Galileo Galilei nacque a Pisa nel 1564. Ricevette da adolescente una buona educazione letteraria e culturale. Sin dall'inizio si dimostrò interessato alla matematica e all'interesse scientifico. Avviato quindi agli studi matematici, ancora studente scoprì la legge dell'isocronismo del pendolo e inventò la bilancetta idrostatica per determinare il peso specifico dei corpi. Era l'inizio di alcune scoperte che favorivano la conoscenza dei fenomeni sperimentalmente. Dall'89 al '92 fu lettore di matematica nel suo studio di Pisa. Ed è forse in questo periodo che egli compie il famoso esperimento sulla caduta dei gravi. Facendo cadere dalla torre di Pisa, di fronte ad un pubblico di dotti, una serie di pesi di diversa dimensione, dimostrando come non è il corpo più grande che cade più velocemente (come diceva Aristotele), ma il più pesante. Così in questo periodo scrisse il De Motu, un'opera ove esponeva le sue ricerche sul moto dei gravi, fondate sulle esperienze scientifiche iniziando già da allora il contrasto con le teorie di Aristotele, secondo cui i corpi nel vuoto aumentano la velocità di caduta proporzionalmente alle dimensioni. Invece, come scoprì Galileo, tutti i corpi cadono alla stessa velocità e nel vuoto arrivano nello stesso momento. Nel '92 quindi si trasferì a Padova dove ottenne la cattedra di matematica. Qui, insegnando cominciò ad avere un notevole successo, poiché le sue lezioni non erano solamente teoriche ma anche pratiche e con la dimostrazione di certi postulati. Addirittura con l'aiuto dei suoi studenti riuscì a dimostrare come la curva di un proiettile sia la risultante delle forze d'impulso e di gravità, formulando la legge dell'inerzia e preparando così la strada matematica a Newton per questo campo. Certo, dovette avere molti contrasti con gli altri professori, sia per il modo nuovo di condurre le lezioni sia per la sua presunzione nello scoprire piccole leggi che cambiavano il modo di pensare rimasto intatto da secoli. In una delle tante lettere scritte da Galileo a Keplero scrive: «Certo, è mortificante che siano così rari gli uomini amanti della verità, i quali per di più non perseguano modi erronei di ricerca. Ma poiché non è qui il caso di deplorare le miserie del nostro tempo, ma piuttosto di congratularmi con la S.V. per le bellissime scoperte nella conferma del vero, così questo soltanto aggiungerò e prometterò, che leggendo il suo libro con animo sereno, con la certezza di trovarvi cose bellissime. Farò ciò tanto più volentieri, perché già da molti anni ho aderito alla teoria copernicana e anche perché, partendo da tale posizione, ho scoperto le ragioni di molti fenomeni naturali, che sono, senza motivo alcuno di dubbio, inesplicabili in base alla corrente opinione.» La lettera è datata Padova 4 agosto 1597.
Nel 1609 Galileo si trova a Venezia, culla della cultura e dei commerci, ospite presso il Palazzo Ducale. Una sera di maggio apprese la notizia che un ottico olandese grazie ai suoi studi aveva costruito un giocattolo, il cannocchiale. Il cannocchiale è uno strumento che già da anni era fabbricato dagli ottici olandesi, ma non aveva ancora avuto successo. Il tubo ottico era formato da due lenti; convesse da un lato e concave dall'altro, consentendo di ingrandire le immagini lontane. Così preso dall'entusiasmo si costruì un primo rudimentale telescopio. Sapeva bene che le lenti degli occhiali non andavano bene per il suo intento, in quanto erano imprecise otticamente, così decise di costruirsele trovando tutto il materiale a Murano capitale europea della lavorazione del vetro.
