venerdì 26 giugno 2015

L'impopolarità del dissentire


Appare evidente come l'epoca attuale abbia reso il dissenso qualcosa di inopportuno. In ciò si esplicita la crescente omologazione degli individui che appiana fievoli sacche di dissidenza che confinate a mera lamentela. Anche le poche battaglie politiche delle parti sociali e delle opposizioni, condotte contro gli atti del governo, finiscono con lo svuotarsi in ragione di una necessità di cambiamento dello status quo.

Si prenda Facebook, il vero contenitore (in tutti i sensi del termine) della rabbia e della frustrazione. Qualsiasi dissenso si ferma lì, in parole a volte fuori tono che poi non trovano un reale sviluppo nei fatti: quante volte si dice che le proteste in occidente ormai si fanno nei social e non nelle piazze? Emblematico è in tutto questo il fatto che su Facebook esistano i tasti di condivisione, si possa commentare e al massimo si può mettere un "mi piace", ma non esiste il tasto "non mi piace"; come se in quest'epoca ciò che non piace debba necessariamente corrispondere al silenzio, all'afasia, al disinteresse. Non si può dissentire, perché al massimo ci si può astenere. Questo è dunque il carattere del cosiddetto "politicamente corretto" che annichilisce, purtroppo, ogni ipotesi di contrarietà.

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