo trattato di ottica. Sembrava anche che tra i due le acque si fossero calmate, quando Hooke che allora era diventato segretario della Royal Society chiese a Newton alcuni commenti riguardo persone esperte che potessero misurare la differenza di latitudine tra Londra e Cambridge. Egli rispose di non conoscerne e di non dedicarsi più alla filosofia. Ma in realtà Newton aveva appena deciso di riprendere le idee sulla gravitazione, ma non voleva comunicarle a nessuno. Fu Halley (1656-1742) membro anch'egli della Society il quale non era del tutto daccordo con le idee di Hooke, che andò a trovare Newton per sapere di più sui suoi studi precedenti riguardo la gravitazione. Newton diede delle sue ipotesi che piacquero tanto a Halley da convincerlo a pubblicare un opera, il De Motu corporum, parlando dei tanti problemi riguardo il movimento dei pianeti. Ma solo nel 1687 Newton si convinse a scrivere la sua più grande opera, Philosophiae naturalis Principia mathematica. L'opera è composta di tre libri. Il primo libro inizia riportando definizioni o leggi sul movimento.           

IV Definizione: La forza impressa è l'azione mediante la quale lo stato del corpo si cambia, sia che si tratti di stato di riposo sia di movimento rettilineo uniforme.

V Definizione: Si chiama forza centripeta quella forza che fa tendere i corpi verso un punto determinato, per esempio verso un centro, sia che siano attratti o spinti verso questo punto o che vi tendano in un modo qualunque. Un proiettile non ricadrebbe verso terra se non fosse mosso dalla forza di gravità, ma se ne andrebbe in linea retta verso i cieli con un movimento uniforme, se la resistenza dell'aria fosse nulla. E' dunque la gravità che lo devia dalla linea retta e che lo flette continuamente verso la terra. La traiettoria si flette più o meno, asseconda della gravità e delle velocità del movimento del proiettile. Per la stessa ragione di un proiettile che girasse attorno alla terra per la forza di gravità, anche la Luna per la sua forza di gravità (supposto che essa graviti) o per qualsiasi altra forza che la porti verso terra, potrebbe essere deviata a ogni istante dalla linea retta per avvicinarsi alla terra ed essere costretta a muoversi secondo una linea curva, e senza tale forza non potrebbe essere trattenuta nella sua orbita.
Il libro prosegue enunciato le tre leggi generali del moto. La legge d'inerzia: Ogni corpo persevera nello stato di riposo o di moto in linea retta uniforme nel quale si trova, a meno che qualche forza non agisca su di esso e non costringa a cambiare stato.
La legge della forza: La forza è uguale al prodotto della sua massa per l'accelerazione impressagli.
La legge di azione e reazione: L'azione è sempre uguale ed opposta alla reazione: vale a dire che le azioni dei due corpi, l'uno sull'altro, sono sempre uguali e in direzioni contrarie.



Il secondo libro parla del moto dei corpi, accenna alla teoria della resistenza dei fluidi, parla delle resistenze opposte dall'aria con i pendoli e la traiettoria di un proiettile. Sviluppa considerazioni sulla velocità di propagazione delle onde, sulla natura corpuscolare della luce e studi di idrodinamica e idrostatica.

Nel terzo libro Newton parla del sistema del mondo, del movimento dei pianeti, e confermando le leggi di Keplero, calcola la massa del sole, determina la densità con un errore del 10%. Parla della precessione degli equinozi come un moto di 26000 anni. Spiega in maniera definitiva la teoria delle maree come moto causato dall'attrazione della luna e del sole, descrive il moto delle comete come parabole attorno al sole. E conclude il libro con quattro importanti affermazioni e consigli che uno scienziato deve tenere in considerazione:
  1. Bisogna ammettere soltanto le cause necessarie per spiegare i Fenomeni.
  2. Gli effetti dello stesso genere devono sempre essere attribuiti, per quanto è possibile, alla stessa causa.
  3. La qualità dei corpi non suscettibili di aumento o di diminuzione e appartenenti a tutti i corpi sui quali si possono fare degli esperimenti, devono essere considerate come appartenenti a tutti i corpi in generale.
  4. Nella Filosofia sperimentale le proporzioni, tratte dai fenomeni per induzione, devono essere considerate, malgrado le ipotesi contrarie, come esatte o quasi vere, fino a che qualche altro feno-meno confermi la loro veridicità o dimostri che sono soggette a eccezioni.
I Principia furono pubblicati da Halley che curò i rapporti con l'editore. Il 23 maggio 1686 scrisse: «I membri della Royal Society, ai quali il dottor Vincent presentò il 28 scorso l'incomparabile trattato Philosophiae naturalis Principia mathematica da lei scritto e a loro dedicato, furono talmente sensibili a questo onore che si sono affrettati a rivolgerle i loro calorosi ringraziamenti, decidendo inoltre di convocare un consiglio per deliberare la pubblicazione dell'opera. Ma data l'assenza del presidente, in servizio presso il re, e dei vice presidenti che il bel tempo aveva allontanato dalla città, il consiglio non si è ancora riunito per prendere le decisioni necessarie.[...] La devo inoltre informare che il signor Hooke pretende di essere l'autore della scoperta della legge della gravità decrescente, inversamente proporzionale al quadrato delle distanze dal centro. Afferma che Ella gli è debitore dell'idea, benché riconosca che la conseguente dimostrazione delle curve è opera sua. Ella sa come stanno le cose esattamente, e come bisogna affrontare il problema, ma sembra che il signor Hooke pensi che nella prefazione, qualora Ella abbia l'intenzione di scriverla, debba essere citato il suo nome. Voglia perdonarmi se le dico tutto ciò, ma ritengo mio dovere informanla, perchè possa agire di conseguenza. Sono persuaso infatti che dalla parte di una persona che non ha certo bisogno di usurpare la fama altrui, non ci si possa aspettare che la più completa sincerità. La pubblicazione inizierà non appena Ella mi avrà fatto conoscere le sue decisioni, perciò la prego ancora una volta di farmele avere il più presto possibile».

Nel 1687, in Inghilterra spirava un periodo di relativo fervore in quanto era cambiato il re, Giacomo II aveva lasciato il posto a Carlo II. Questo complicò le cose per l'università di Cambridge, poiché fu introdotta la legge che vietava l'accesso dei non anglicani alle cariche pubbliche e alle università. Da qui nacque una grave crisi che sfociò in una rivoluzione nel 1688. Newton era ancora intento alla revisione dei Principia, e non si occupava di politica. Ma proprio in quegli anni l'università lo elesse rappresentante al parlamento per sbloccare la situazione e fare gli interessi degli scienziati. Così in questo periodo inizia per lui una fase ove abbandona gli studi scientifici per dedicarsi di più alla teologia, alle discussioni sulla trinità ecc. Tra l'altro conobbe il filosofo Locke con il quale strinse un'intima amicizia. Poi perse anche la madre, fu un duro colpo che lo portò nel 1693 a un periodo di pazzia o eccessivo esaurimento nervoso. Solo con l'affetto dei suoi amici riuscì ad uscire da questa grave crisi.