Ad agosto costruì il suo primo telescopio che ingrandiva 9 volte e senza deformare le immagini. Quando il governo di Venezia apprese la notizia dell'esistenza del telescopio di Galileo, chiese subito allo scienziato una dimostrazione. Il 21 agosto 1909, alla sommità del campanile di Venezia davanti ad una rappresentanza di senatori e dotti mostrò la sua invenzione. L'effetto fu entusiasmante, la chiesa di Padova a 32 Km dal campanile attraverso il cannocchiale sembrava a 3 Km e mezzo. Murano, posta a 2 Km e mezzo, era avvicinata dal cannocchiale a 300m, una distanza che permette di distinguere le persone che passeggiano. Galileo offrì così il cannocchiale alla Repubblica di Venezia. E i senatori impressionati dalle possibili applicazioni militari dello strumento, gli tributarono un trionfo; e il suo stipendio all'università gli fu raddoppiato. Costruì quindi il suo secondo strumento con 20 ingrandimenti e più perfezionato. Ma stavolta decise di puntarlo verso il cielo ove scoprire un'infinità di meraviglie.
Il primo oggetto su cui puntare il nuovo telescopio è la Luna. Alla prima occhiata la Luna non gli apparve liscia e uguale ma montuosa e ricca di crateri. Dalla lunghezza delle ombre ricavò l'altezza di alcune sommità. Smentendo una convinzione radicata da secoli e cioè’ che la Luna sia liscia e che emetta luce propria. Egli vide che la luce era solamente quella riflessa dal Sole, tanto che poté comprendere il fenomeno della luce cinerea creata dalla riflessione dei raggi terrestri. Da ciò ricavò tantissimi disegni dettagliati della superficie lunare, con monti e valli. Poi puntò il telescopio verso le stelle, e rimase impressionato dal fatto che la Via Lattea non era quella distesa di vapori come prima si credeva, ma un'infinità di stelle ammassate. E' in questo periodo che scrive in latino il Sidereus Nuncius un'opera dove raccoglie tutti i commenti alle sue nuove scoperte: «Nella prima avevo stabilito di disegnare per intero la costellazione di Orione; ma poi, sopraffatto dalla massa ingente di stelle, e insieme dalla ristrettezza di tempo, rimandai questa impresa ad altra occasione; ce ne sono infatti più di cinquecento.» Nello stesso modo scoprì che le Pleiadi non sono 7 ma un gruppo di una quarantina di stelle prima invisibili.
Galileo invogliato dalle prime scoperte osservava tutte le notti. Di giorno invece lavorava per fabbricare un cannocchiale più perfezionato. Nei primi giorni del 1610 il nuovo strumento è pronto. Ingrandiva per 30 volte, e con esso compì una scoperta meravigliosa: «Pertanto il giorno 7 gennaio del corrente anno 1610, alla prima ora della notte, mentre guardavo gli astri celesti col cannocchiale, mi si presentò Giove; e poiché m'ero preparato uno strumento proprio eccellente, m'accorsi che gli stavano accanto tre stelline, piccole invero, ma pur lucentissime; e la loro disposizione sia rispetto a loro stesse che a Giove era la seguente...
Ma essendo io ritornato, non so da qual fato condotto, alla medesima indagine il giorno 8, trovai una disposizione molto diversa: erano infatti le tre stelline tutte occidentali rispetto a Giove.» Così osservando le sere seguenti Galileo comprende che accanto a Giove vi erano pianeti piccoli appena scoperti.
Il 12 marzo 1610 pubblicò il Sidereus Nuncius in cinquecento copie esaurite in poco tempo, con questo libro stupì l'intera Europa che discuteva dei monti della Luna, dei 4 nuovi pianeti e del cannocchiale dello scienziato. I quattro pianeti di Giove furono chiamati Medicei, in onore dei Medici del granducato, ma comunemente detti Galileani. Così i Medici per ringraziarlo dell'onorificenza del nome gli esaudirono il suo vecchio sogno: diventare il matematico di corte. Con questo incarico Galileo si poté dedicare pienamente alle sue osservazioni, senza problemi di orario e di insegnamenti universitari, eccetto qualche lezione privata. Nel settembre dello stesso anno dopo aver accettato la proposta dei Medici ritornò ad Arcetri, lasciando 18 splendidi anni di scoperte e successi a Padova.
