Appare evidente come l'epoca attuale abbia reso il dissenso qualcosa di inopportuno. In ciò si esplicita la crescente omologazione degli individui che appiana fievoli sacche di dissidenza che confinate a mera lamentela. Anche le poche battaglie politiche delle parti sociali e delle opposizioni, condotte contro gli atti del governo, finiscono con lo svuotarsi in ragione di una necessità di cambiamento dello status quo.
Si prenda Facebook, il vero contenitore (in tutti i sensi del termine) della rabbia e della frustrazione. Qualsiasi dissenso si ferma lì, in parole a volte fuori tono che poi non trovano un reale sviluppo nei fatti: quante volte si dice che le proteste in occidente ormai si fanno nei social e non nelle piazze? Emblematico è in tutto questo il fatto che su Facebook esistano i tasti di condivisione, si possa commentare e al massimo si può mettere un "mi piace", ma non esiste il tasto "non mi piace"; come se in quest'epoca ciò che non piace debba necessariamente corrispondere al silenzio, all'afasia, al disinteresse. Non si può dissentire, perché al massimo ci si può astenere. Questo è dunque il carattere del cosiddetto "politicamente corretto" che annichilisce, purtroppo, ogni ipotesi di contrarietà.
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