Il 19 marzo 1696 il suo amico Montague diventato ministro delle finanze lo nominò amministratore generale della zecca. Con questo incarico Newton potè disporre di maggior tempo libero e di un ottimo stipendio, si trasferì a Londra ma conservò il posto all'università. La sua nomina fu davvero essenziale. A quel tempo la moneta inglese era in balìa del caos, perchè era priva di una forgiatura anti falsari. Capitava spesso di contrabbandare monete false e di riprodurle, così per ovviare a questo enorme problema Newton fece coniare le nuove monete, ne rivoluzionò la forma, introdusse la zigrinatura e ammodernizzò la stampa. Questo cambiamento è alla base dell'ordina-mento monetario moderno dell'inghilterra.

Il 10 dicembre 1701 si dimise dalla cattedra dell'università, e il 30 novembre 1703 fu eletto presidente della Royal Society. La carica la conservò sino alla fine. Nei suoi ultimi anni di vita si interessò molto di teologia, scrisse anche delle opere teologiche, e curò l'interpretazione delle Sacre Scritture nelle parti inerenti l'Apocalisse e le profezie di Daniele: «Questa ammirevole disposizione del sole, dei pianeti e delle comete non può essere che l'opera di un essere onnipotente e intelligente. E se ogni stella fissa è il centro di un sistema simile al nostro, è certo che tutto deve essere soggetto a un solo e medesimo Essere, dato che esso porta l'impronta di uno stesso disegno, perchè la luce che si scambiano reciproca-mente il sole e le stelle fisse è della stessa natura, Inoltre colui che ha organizzato questo universo, ha collocato le stelle fisse a una immensa distanza la une dalle altre, per timore che questi globi non cadessero gli uni sugli altri, per la loro forza di gravità. Questo Essere infinito governa tutto, non come anima del mondo, ma come Signore di tutte le cose. E per questo suo dominio, il Signore Iddio si chiama Signore Universale. Perchè la parola Dio è una parola relativa che si riferisce ai suoi servitori; e si deve intendere per divinità colui che possiede la potenza suprema non soltanto sugli esseri materiali, come pensano coloro che considerano Dio unicamente come anima del mondo, ma anche sugli esseri pensanti a lui soggetti. L'altissimo è un essere  infinito, eterno, perfet-tissimo: ma un essere, per quanto perfetto, che non possedesse il dominio, non sarebbe Dio.»

Negli ultimi anni della sua vita Newton si ammalò di polmonite, che gli diede problemi per molti anni finché il 20 marzo 1727 morì a 85 anni. Fu seppellito a Westminster ove nella tomba vi si trova scritto: «Si rallegrino i mortali che sia esistito un tale e così grande onore del genere umano».
         
In vita ricordiamo alcune opere importanti:

1668 Tractatus de quadratura curvarum
1684 Del moto
1687 Philosophiae naturalis Principia mathematica
1704 Ottica: o trattato della riflessione, inflessione e colori della luce
1707 Aritmetica universale
1712 Teoria delle curve di terzo ordine
1736 Metodo delle flussioni e delle serie infinite.
   
Newton segna il passo decisivo nei confronti della separazione netta nata da Galileo, tra scienza dimostrata e filosofia empirica. Il mondo e le sue leggi vanno discusse e dimostrate, egli fece così per tutte le sue scoperte, vedi la gravitazione e le infinite applicazioni della fisica. Egli fu l'ultimo grande uomo che riuscì a scoprire e studiare in diversi campi. Da allora la scienza è progredita così tanto che un uomo non può avere tali conoscenze specifiche in materie diverse. Alla base della meccanica celeste e della fisica classica c'é Newton. Grazie alla sua genialità nacque il telescopio Newtoniano, e sempre grazie a lui il mondo conosce le tre leggi del moto, altre dell'ottica dell'idrodinamica della fisica e anche della filosofia. Newton è un mondo da scoprire, un universo da esplorare, colui che genialmente ha rivoluzionato il sapere del 600. Non fu un grande astronomo, ma diede un enorme contributo all'astronomia non solo con la legge universale!  

giovedì 14 luglio 2011

Galileo Galilei

Galileo Galilei nacque a Pisa nel 1564. Ricevette da adolescente una buona educazione letteraria e culturale. Sin dall'inizio si dimostrò interessato alla matematica e all'interesse scientifico. Avviato quindi agli studi matematici, ancora studente scoprì la legge dell'isocronismo del pendolo e inventò la bilancetta idrostatica per determinare il peso specifico dei corpi. Era l'inizio di alcune scoperte che favorivano la conoscenza dei fenomeni sperimentalmente. Dall'89 al '92 fu lettore di matematica nel suo studio di Pisa. Ed è forse in questo periodo che egli compie il famoso esperimento sulla caduta dei gravi. Facendo cadere dalla torre di Pisa, di fronte ad un pubblico di dotti, una serie di pesi di diversa dimensione, dimostrando come non è il corpo più grande che cade più velocemente (come diceva Aristotele), ma il più pesante. Così in questo periodo scrisse il De Motu, un'opera ove esponeva le sue ricerche sul moto dei gravi, fondate sulle esperienze scientifiche iniziando già da allora il contrasto con le teorie di Aristotele, secondo cui i corpi nel vuoto aumentano la velocità di caduta proporzionalmente alle dimensioni. Invece, come scoprì Galileo, tutti i corpi cadono alla stessa velocità e nel vuoto arrivano nello stesso momento. Nel '92 quindi si trasferì a Padova dove ottenne la cattedra di matematica. Qui, insegnando cominciò ad avere un notevole successo, poiché le sue lezioni non erano solamente teoriche ma anche pratiche e con la dimostrazione di certi postulati. Addirittura con l'aiuto dei suoi studenti riuscì a dimostrare come la curva di un proiettile sia la risultante delle forze d'impulso e di gravità, formulando la legge dell'inerzia e preparando così la strada matematica a Newton per questo campo. Certo, dovette avere molti contrasti con gli altri professori, sia per il modo nuovo di condurre le lezioni sia per la sua presunzione nello scoprire piccole leggi che cambiavano il modo di pensare rimasto intatto da secoli. In una delle tante lettere scritte da Galileo a Keplero scrive: «Certo, è mortificante che siano così rari gli uomini amanti della verità, i quali per di più non perseguano modi erronei di ricerca. Ma poiché non è qui il caso di deplorare le miserie del nostro tempo, ma piuttosto di congratularmi con la S.V. per le bellissime scoperte nella conferma del vero, così questo soltanto aggiungerò e prometterò, che leggendo il suo libro con animo sereno, con la certezza di trovarvi cose bellissime. Farò ciò tanto più volentieri, perché già da molti anni ho aderito alla teoria copernicana e anche perché, partendo da tale posizione, ho scoperto le ragioni di molti fenomeni naturali, che sono, senza motivo alcuno di dubbio, inesplicabili in base alla corrente opinione.» La lettera è datata Padova 4 agosto 1597.

Nel 1609 Galileo si trova a Venezia, culla della cultura e dei commerci, ospite presso il Palazzo Ducale. Una sera di maggio apprese la notizia che un ottico olandese grazie ai suoi studi aveva costruito un giocattolo, il cannocchiale. Il cannocchiale è uno strumento che già da anni era fabbricato dagli ottici olandesi, ma non aveva ancora avuto successo. Il tubo ottico era formato da due lenti; convesse da un lato e concave dall'altro, consentendo di ingrandire le immagini lontane. Così preso dall'entusiasmo si costruì un primo rudimentale telescopio. Sapeva bene che le lenti degli occhiali non andavano bene per il suo intento, in quanto erano imprecise otticamente, così decise di costruirsele trovando tutto il materiale a Murano capitale europea della lavorazione del vetro.