Poco tempo dopo la pubblicazione del Sidereus Nuncius, gli avversari di Galileo si mobilitarono. Le scoperte era false e ingiuriose, Giove non poteva possedere dei pianeti perché ammessa l'esistenza, non servirebbero a niente. E dato che gli astrologi, con i loro oroscopi avevano tenuto conto di tutto ciò che si muoveva nel cielo, l'affermazione di Galileo era da ritenersi falsa. Nonché anche i professori di Pisa lo attaccarono, dicendo che i satelliti di Giove non esistevano perché non vi potevano essere più di sette oggetti mobili in cielo. Perché sette? Perché: sono sette i peccati capitali, sette i giorni della settimana, sette le meraviglie del mondo ecc. E poiché gli antichi erano molto sapienti e non ne parlavano nei loro testi, i pianetini non potevano esistere e chi li osservava al cannocchiale affermava che erano delle illusioni. Spesso alle contestazioni lo scienziato lasciava rispondere i suoi studenti, cercando invece di convincere grandi personalità come Keplero, al quale inviò una copia del suo libro incitandolo a dare un suo parere. Si dice che Keplero alla lettura delle scoperte pianse di gioia. Rispose subito a Galileo e si congratulò per quanto già fatto. Così il pisano gli mandò un cannocchiale con il quale poté anch'egli osservare i nuovi corpi celesti. Era importante anche convincere eminenti autorità come Clavius, Gesuita e capo degli astronomi del Papa. Egli era un grande esperto, ascoltato in tutta Italia. Ma si dimostrò restio a vedere allo strumento, finché, dopo tanto tempo anche lui riuscì a vedere i satelliti e apprezzarne l'esistenza.
Nel frattempo lo scopritore dei satelliti continuava a osservare il cielo. Su Saturno vide due satelliti appaiati, che per qualche tempo sparirono, erano gli anelli che si resero realmente visibili solo più avanti a Huyghens con un telescopio più potente. Ma se con Saturno non ebbe molta fortuna, non si poté dire lo stesso con Venere. Vi scoprì subito le fasi come quelle lunari e dopo esserne realmente certo ne comunicò la scoperta.
Nel settembre 1610 spedì a Keplero una lettera con un anagramma e a dicembre ne diede la soluzione "La madre degli amori imita le forme di Diana", cioè Venere imita le fasi della Luna. Osservò anche che il pianeta era a volte dietro il Sole e a volte davanti. Con tutte queste scoperte Galileo diventò un Copernicano convinto, perché se Venere girava attorno al Sole e mostrava le fasi come la Luna e in certi periodi si mostrava più grande e in altri più piccolo, tutto diveniva più chiaro e significava che il sistema eliocentrico è quello esatto. Ecco cosa scrisse in alcune sue lettere: a Giuliano de’ Medici, Firenze 13 novembre 1610. «Questo è, che Saturno, con mia grandissima ammiratione, ho osservato essere non una stella sola, ma tre insieme, le quali quasi toccano; sono tra di loro totalmente immobili, e costituite in guisa...; quella di mezzo è assai più grande delle laterali; sono situate una da oriente e l'altra da occidente, nella medesima linea retta a capello.» E poi ancora il 1° gennaio 1611 «Sapranno dunque come, circa 3 mesi fa, vedendovi Venere vespertina, la cominciai ad osservare diligentemente con l'occhiale, per veder col senso stesso quello di che non dubitava l'intelletto. La veddi dunque, sul principio, di figura rotonda, pulita e terminata, ma molto piccola: di tal figura si mantenne sino che cominciò ad avvicinarsi alla sua massima digressione, tuttavia andò crescendo in mole. Cominciò poi a mancare dalla rotondità nella sua parte orientale e aversa al sole, e in pochi giorni si ridusse ad essere un mezzo cerchio perfettissimo; e tale si mantenne, senza punto alterarsi, sin che cominciò a ritirarsi verso il sole... e certa dimostrazione di due gran questioni, state sin qui dubbie tra' maggiori ingegni del mondo. L'una è, che i pianeti tutti sono di loro natura tenebrosi (accadendo anco a Mercurio l'istesso che a Venere): l'altra, che Venere necessariissimamente si volge intorno al sole, come anco Mercurio e tutto li altri pianeti, cosa ben creduta da i Pittagorici, Copernico, Keplero e me, ma non sensatamente provata, come ora in Venere e in Mercurio.»