Ad agosto costruì il suo primo telescopio che ingrandiva 9 volte e senza deformare le immagini. Quando il governo di Venezia apprese la notizia dell'esistenza del telescopio di Galileo, chiese subito allo scienziato una dimostrazione. Il 21 agosto 1909, alla sommità del campanile di Venezia davanti ad una rappresentanza di senatori e dotti mostrò la sua invenzione. L'effetto fu entusiasmante, la chiesa di Padova a 32 Km dal campanile attraverso il cannocchiale sembrava a 3 Km e mezzo. Murano, posta a 2 Km e mezzo, era avvicinata dal cannocchiale a 300m, una distanza che permette di distinguere le persone che passeggiano. Galileo offrì così il cannocchiale alla Repubblica di Venezia. E i senatori impressionati dalle possibili applicazioni militari dello strumento, gli tributarono un trionfo; e il suo stipendio all'università gli fu raddoppiato. Costruì quindi il suo secondo strumento con 20 ingrandimenti e più perfezionato. Ma stavolta decise di puntarlo verso il cielo ove scoprire un'infinità di meraviglie.
Il primo oggetto su cui puntare il nuovo telescopio è la Luna. Alla prima occhiata la Luna non gli apparve liscia e uguale ma montuosa e ricca di crateri. Dalla lunghezza delle ombre ricavò l'altezza di alcune sommità. Smentendo una convinzione radicata da secoli e cioè’ che la Luna sia liscia e che emetta luce propria. Egli vide che la luce era solamente quella riflessa dal Sole, tanto che poté comprendere il fenomeno della luce cinerea creata dalla riflessione dei raggi terrestri. Da ciò ricavò tantissimi disegni dettagliati della superficie lunare, con monti e valli. Poi puntò il telescopio verso le stelle, e rimase impressionato dal fatto che la Via Lattea non era quella distesa di vapori come prima si credeva, ma un'infinità di stelle ammassate. E' in questo periodo che scrive in latino il Sidereus Nuncius un'opera dove raccoglie tutti i commenti alle sue nuove scoperte: «Nella prima avevo stabilito di disegnare per intero la costellazione di Orione; ma poi, sopraffatto dalla massa ingente di stelle, e insieme dalla ristrettezza di tempo, rimandai questa impresa ad altra occasione; ce ne sono infatti più di cinquecento.» Nello stesso modo scoprì che le Pleiadi non sono 7 ma un gruppo di una quarantina di stelle prima invisibili.

Galileo invogliato dalle prime scoperte osservava tutte le notti. Di giorno invece lavorava per fabbricare un cannocchiale più perfezionato. Nei primi giorni del 1610 il nuovo strumento è pronto. Ingrandiva per 30 volte, e con esso compì una scoperta meravigliosa: «Pertanto il giorno 7 gennaio del corrente anno 1610, alla prima ora della notte, mentre guardavo gli astri celesti col cannocchiale, mi si presentò Giove; e poiché m'ero preparato uno strumento proprio eccellente, m'accorsi che gli stavano accanto tre stelline, piccole invero, ma pur lucentissime; e la loro disposizione sia rispetto a loro stesse che a Giove era la seguente...
Ma essendo io ritornato, non so da qual fato condotto, alla medesima indagine il giorno 8, trovai una disposizione molto diversa: erano infatti le tre stelline tutte occidentali rispetto a Giove.
» Così osservando le sere seguenti Galileo comprende che accanto a Giove vi erano pianeti piccoli appena scoperti.

Il 12 marzo 1610 pubblicò il Sidereus Nuncius in cinquecento copie esaurite in poco tempo, con questo libro stupì l'intera Europa che discuteva dei monti della Luna, dei 4 nuovi pianeti e del cannocchiale dello scienziato. I quattro pianeti di Giove furono chiamati Medicei, in onore dei Medici del granducato, ma comunemente detti Galileani. Così i Medici per ringraziarlo dell'onorificenza del nome gli esaudirono il suo vecchio sogno: diventare il matematico di corte. Con questo incarico Galileo si poté dedicare pienamente alle sue osservazioni, senza problemi di orario e di insegnamenti universitari, eccetto qualche lezione privata. Nel settembre dello stesso anno dopo aver accettato la proposta dei Medici ritornò ad Arcetri, lasciando 18 splendidi anni di scoperte e successi a Padova.

Poco tempo dopo la pubblicazione del Sidereus Nuncius, gli avversari di Galileo si mobilitarono. Le scoperte era false e ingiuriose, Giove non poteva possedere dei pianeti perché ammessa l'esistenza, non servirebbero a niente. E dato che gli astrologi, con i loro oroscopi avevano tenuto conto di tutto ciò che si muoveva nel cielo, l'affermazione di Galileo era da ritenersi falsa. Nonché anche i professori di Pisa lo attaccarono, dicendo che i satelliti di Giove non esistevano perché non vi potevano essere più di sette oggetti mobili in cielo. Perché sette? Perché: sono sette i peccati capitali, sette i giorni della settimana, sette le meraviglie del mondo ecc. E poiché gli antichi erano molto sapienti e non ne parlavano nei loro testi, i pianetini non potevano esistere e chi li osservava al cannocchiale affermava che erano delle illusioni. Spesso alle contestazioni lo scienziato lasciava rispondere i suoi studenti, cercando invece di convincere grandi personalità come Keplero, al quale inviò una copia del suo libro incitandolo a dare un suo parere. Si dice che Keplero alla lettura delle scoperte pianse di gioia. Rispose subito a Galileo e si congratulò per quanto già fatto. Così il pisano gli mandò un cannocchiale con il quale poté anch'egli osservare i nuovi corpi celesti. Era importante anche convincere eminenti autorità come Clavius, Gesuita e capo degli astronomi del Papa. Egli era un grande esperto, ascoltato in tutta Italia. Ma si dimostrò restio a vedere allo strumento, finché, dopo tanto tempo anche lui riuscì a vedere i satelliti e apprezzarne l'esistenza.

Nel frattempo lo scopritore dei satelliti continuava a osservare il cielo. Su Saturno vide due satelliti appaiati, che per qualche tempo sparirono, erano gli anelli che si resero realmente visibili solo più avanti a Huyghens con un telescopio più potente. Ma se con Saturno non ebbe molta fortuna, non si poté dire lo stesso con Venere. Vi scoprì subito le fasi come quelle lunari e dopo esserne realmente certo ne comunicò la scoperta.

Nel settembre 1610 spedì a Keplero una lettera con un anagramma e a dicembre ne diede la soluzione "La madre degli amori imita le forme di Diana", cioè Venere imita le fasi della Luna. Osservò anche che il pianeta era a volte dietro il Sole e a volte davanti. Con tutte queste scoperte Galileo diventò un Copernicano convinto, perché se Venere girava attorno al Sole e mostrava le fasi come la Luna e in certi periodi si mostrava più grande e in altri più piccolo, tutto diveniva più chiaro e significava che il sistema eliocentrico è quello esatto. Ecco cosa scrisse in alcune sue lettere: a Giuliano de’ Medici, Firenze 13 novembre 1610. «Questo è, che Saturno, con mia grandissima ammiratione, ho osservato essere non una stella sola, ma tre insieme, le quali quasi toccano; sono tra di loro totalmente immobili, e costituite in guisa...; quella di mezzo è assai più grande delle laterali; sono situate una da oriente e l'altra da occidente, nella medesima linea retta a capello.» E poi ancora il 1° gennaio 1611 «Sapranno dunque come, circa 3 mesi fa, vedendovi Venere vespertina, la cominciai ad osservare diligentemente con l'occhiale, per veder col senso stesso quello di che non dubitava l'intelletto. La veddi dunque, sul principio, di figura rotonda, pulita e terminata, ma molto piccola: di tal figura si mantenne sino che cominciò ad avvicinarsi alla sua massima digressione, tuttavia andò crescendo in mole. Cominciò poi a mancare dalla rotondità nella sua parte orientale e aversa al sole, e in pochi giorni si ridusse ad essere un mezzo cerchio perfettissimo; e tale si mantenne, senza punto alterarsi, sin che cominciò a ritirarsi verso il sole... e certa dimostrazione di due gran questioni, state sin qui dubbie tra' maggiori ingegni del mondo. L'una è, che i pianeti tutti sono di loro natura tenebrosi (accadendo anco a Mercurio l'istesso che a Venere): l'altra, che Venere necessariissimamente si volge intorno al sole, come anco Mercurio e tutto li altri pianeti, cosa ben creduta da i Pittagorici, Copernico, Keplero e me, ma non sensatamente provata, come ora in Venere e in Mercurio.»

Il 29 marzo 1611 Galileo giunse a Roma, chiamato dalle alte autorità ecclesiali per vedere le sue nuove scoperte. Ricevette un'accoglienza trionfale presso gli astronomi del Collegio Romano e da Clavius. Fu accolto anche dal Papa Paolo V che lo ricevette in udienza privata. Nello stesso periodo Galileo dopo aver incontrato tutti gli intellettuali romani, venne anche nominato membro dell'Accademia dei Lincei. Un'accademia ove si riunivano uomini curiosi di conoscere le novità scientifiche. Ne facevano già parte: il matematico benedetto Castelli e il fisico Evangelista Torricelli. A questa proposta Galileo accettò estasiato, coinvolgendo così tanto il gruppo da far diventare uno dei programmi ufficiali la valorizzazione del programma scientifico dello scienziato e un acceso antiaristotelismo. Ma Galileo non sapeva che nel giugno dello stesso anno il cardinale Bellarmino, il primo teologo della Chiesa dell'epoca, chiese un rapporto segreto dell'Inquisizione sul pisano.

Nel settembre 1611 Galileo pranzò alla tavola del granduca Cosimo de’ Medici. E nacque una discussione sul fatto che il ghiaccio galleggia sull'acqua; alcuni degli invitati difendevano le teorie di Aristotele dicendo che il ghiaccio galleggia perché ha una forma a lastra e si oppone alla penetrazione dell'acqua. Galileo invece affermava, dopo i precedenti studi effettuati a Padova che il ghiaccio è più leggero dell'acqua e che quindi vi galleggia. Così arrivò a smentire le vecchie convinzioni aristoteliche in cui i corpi sono distinti in: pesanti e leggeri. Galileo fece notare che tutto derivava dalla aggregazione della massa, cioè diremo ai nostri giorni dalla densità, che cominciò a studiare subito dopo la scoperta della bilancia idrostatica. Il granduca quindi chiede a Galileo di scrivere un trattato, lo dedicò a Cosimo II, intitolato Discorso intorno alle cose che stanno in su l'acqua o che in quella si muovono (1612). Egli era un avversario duro da sconfiggere sul piano scientifico, e per queste sue continue vittorie si creò molti nemici che volevano a tutti i costi fargli smentire le affermazioni.

Nel 1612 i rivali cominciarono a muoversi, il primo fu padre Lorini che dichiarò come le affermazioni di Galileo erano in contrasto con la Bibbia e specialmente al passo in cui Giosué fermava il Sole. Ma Galileo si stava occupando d'altro, dell'osservazione delle macchie solari. Le macchie solari non sono state scoperte da Galileo, ma dagli antichi che di tanto in tanto scorgevano a occhio nudo le macchie, egli già nel 1610 iniziò le osservazioni. Ma in Germania padre Scheiner scrisse le Lettere sulle macchie solari, concludendo con tesi aristoteliche che essendo il sole un corpo perfetto non poteva avere macchie, esse quindi erano piccoli pianeti che passavano davanti al Sole. Galileo rispose nel 1613 con Lettere e dimostrazioni intorno alle macchie solari e loro accidenti, affermando che le macchie erano nubi piatte sulla superficie del sole e che il sole ruota su se stesso con velocità uniforme.

Nel 1613 iniziò ufficialmente la trappola contro Galileo. L'unico modo per farlo tacere era quello di portarlo con le spalle al muro parlando delle controversie religiose. Un domenicano di nome Caccini si scagliò con una serie di lettere contro lo scienziato, ne nacquero continue controversie e accuse, così da tutto questo gran movimento l'inquisizione si mise in moto. La chiesa non poteva stare immobile, poiché le confutazioni Copenicane si moltiplicavano e ciò che da 80 anni si discuteva sotto voce, adesso si gridava e se ne parlava continuamente. Galileo era diventato pericoloso, contro le convinzioni teologiche sull'universo e sulla veridicità delle affermazioni delle Sacre Scritture. Il cardinale Bellarmino, figura importante dell'epoca, colui che per tutta vita si era dedicato alla chiesa, che aveva mandato al rogo Giordano Bruno e aveva chiesto un rapporto segreto su Galileo gli scrisse in una lettera: «è cosa molto pericolosa non solo d'irritare tutti i filosofi e teologi scolastici, ma anche nuocere alla Santa fede col rendere false le Sacre Scritture...». E Galileo in una lettera al Castelli del 21 dicembre 1613 scrisse: «...non poter mai la Scrittura Sacra mentire o errare, ma essere i suoi decreti di assoluta ed inviolabile verità. Solo avrei aggiunto, che, se bene la scrittura non può errare, potrebbe nondimeno talvolta errare alcuno dei suoi interpreti ed espositori, in vari modi: tra i quali uno sarebbe gravissimo e frequentissimo, quando volessero fermarsi sempre nel puro significato delle parole, perché così vi apparirebbero non solo diverse contraddizioni, ma gravi eresie e bestemmie ancora; poi che sarebbe necessario dare a Iddio e piedi e mani e occhi, e non meno affetti corporali e umani, come d'ira, di pentimento, d'odio, e anco talvolta l'obblivione delle cose passate e l’ignoranza delle future. Onde, sì come la Scrittura si trovano molte proposizioni le quali, quanto al nudo senso delle parole, hanno aspetto diverso dal vero, ma son poste in cotal guisa per accomodarsi all'incapacità del vulgo, così per quei pochi che meritano d'esser separati dalla plebe è necessario che i saggi espositori produchino i veri sensi, e n'additino le ragioni particolari per che siano sotto cotali parole profferiti. Stante dunque che la Scrittura in molti luoghi è non solamente capace, ma necessariamente bisognosa d'esposizioni diverse dall'apparente significato delle parole, mi par che nelle dispute naturali ella dovrebbe essere riserbata nell'ultimo luogo...» Così in questa marea di critiche scrisse una lunga lettera a Cristina di Lorena la granduchessa, ove affermava che Dio si rivela agli uomini in due modi: attraverso la Bibbia, scritta secondo la cultura dell'epoca ma di basilare importanza per i princìpi teologici della Fede, e poi attraverso il libro dell'universo scritto in caratteri matematici, aperto alla conoscenza umana e espressione della potenza di Dio. Ma nel 1616 la Chiesa gli impose di rinnegare le sue false teorie e speculazioni sopra le scoperte fatte. A un suo amico scrisse: «Non voglio vedere uomini di valore pensare che per me le idee di Copernico non sono che un’ipotesi matematica priva di realtà». Egli non voleva essere considerato un eretico, sia perché non voleva finire al rogo e sia perché, egli era profondamente credente e anche a lui gli interessava porre una giusta via riguardo le scoperte. Così, invece di rinunciare decise di battersi contro la mentalità retriva a innovazioni, da parte di buona parte del clero papale.