Il 29 marzo 1611 Galileo giunse a Roma, chiamato dalle alte autorità ecclesiali per vedere le sue nuove scoperte. Ricevette un'accoglienza trionfale presso gli astronomi del Collegio Romano e da Clavius. Fu accolto anche dal Papa Paolo V che lo ricevette in udienza privata. Nello stesso periodo Galileo dopo aver incontrato tutti gli intellettuali romani, venne anche nominato membro dell'Accademia dei Lincei. Un'accademia ove si riunivano uomini curiosi di conoscere le novità scientifiche. Ne facevano già parte: il matematico benedetto Castelli e il fisico Evangelista Torricelli. A questa proposta Galileo accettò estasiato, coinvolgendo così tanto il gruppo da far diventare uno dei programmi ufficiali la valorizzazione del programma scientifico dello scienziato e un acceso antiaristotelismo. Ma Galileo non sapeva che nel giugno dello stesso anno il cardinale Bellarmino, il primo teologo della Chiesa dell'epoca, chiese un rapporto segreto dell'Inquisizione sul pisano.
Nel settembre 1611 Galileo pranzò alla tavola del granduca Cosimo de’ Medici. E nacque una discussione sul fatto che il ghiaccio galleggia sull'acqua; alcuni degli invitati difendevano le teorie di Aristotele dicendo che il ghiaccio galleggia perché ha una forma a lastra e si oppone alla penetrazione dell'acqua. Galileo invece affermava, dopo i precedenti studi effettuati a Padova che il ghiaccio è più leggero dell'acqua e che quindi vi galleggia. Così arrivò a smentire le vecchie convinzioni aristoteliche in cui i corpi sono distinti in: pesanti e leggeri. Galileo fece notare che tutto derivava dalla aggregazione della massa, cioè diremo ai nostri giorni dalla densità, che cominciò a studiare subito dopo la scoperta della bilancia idrostatica. Il granduca quindi chiede a Galileo di scrivere un trattato, lo dedicò a Cosimo II, intitolato Discorso intorno alle cose che stanno in su l'acqua o che in quella si muovono (1612). Egli era un avversario duro da sconfiggere sul piano scientifico, e per queste sue continue vittorie si creò molti nemici che volevano a tutti i costi fargli smentire le affermazioni.
Nel 1612 i rivali cominciarono a muoversi, il primo fu padre Lorini che dichiarò come le affermazioni di Galileo erano in contrasto con la Bibbia e specialmente al passo in cui Giosué fermava il Sole. Ma Galileo si stava occupando d'altro, dell'osservazione delle macchie solari. Le macchie solari non sono state scoperte da Galileo, ma dagli antichi che di tanto in tanto scorgevano a occhio nudo le macchie, egli già nel 1610 iniziò le osservazioni. Ma in Germania padre Scheiner scrisse le Lettere sulle macchie solari, concludendo con tesi aristoteliche che essendo il sole un corpo perfetto non poteva avere macchie, esse quindi erano piccoli pianeti che passavano davanti al Sole. Galileo rispose nel 1613 con Lettere e dimostrazioni intorno alle macchie solari e loro accidenti, affermando che le macchie erano nubi piatte sulla superficie del sole e che il sole ruota su se stesso con velocità uniforme.