Il 26 febbraio 1616, Galileo ottenne un colloquio con Bellarmino, circondato dai domenicani più importanti, gli fu comunicato che l'Inquisizione aveva emanato un decreto: «L'idea che la terra ruota attorno al sole è stolta, assurda, filosoficamente e formalmente eretica, perché contraddice esplicitamente la dottrina delle Sacre Scritture...» Vengono quindi ritirate presso tutte le librerie i libri dello scienziato, di Copernico e di tutti coloro che sostenevano tale sistema. Galileo riapparve due anni dopo, quando pubblicò Il Saggiatore, parola derivante dal nome delle bilance di precisione degli orefici, con il quale intendeva pesare le opinioni proprie e altrui. Sviluppò una polemica contro le speculazioni scientifiche sulla natura delle tre comete che erano apparse in quel periodo. Il più grande oppositore era Grassi che pensava che le comete fossero giustamente corpi di origine celeste; mentre Galileo pensava fossero apparenze dovute ai raggi solari, errato da parte di Galileo ma giusta la critica contro coloro che affermavano cose solo per il sapere "cartaceo", privo di ogni esperienza.

Nel 1623 anno di pubblicazione dell'opera, morì il Papa e successe Urbano VIII già cardinale Barberino amico e difensore di Galileo da moli anni. Ricevuto a braccia aperte dal nuovo Papa, ottenne il permesso di scrivere un'opera ove presentasse le due teorie possibili secondo Tolomeo e Copernico. Impiegò quattro anni per scrivere, e nel 1632 pubblicò il libro intitolato Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo. Il Dialogo è tra tre uomini: Salviati difensore di Copernico, Sagredo un uomo di buon senso che cerca di capire e Simplicio difensore di Aristotele e del sapere privo di esperienza. Sagr.«...il dire "Perch'io non so a quel che mi serva Giove o Saturno, anzi non sono in natura"; mentre che, o stoltissimo uomo, io non so né anco a quel che mi servano le arterie, le cartilagini, la milza o il fele, anzi né saprei d'aver il fele, la milza o i reni, se in molto cadaveri tagliati non mi fussero stati mostrati, ed allora solamente potrei intender quello che operi in me la milza, quando fusse levata. Di più, chi vorrà dire che lo spazio che costoro chiamano troppo vasto ed inutile, tra Saturno e le stelle fisse, sia privo d'altri corpi mondani? Forse perché non gli vediamo? Adunque i quattro pianeti Medicei e i compagni di Saturno vennero in cielo quando noi cominciammo a vedergli, e non prima? E così le altre innumerabili stelle fisse non vi erano, avanti che gli uomini le vedessero? Prontuosa anzi temeraria ignoranza de gli uomini! (...) Grandissima mi par l'inezia di coloro che vorrebbero che Iddio avesse fatto l'universo più proporzionato alla piccola capacità del lor discorso, che all'immensa, anzi infinita, sua potenza.» All'uscita del libro che ebbe un grandissimo successo in tutta Europa, corrispose un duro attacco al sistema geocentrico e l'immediata risposta dell'Inquisizione, il libro venne subito vietato, e Galileo richiamato a Roma, minacciato di tortura pur avendo 69 anni, solo, senza nemmeno l'appoggio di Cosimo de' Medici, morto qualche anno prima.

Il 12 aprile 1633 fu dichiarato in stato di arresto e imprigionato, dovette inginocchiarsi e abiurare tutte le verità scoperte: «Con cuor sincero e fede non finta abiuro, maledico e detesto li suddetti errori et heresie...e giuro che per l'avvenire non dirò mai più né asserirò, in voce o per scritto, cose tali per le quali si possa haver di me simil sospitione, ma se conoscerò alcun heretico o che sia sospetto d'heresia, lo denunziarò a questo santo Offizio...» come penitenza per tre anni venne condannato alla recitazione quotidiana dei sette salmi penitenziali; il Papa non firmò la sentenza. Poi la leggenda vuole che egli disse: «Eppur si muove!».

Per le sue precarie condizioni di salute e per venirgli incontro, fu rilasciato un anno dopo e gli fu concesso di risiedere prima a Villa Medici, a Trinità dei Monti, poi a Siena presso l'arcivescovo Piccolomini e infine a casa sua ad Arcetri, presso Firenze. Naturalmente impossibilitato a uscire senza autorizzazione, né ricevere visite senza un inquisitore.
Così per non far pesare il tempo, decise di dedicarsi alla stesura dei suoi ultimi libri che uscirono più avanti: Dialoghi delle nuove scienze e Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze attinenti alla meccanica ed i movimenti locali. Riuscì a farli pubblicare clandestinamente ad Amsterdam, lontano da Roma e da chi non capiva l'importanza di quei libri definiti i primi trattati di fisica moderna.
Nel 1638 divenne totalmente cieco, perdendo quel senso che tanto usò per comprendere il cielo; il 2 gennaio 1638 scrisse della sua cecità: «In risposta all'ultima gratissima di V.S. delli 20 novembre, intorno al primo punto ch'ella mi domanda, attenente allo stato della mia sanità, le dico che quanto al corpo ero ritornato in assai mediocre costituzione di forze; ma ahimè, signor mio, il Galileo, vostro caro amico e servitore, è fatto irreparabilmente da un mese in qua del tutto cieco. Or pensi V.S. in quale afflizione io mi ritrovo, mentre che vo considerando che quel cielo, quel mondo e quello universo, che io con maravigliose osservazioni e chiare dimostrazioni avevo ampliato per cento e mille volte più del comunemente veduto da' sapienti di tutti i secoli passati, ora per me s'é sì diminuito e ristretto, ch'é non è maggiore di quel che occupa la persona mia. Questa così strabocchevole trasmutazione ha cagionato nella mia mente una straordinaria metamorfosi di pensieri, concetti ed essegnamenti; sopra di che per ora non posso se non dire, anzi accennar poco a V.S. molt'illustre, perché mi trovo troppo distratto di mente anco nel pensare alle nuove amministrazioni circa più particolarmente alle cose contenute nella sua graditissima lettera...» In quegli anni di salute cagionevole oltre a perdere la vista perse anche l'udito e perdendo anche la possibilità di suonare il suo strumento preferito, il liuto. L'8 gennaio 1642 morì ad Arcetri il grande scienziato, apprezzato per aver rivoluzionato il pensiero nei confronti della scienza, ma morto da eretico.
Galileo fu un uomo eccezionale, egli segna il passaggio decisivo tra la vecchia concezione della scienza puramente filosofica e in alcuni casi astratta, e della nuova distaccata dalle affermazioni filosofico-teologiche basandosi sulla dimostrazione delle teorie e non sulle sue speculazioni e errate interpretazioni. Il passaggio definitivo a questo modo di intendere la scienza non è solo frutto delle scoperte di Galileo, ma anche di tanti altri scienziati come Copernico che facevano già da tempo prendere coscienza dei limiti delle convinzioni assolute. In quegli anni anche Giordano Bruno affermava di un universo infinito e eliocentrico. Ma è sicuro, che Galileo dà un grosso colpo a ciò che si stava preparando da tempo. Fu lui a far capire che tutte le affermazioni vanno riscontrate anche nella pratica, egli non sosteneva idee inventate, ma vedeva realmente la realtà. Il problema dell'epoca erano le antiche convinzioni difficili da sdradicare: vedi l'eliocentrismo, la disuniformità della superficie lunare, le macchie solari, le fasi di Venere, i satelliti di Giove e Saturno, la natura della Via Lattea, delle comete ecc. tutte convinzioni smentite da chiunque osservava con il suo telescopio. Insomma possiamo affermare che Galileo ha segnato un'epoca e che riuscì con gli anni a far comprendere alle menti dei teologi, che la Bibbia non va presa alla lettera, ma va interpretata in base al periodo storico. Dobbiamo anche aggiungere al di là delle innumerevoli scoperte astronomiche e più prettamente di natura fisica: la caduta dei gravi, la forza di inerzia ecc. Che Galileo è il primo divulgatore della scienza e dell'astronomia in genere, fu infatti uno dei pochi ad avere tutta la volontà di scrivere trattati in volgare, per rendere alla portata di tutti le conoscenze e far guardare a una moltitudine di gente le meraviglie del cielo, patrimonio di conoscenza per tutti.

(2005)

Bibliografia:
-Storia d'Italia, Indro Montanelli EDIZ. Rizzoli.
-Galileo messaggero delle stelle, Jean-pierre Maury EDIZ. Universale Electa/Gallimard Scienza;
-Letteratura Italiana, Mario Pazzaglia EDIZ. Zanichelli.

venerdì 1 luglio 2011

L’inquinamento Luminoso

Il problema
Il problema dell'inquinamento luminoso fa parte delle tante forme d'inquinamento: ossia un'alterazione degli equilibri biologici dell'ambiente; proprio come avviene con: l'inquinamento atmosferico, marino, acustico, ecc.
Definiamo innanzi tutto cosa sia l'inquinamento luminoso. Esso è caratterizzato dall'uso indiscriminato di fonti luminose: fari, lampade e luminarie in genere. Le città a tutt’oggi sono illuminate a “giorno” per dare a tutti una sensazione di progresso e di prosperità. Ma un uso senza precise regole (infatti non esiste ancora una legge nazionale in Italia per regolamentare l’illuminazione pubblica), ha finora permesso d'illuminare l'ambiente notturno in modo indiscriminato, creando un notevole spreco d'energia elettrica nelle nostre piazze, vie e città.
La maggior parte della gente non conosce gli effetti di questo spreco d'energia. Giorno per giorno, lo sviluppo di zone illuminate impedisce la visione di un cielo veramente buio, e quindi stellato. Ormai sono moltissime le persone che non hanno mai visto lo spettacolo della Via Lattea, e chiunque è portato a pensare che questo problema sia di minore importanza rispetto ad altri.
Parlare di inquinamento luminoso non vuoi dire, fare un favore agli astrofili spegnendo le luci cittadine! Significa invece preservare il giusto equilibrio, non solo dell'ambiente ma anche degli animali, delle piante e degli uomini. Alcuni studi condotti sull’inquinamento luminoso hanno evidenziato come la presenza delle luci cittadine crei notevoli problemi agli animali. Uno studio in particolare, è stato condotto sulle testuggini marine negli USA, scoprendo che nelle spiagge illuminate, le testuggini non deponevano le uova (come fanno abitualmente), confondendo la notte con il giorno. Un altro studio sui lepidotteri (un genere d’insetti che si sposta di notte seguendo come riferimento la luce delle stelle e della luna), ha rivelato che da alcuni anni la presenza dell’illuminazione pubblica, disturba l’orientamento di questi insetti conducendoli erroneamente in ambienti non idonei alla loro sopravvivenza, decimandoli e portandoli in pochi anni a rischio d’estinzione; senza poi aggiungere gli innumerevoli casi di confusione tra giorno e notte da parte di altri animali, anche più evoluti. Nella zona di Venezia, per esempio, un gallo abbagliato dalle luci dell’autostrada Venezia-¬Mestre, cantava anche di notte disturbando il sonno dei vicini (articolo del Gazzettino di Venezia, 24 aprile 1997). Inoltre, uno studio sulle piante del dipartimento di biologia dell'Università di Padova, ha riscontrato come la presenza d’illuminazione notturna (specialmente con lampade al mercurio) sia la causa di una ridotta efficienza fotosintetica delle piante e degli alberi direttamente esposti, stremati continuamente dallo stress luminoso.
Non bisogna poi dimenticare i problemi che sorgono per la ricerca astronomica, in primis nel lavoro degli osservatori professionali, i quali sempre più spesso sono in crisi, poiché gli strumenti perdono la capacità di percezione degli oggetti stellari, dato che il cielo è sempre meno contrastato dal bagliore notturno.   
Molti di noi avranno anche notato come siano fastidiose le luci stradali quando gli impianti d’illuminazione sono sovradimensionati. Le luci dei cartelloni pubblicitari nelle strade, i fari rotanti delle discoteche; oltre a distrarci dalla guida divengono spesso fonte di abbagliamento specie di notte, quando la ricettività del cervello è notevolmente ridotta dalla stanchezza fisica.


La perdita del cielo stellato quindi, diviene nel tempo una perdita culturale. Basti pensare che in un terremoto di qualche anno fa, Los Angeles rimase al buio per problemi alle linee elettriche; quella stessa sera arrivarono centinaia di segnalazioni per capire cosa fossero quelle luci in cielo!
Parlare d'inquinamento luminoso vuoi dire, avere la cultura del risparmio e del rispetto per l'ambiente. Significa rendere più sicure le strade, preservare il nostro sonno (quanti di noi sono costretti a dormire con le serrande abbassate). Si calcola che in genere ogni singolo impianto d’illuminazione disperda verso l’alto il 20% della luce emessa, luce che non viene sfruttata, ma solo sprecata verso il cielo. Se si pensa al 20% di ogni luminaria, moltiplicata per tutte le lampade d’illuminazione esterna in Italia e nel mondo: ogni ora, ogni sera e ogni anno; si arriva a cifre impressionanti. Per l’Italia si è stimato che se si avessero tutti gli impianti in regola si potrebbero risparmiare circa 250 miliardi di lire annue. Così facendo, le centrali termoelettriche eviterebbero di produrre centinaia di migliaia di Kwh; si eviterebbe di bruciare tonnellate e tonnellate di combustibile in più, e infine si eviterebbero di immettere all'atmosfera altrettante tonnellate di CO2 senza un valido motivo.
Crescita dell'inquinamento luminoso
Il fenomeno dell’inquinamento luminoso è in forte crescita, favorito in tutto il mondo dallo sviluppo e dall’elettrificazione di zone sempre più ampie. In fig. 1 possiamo notare la crescita esponenziale dell’inquinamento luminoso in Italia e le relative previsioni. Le foto in fig. 2, invece, mostrano la città di Los Angeles fotografata dal monte Wilson; la prima fu scattata nel 1908, mentre la seconda, sempre dallo stesso luogo è stata ripresa nel 1988. La crescita della città e nel contempo lo sviluppo della luminosità si è più che raddoppiato in soli 80 anni.
Osserviamo con attenzione l’immagine in copertina, rappresenta il mondo di notte. Alcuni anni fa fu ottenuto quel collage di foto con le immagini dei satelliti meteorologici a 800 Km di quota, in assenza di luna e nuvole. La pellicola era sensibile a qualsiasi luce al di sopra dei 60 W. Dall’immagine si notano le tipiche forme ben definite dell’America e dell’Europa, nonché sono ben distinte le posizioni delle principali città del mondo.