Nel 1613 iniziò ufficialmente la trappola contro Galileo. L'unico modo per farlo tacere era quello di portarlo con le spalle al muro parlando delle controversie religiose. Un domenicano di nome Caccini si scagliò con una serie di lettere contro lo scienziato, ne nacquero continue controversie e accuse, così da tutto questo gran movimento l'inquisizione si mise in moto. La chiesa non poteva stare immobile, poiché le confutazioni Copenicane si moltiplicavano e ciò che da 80 anni si discuteva sotto voce, adesso si gridava e se ne parlava continuamente. Galileo era diventato pericoloso, contro le convinzioni teologiche sull'universo e sulla veridicità delle affermazioni delle Sacre Scritture. Il cardinale Bellarmino, figura importante dell'epoca, colui che per tutta vita si era dedicato alla chiesa, che aveva mandato al rogo Giordano Bruno e aveva chiesto un rapporto segreto su Galileo gli scrisse in una lettera: «è cosa molto pericolosa non solo d'irritare tutti i filosofi e teologi scolastici, ma anche nuocere alla Santa fede col rendere false le Sacre Scritture...». E Galileo in una lettera al Castelli del 21 dicembre 1613 scrisse: «...non poter mai la Scrittura Sacra mentire o errare, ma essere i suoi decreti di assoluta ed inviolabile verità. Solo avrei aggiunto, che, se bene la scrittura non può errare, potrebbe nondimeno talvolta errare alcuno dei suoi interpreti ed espositori, in vari modi: tra i quali uno sarebbe gravissimo e frequentissimo, quando volessero fermarsi sempre nel puro significato delle parole, perché così vi apparirebbero non solo diverse contraddizioni, ma gravi eresie e bestemmie ancora; poi che sarebbe necessario dare a Iddio e piedi e mani e occhi, e non meno affetti corporali e umani, come d'ira, di pentimento, d'odio, e anco talvolta l'obblivione delle cose passate e l’ignoranza delle future. Onde, sì come la Scrittura si trovano molte proposizioni le quali, quanto al nudo senso delle parole, hanno aspetto diverso dal vero, ma son poste in cotal guisa per accomodarsi all'incapacità del vulgo, così per quei pochi che meritano d'esser separati dalla plebe è necessario che i saggi espositori produchino i veri sensi, e n'additino le ragioni particolari per che siano sotto cotali parole profferiti. Stante dunque che la Scrittura in molti luoghi è non solamente capace, ma necessariamente bisognosa d'esposizioni diverse dall'apparente significato delle parole, mi par che nelle dispute naturali ella dovrebbe essere riserbata nell'ultimo luogo...» Così in questa marea di critiche scrisse una lunga lettera a Cristina di Lorena la granduchessa, ove affermava che Dio si rivela agli uomini in due modi: attraverso la Bibbia, scritta secondo la cultura dell'epoca ma di basilare importanza per i princìpi teologici della Fede, e poi attraverso il libro dell'universo scritto in caratteri matematici, aperto alla conoscenza umana e espressione della potenza di Dio. Ma nel 1616 la Chiesa gli impose di rinnegare le sue false teorie e speculazioni sopra le scoperte fatte. A un suo amico scrisse: «Non voglio vedere uomini di valore pensare che per me le idee di Copernico non sono che un’ipotesi matematica priva di realtà». Egli non voleva essere considerato un eretico, sia perché non voleva finire al rogo e sia perché, egli era profondamente credente e anche a lui gli interessava porre una giusta via riguardo le scoperte. Così, invece di rinunciare decise di battersi contro la mentalità retriva a innovazioni, da parte di buona parte del clero papale.
Il 26 febbraio 1616, Galileo ottenne un colloquio con Bellarmino, circondato dai domenicani più importanti, gli fu comunicato che l'Inquisizione aveva emanato un decreto: «L'idea che la terra ruota attorno al sole è stolta, assurda, filosoficamente e formalmente eretica, perché contraddice esplicitamente la dottrina delle Sacre Scritture...» Vengono quindi ritirate presso tutte le librerie i libri dello scienziato, di Copernico e di tutti coloro che sostenevano tale sistema. Galileo riapparve due anni dopo, quando pubblicò Il Saggiatore, parola derivante dal nome delle bilance di precisione degli orefici, con il quale intendeva pesare le opinioni proprie e altrui. Sviluppò una polemica contro le speculazioni scientifiche sulla natura delle tre comete che erano apparse in quel periodo. Il più grande oppositore era Grassi che pensava che le comete fossero giustamente corpi di origine celeste; mentre Galileo pensava fossero apparenze dovute ai raggi solari, errato da parte di Galileo ma giusta la critica contro coloro che affermavano cose solo per il sapere "cartaceo", privo di ogni esperienza.