Concetti di illuminotecnica
La radiazione nel visibile è compresa in media tra i 0,4 e i 0,76 micron ovvero fra i 400 e i 760 nm. Lo spettro così è composto dal colore violetto per le lunghezze d'onda piccole, e dal colore rosso per le lunghezze grandi. L’occhio umano percepisce meglio la luce alla lunghezza d’onda di 550 nm (colore giallo - verde). Cominciamo esponendo il primo concetto, quello di flusso luminoso; esso rappresenta la quantità di luce o d'energia raggiante, emessa nell’unità di tempo:

F= quantità di luce/tempo

da cui si deduce che il flusso luminoso è una potenza (energia diviso tempo). L’unità di misura è il lumen (lm).
    L’efficienza luminosa, invece è pari al rapporto fra il flusso luminoso (lm) emesso da una sorgente luminosa e la potenza elettrica assorbita (Watt, W):

E= F/P

l’efficienza luminosa si misura in lm/W; essa misura la quantità d'energia emessa per produrre una data quantità di luce. Maggiore è il numero e più efficiente sarà la lampada.
    La luminanza è pari al rapporto fra l’intensità luminosa emessa in una certa direzione e l’area della superficie emittente perpendicolare alla direzione:

U= dI/dA

la luminanza si misura in cd/mq. Nel caso in cui il flusso non sia perpendicolare alla superficie, allora bisogna dividere U per cos y, dove y è l’angolo fra flusso ed ortogonale alla superficie. La luminanza detta anche brillanza è importante in quanto se supera certi valori per ciascuna lampada, si ottiene un effetto di abbagliamento dell’occhio umano, esso quindi determina se e quanto un impianto abbagli.
    Infine la temperatura di colore è la temperatura misurata in gradi K, alla quale si associa il colore tipico della luce emessa.

Modelli di lampade in commercio
Il mercato offre diverse possibilità d’acquisto di lampade per molteplici usi, con costi e caratteristiche differenti, ecco i principali modelli.

Lampade agli alogenuri
Questo tipo di lampade sono molto usate per illuminare gli impianti sportivi, e presentano una tonalità di luce molto chiara. Emettono su tutto lo spettro del visibile e la loro efficienza luminosa è discreta. Queste lampade sono il peggior nemico dell’astrofilo, in quanto la loro radiazione non può essere filtrata dai filtri antinquinamento luminoso. Questo tipo di filtri infatti ha la caratteristica di filtrare solo una parte dello spettro visibile, e proprio con questo modello i filtri non hanno successo.

Lampade ai vapori di mercurio
Le lampade ai vapori di mercurio sono ancora presenti nelle strade cittadine. Emettono una luce bianca, ed il loro spettro copre tutto il visibile con punte dal violetto all'arancione Esse sono il nemico numero due dell'astrofilo. La tendenza attuale dei comuni prevede di sostituirle con le lampade al sodio ad alta pressione, più efficienti ed inoltre non presentano il problema dello smaltimento. La legge infatti considera questo tipo di lampade un rifiuto speciale, per la presenza del mercurio.

Lampade ad incandescenza
Sono lampade che ormai non vengono più usate per l'illuminazione esterna (anche se alcuni impianti esterni molto vecchi, ancora montano queste lampade), poiché il loro principio di funzionamento (emissione di luce tramite il passaggio di energia elettrica su filamento interno) è il meno efficiente di tutti. La lampada anche se ha un costo basso, presenta un’efficienza luminosa scadente e un’emissione in tutto lo spettro del visibile.

Lampade ai vapori di sodio ad alta pressione
Presentano una tonalità calda (rosa/arancione), e sono usate soprattutto per l’illuminazione delle vie cittadine, la loro efficienza luminosa è superiore a quella delle lampade al mercurio e agli alogenuri, inoltre hanno una durata maggiore nel tempo. I filtri nebulari o i dark sky permettono di filtrare la loro radiazione.



Lampade ai vapori di sodio a bassa pressione
Presentano la più alta efficienza luminosa, emettono luce monocromatica sulla lunghezza d'onda del sodio e quindi disturbano poco le osservazioni in quanto è luce facilmente filtrabile. Il colore è sempre il giallo ma con tonalità più scure. Sono lampade ad altissima efficienza luminosa, ma data la loro luce prettamente monocromatica sono utilizzate prevalentemente: nelle zone industriali, depositi, svincoli autostradali e distributori di benzina fuori città, dove la percezione dei colori non è un fattore importante.


Alogenuri
Sodio A.P.
Mercurio
Sodio B.P.
lm
lm/W
cd/cq
K
20.000
80
1.350
4.200
33.000
132
500
2.000
14.000
56
10
3.100
33.000
183
10
giallo


Nella tabella in alto sono riportate le principali caratteristiche delle lampade: flusso luminoso (lm), efficienza luminosa (lm/W), luminanza (cd/cq) e temperatura di colore (K). Le caratteristiche sono calcolate per lampade da 250 w (180 per il sodio a bassa pressione) Analizzando la tabella si desume che: l’efficienza luminosa delle lampade al sodio a bassa pressione è la più elevata, addirittura tripla rispetto le lampade al Mercurio: cioè a parità di lumen emessi le lampade al sodio a bassa pressione consumano un terzo di energia. Le lampade agli alogenuri hanno la più elevata intensità luminosa per unità di superficie, quindi molto abbaglianti. Una lampada al sodio a B.P, con una potenza ridotta del 30% ha un flusso luminoso pari ad una lampada al sodio ad A.P. da 250 W ed addirittura un flusso più che doppio rispetto ad una lampada al mercurio.
Riguardo alla durata di vita delle lampade, facciamo notare che finora le più durature sono quelle al mercurio; ma con la presenza degli alimentatori elettronici (premontati dei lampioni) la durata media delle lampade al sodio è stata fortemente allungata, minimizzando le differenze esistenti in passato con quelle al mercurio. Inoltre gli alimentatori permettono di stabilizzare l’efficienza luminosa delle lampade al sodio, cosa che non succede con quelle al mercurio che invecchiando perdono efficienza. Il prezzo di una lampada al sodio ad A.P è maggiore del 30% circa rispetto ad una lampada al mercurio. Sembrerebbe che le lampade al mercurio siano le più convenienti, in realtà anche se il costi d’acquisto e manutenzione delle lampade al mercurio è più basso, il costo finale invece, torna in pareggio tenendo conto delle spese di raccolta e smaltimento del mercurio; materiale che sottolineo, è considerato nocivo e che quindi ha uno smaltimento non semplice.

Apparecchi di illuminazione per esterni
L’inquinamento luminoso può essere ridotto non solo sostituendo le lampade, ma illuminando in maniera intelligente senza inutili dispersioni di luce. Per l’illuminazione esterna si usano diversi tipi di lampioni, quella che seguirà è un’attenta spiegazione dei modelli esistenti e di come fare per limitare la dispersione di luce.

Globi luminosi
I globi luminosi sono le luminarie più inquinanti. Essi sono formati da una sfera in materiale plastico trasparente. La loro forma non presenta alcuna schermatura e per tale motivo disperdono una quantità enorme di luce. Se osserviamo la curva fotometrica del globo luminoso notiamo che ai 360° si hanno tre picchi di emissione: due rivolti verso il basso ma con un angolo di 60° circa, e l’ultimo rivolto totalmente in alto, almeno il 30% di ciò che viene emesso. Si noti anche che ai 0° (verso il basso) l’intensità luminosa è zero. Quindi questo modello non illumina in modo efficiente come vorremmo. Lo sviluppo di questo tipo di luminarie avviene per il costo veramente basso, ma in opposto si ottiene un’efficienza luminosa scadente.
Per limitare i danni esistono in commercio dei globi schermati con paraluce. In questo modo la curva fotometrica risulta cambiata. Non c'è più il picco di emissione verso l'alto e la luce si distribuisce maggiormente verso il basso, migliorando anche l'emissione ai 0°. Così facendo abbiamo migliorato la resa del globo, con la possibilità di diminuire anche la potenza della lampada del 30-40%, ed inoltre se si sostituisse la lampada al mercurio con una al sodio, si potrebbe risparmiare fino al 60-70% di potenza.

Lampioni
I lampioni stradali, supportano in genere lampade al mercurio oppure al sodio ad A.P. o B.P. Il lampione in figura è il modello che più spesso vediamo nelle nostre strade. Esso presenta una coppa in vetro o policarbonato che diffonde la luce, ma la coppa essendo molto pronunciata e di forma semisferica produce una dispersione di luce dal 5 all’8%. Tra l'altro questo lampione dà un abbagliamento diretto alla vista, molto pericoloso per chi guida.
In figura 8 troviamo invece un lampione schermato (in inglese cut-off) Questo tipo di lampione ha un'ottica incassata, con un vetro di protezione piano e non bombato, con un angolo di inclinazione rispetto al piano di calpestio di zero o al massimo di pochi gradi. Con questa soluzione la dispersione di luce è dell'ordine dell’1%. In figura notiamo le curve fotometriche di un lampione normale e di uno schermato. Si noterà che il lampione normale presenta uno schema fotometrico abbastanza direzionato, ma il cut-off risulta avere un’intensità luminosa negli angoli di calpestio molto maggiore del primo, quindi a parità di condizioni illumina di più.
In definitiva un lampione normale con lampada al mercurio da 250 W è equivalente ad un lampione schermato con lampada al sodio al alta pressione da 400 W.



Fari e torri faro
I fari o i proiettori sono utilizzati: degli impianti sportivi, stadi, depositi, scali, cabine elettriche, piazzali, monumenti, ecc. In genere montano lampade agli alogenuri e sono spesso di conformazione simmetrica. Dalle figure a lato notiamo la disposizione del fasci, che denota come solo con un faro asimmetrico sia possibile direzionare meglio il fascio luminoso. Un altro elemento importante per i fari è la loro inclinazione rispetto il piano di calpestio. Oggi la non conoscenza del problema porta a dover vedere fari direzionati non verso l’alto o in angolo orizzontale, con notevoli fenomeni di abbagliamento ottico. L'inclinazione ottimale per un faro non deve superare i 30°, esistono per questo sul mercato torri faro schermate.


Soluzioni 
Dopo aver conosciuto le cause e gli effetti dell'inquinamento luminoso, parliamo adesso di come affrontarlo. La risoluzione parte dal principio del risparmio energetico e non dello spegnimento delle luci, non si chiede quindi di salvaguardare il cielo spegnendo le città, ma di illuminare meglio. A tal proposito ogni cittadino o nel nostro caso ogni astrofilo ha il diritto di cercare ogni mezzo per la risoluzione del problema, basterebbe che ogni Comune o Regione approvasse una legge antinquinamento. In Italia da anni ci si batte per avere delle leggi di tutela, alcuni passi sono stati fatti. Delle regioni come il Veneto, la Lombardia, il Piemonte, la Valle d'Aosta ecc. hanno approvato un regolamento regionale, così come hanno fatto altri comuni d'Italia sensibilizzati dall'incessante divulgazione degli astrofili. Al Parlamento c'è anche una proposta di legge proprio su questo argomento, ma purtroppo i tempi di discussione e approvazione sembrano eterni, basti pensare che la legge giace dal 1996 senza essere ancora discussa. L’UAI di recente ha creato la Commissione Nazionale Inquinamento Luminoso (C.N.I.L.) che con articoli e recensioni svolge un’importante lavoro. Ma andiamo a conoscere i concetti sulle quali si basano queste leggi.



Lampade: le lampade devono essere preferibilmente quelle al sodio ad A.P. In alcuni luoghi dove non è necessaria la percezione dei colori, si possono usare le lampade al sodio a B.P, magari in prossimità di depositi, magazzini ecc. Il suggerimento vale anche per le torri faro.
Lampioni: i lampioni stradali devono essere schermati con alta efficienza, i cosiddetti cut-off. La lampada deve quindi essere ben incassata nel lampione e non vi deve essere presente alcun vetro sporgente e ricurvo.
Lampioni e pali: per i lampioni oltre alla schermatura suddetta è necessario che il palo non sia ricurvo ma con un braccio a 90° e ben rivolto verso il basso.
Fari: la struttura dei fari deve essere asimmetrica, agevolando così l'orientamento e migliorando la superficie da illuminare.
Inclinazione dei fari: l'inclinazione non deve superare i 30° rispetto il piano di calpestio.
Globi luminosi: i globi possono anche essere mantenuti, purché abbiano uno schermo che ne delimiti la direzione di emissione.
Insegne luminose: le insegne pubblicitarie semitrasparenti che emettono luce, necessitano di uno schermo superiore, cosi come le insegne illuminate dall’esterno devono avere un orientamento del fascio luminoso dall’alto verso il basso.
Dimensionamento degli impianti: gli impianti d’illuminazione vanno ben dimensionati senza creare gli eccessi di lumen ben visibili in alcune piazze e vie.
Accensione e regolazione degli impianti: gli impianti vanno ben tarati per quanto riguarda gli orari di accensione e spegnimento, senza troppi anticipi o posticipi (regolare meglio i relè crepuscolari). Inoltre dopo le prime ore della mattina si può programmare uno spegnimento alternato di alcune lampade in determinate vie, magari riducendo l'intensità d'emissione.
Nelle leggi approvate, in molti casi si fa riferimento al lavoro delle associazioni di astrofili, i quali hanno il compito di sorveglianza e controllo dello stato d’illuminazione, nonché di vigilanza nei confronti delle infrazioni. Ecco perché in generale è importante che gli astrofili siano ben informati.

Bibliografia
L'Astronomia n°122 pag. 26;
Astronomia UAI, nov-dic’98 pag.39;
Astronomia UAI, mar-apr’99 pag.45;
Astronomia UAI, mag-giu’99 pag.39;
Astronomia UAI, lug-ago’99 pag.41;
sito Internet www.pd.astro.it/cinzano ;
sito Internet www.uai.it