Nel 1623 anno di pubblicazione dell'opera, morì il Papa e successe Urbano VIII già cardinale Barberino amico e difensore di Galileo da moli anni. Ricevuto a braccia aperte dal nuovo Papa, ottenne il permesso di scrivere un'opera ove presentasse le due teorie possibili secondo Tolomeo e Copernico. Impiegò quattro anni per scrivere, e nel 1632 pubblicò il libro intitolato Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo. Il Dialogo è tra tre uomini: Salviati difensore di Copernico, Sagredo un uomo di buon senso che cerca di capire e Simplicio difensore di Aristotele e del sapere privo di esperienza. Sagr.«...il dire "Perch'io non so a quel che mi serva Giove o Saturno, anzi non sono in natura"; mentre che, o stoltissimo uomo, io non so né anco a quel che mi servano le arterie, le cartilagini, la milza o il fele, anzi né saprei d'aver il fele, la milza o i reni, se in molto cadaveri tagliati non mi fussero stati mostrati, ed allora solamente potrei intender quello che operi in me la milza, quando fusse levata. Di più, chi vorrà dire che lo spazio che costoro chiamano troppo vasto ed inutile, tra Saturno e le stelle fisse, sia privo d'altri corpi mondani? Forse perché non gli vediamo? Adunque i quattro pianeti Medicei e i compagni di Saturno vennero in cielo quando noi cominciammo a vedergli, e non prima? E così le altre innumerabili stelle fisse non vi erano, avanti che gli uomini le vedessero? Prontuosa anzi temeraria ignoranza de gli uomini! (...) Grandissima mi par l'inezia di coloro che vorrebbero che Iddio avesse fatto l'universo più proporzionato alla piccola capacità del lor discorso, che all'immensa, anzi infinita, sua potenza.» All'uscita del libro che ebbe un grandissimo successo in tutta Europa, corrispose un duro attacco al sistema geocentrico e l'immediata risposta dell'Inquisizione, il libro venne subito vietato, e Galileo richiamato a Roma, minacciato di tortura pur avendo 69 anni, solo, senza nemmeno l'appoggio di Cosimo de' Medici, morto qualche anno prima.
Il 12 aprile 1633 fu dichiarato in stato di arresto e imprigionato, dovette inginocchiarsi e abiurare tutte le verità scoperte: «Con cuor sincero e fede non finta abiuro, maledico e detesto li suddetti errori et heresie...e giuro che per l'avvenire non dirò mai più né asserirò, in voce o per scritto, cose tali per le quali si possa haver di me simil sospitione, ma se conoscerò alcun heretico o che sia sospetto d'heresia, lo denunziarò a questo santo Offizio...» come penitenza per tre anni venne condannato alla recitazione quotidiana dei sette salmi penitenziali; il Papa non firmò la sentenza. Poi la leggenda vuole che egli disse: «Eppur si muove!».
Per le sue precarie condizioni di salute e per venirgli incontro, fu rilasciato un anno dopo e gli fu concesso di risiedere prima a Villa Medici, a Trinità dei Monti, poi a Siena presso l'arcivescovo Piccolomini e infine a casa sua ad Arcetri, presso Firenze. Naturalmente impossibilitato a uscire senza autorizzazione, né ricevere visite senza un inquisitore.
Così per non far pesare il tempo, decise di dedicarsi alla stesura dei suoi ultimi libri che uscirono più avanti: Dialoghi delle nuove scienze e Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze attinenti alla meccanica ed i movimenti locali. Riuscì a farli pubblicare clandestinamente ad Amsterdam, lontano da Roma e da chi non capiva l'importanza di quei libri definiti i primi trattati di fisica moderna.
Nel 1638 divenne totalmente cieco, perdendo quel senso che tanto usò per comprendere il cielo; il 2 gennaio 1638 scrisse della sua cecità: «In risposta all'ultima gratissima di V.S. delli 20 novembre, intorno al primo punto ch'ella mi domanda, attenente allo stato della mia sanità, le dico che quanto al corpo ero ritornato in assai mediocre costituzione di forze; ma ahimè, signor mio, il Galileo, vostro caro amico e servitore, è fatto irreparabilmente da un mese in qua del tutto cieco. Or pensi V.S. in quale afflizione io mi ritrovo, mentre che vo considerando che quel cielo, quel mondo e quello universo, che io con maravigliose osservazioni e chiare dimostrazioni avevo ampliato per cento e mille volte più del comunemente veduto da' sapienti di tutti i secoli passati, ora per me s'é sì diminuito e ristretto, ch'é non è maggiore di quel che occupa la persona mia. Questa così strabocchevole trasmutazione ha cagionato nella mia mente una straordinaria metamorfosi di pensieri, concetti ed essegnamenti; sopra di che per ora non posso se non dire, anzi accennar poco a V.S. molt'illustre, perché mi trovo troppo distratto di mente anco nel pensare alle nuove amministrazioni circa più particolarmente alle cose contenute nella sua graditissima lettera...» In quegli anni di salute cagionevole oltre a perdere la vista perse anche l'udito e perdendo anche la possibilità di suonare il suo strumento preferito, il liuto. L'8 gennaio 1642 morì ad Arcetri il grande scienziato, apprezzato per aver rivoluzionato il pensiero nei confronti della scienza, ma morto da eretico.
Galileo fu un uomo eccezionale, egli segna il passaggio decisivo tra la vecchia concezione della scienza puramente filosofica e in alcuni casi astratta, e della nuova distaccata dalle affermazioni filosofico-teologiche basandosi sulla dimostrazione delle teorie e non sulle sue speculazioni e errate interpretazioni. Il passaggio definitivo a questo modo di intendere la scienza non è solo frutto delle scoperte di Galileo, ma anche di tanti altri scienziati come Copernico che facevano già da tempo prendere coscienza dei limiti delle convinzioni assolute. In quegli anni anche Giordano Bruno affermava di un universo infinito e eliocentrico. Ma è sicuro, che Galileo dà un grosso colpo a ciò che si stava preparando da tempo. Fu lui a far capire che tutte le affermazioni vanno riscontrate anche nella pratica, egli non sosteneva idee inventate, ma vedeva realmente la realtà. Il problema dell'epoca erano le antiche convinzioni difficili da sdradicare: vedi l'eliocentrismo, la disuniformità della superficie lunare, le macchie solari, le fasi di Venere, i satelliti di Giove e Saturno, la natura della Via Lattea, delle comete ecc. tutte convinzioni smentite da chiunque osservava con il suo telescopio. Insomma possiamo affermare che Galileo ha segnato un'epoca e che riuscì con gli anni a far comprendere alle menti dei teologi, che la Bibbia non va presa alla lettera, ma va interpretata in base al periodo storico. Dobbiamo anche aggiungere al di là delle innumerevoli scoperte astronomiche e più prettamente di natura fisica: la caduta dei gravi, la forza di inerzia ecc. Che Galileo è il primo divulgatore della scienza e dell'astronomia in genere, fu infatti uno dei pochi ad avere tutta la volontà di scrivere trattati in volgare, per rendere alla portata di tutti le conoscenze e far guardare a una moltitudine di gente le meraviglie del cielo, patrimonio di conoscenza per tutti.
(2005)
Bibliografia:
-Storia d'Italia, Indro Montanelli EDIZ. Rizzoli.
-Galileo messaggero delle stelle, Jean-pierre Maury EDIZ. Universale Electa/Gallimard Scienza;
-Letteratura Italiana, Mario Pazzaglia EDIZ. Zanichelli.
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