giovedì 4 agosto 2011

La pretesa del rispetto

Sono anch'io convinto del fatto che sia una buona norma e rispetto vestire in maniera adeguata all'ingresso dei luoghi di culto: chiese, moschee o sinagoghe. In genere il decoro vuole che le donne non vestano abiti succinti e gli uomini evitino canottiere e pantaloncini. Per quanto questo divieto sembri vetusto e a tratti ridicolo, comprendendone l'importanza del luogo ci si adegua.

A volte capita pure di riscontrare questo stesso divieto anche presso alcuni uffici pubblici. Su questo divieto sono incappato giorni fa andando al Comando dei Vigili Urbani di Siracusa e, visto il caldo, vestivo con maglietta, pantaloncini e ciabatte per una multa. All'ingresso il Vigile Urbano mi ha fatto notare che esiste un'ordinanza del comandante dei vigili che vieta l'ingresso alle persone vestite in maniera "non decorosa". Pertanto onde evitare problemi maggiori, sono stato costretto a tornare a casa e a mettere pantaloni lunghi e scarpe. Questa operazione mi ha fatto perdere un'ora circa dato che dovevo raggiungere l'altro capo della città e spostarmi in mezzo al traffico: oltre a considerare la rabbia che montava... 


 Giunto al comando la solita attesa, tra il comico e il tragico: soggetti bizzarri, persone che giustificano tutto soprattutto una multa palese subita, a loro dire, mentre altri fanno ciò che vogliono. Ma tra i molteplici episodi c'era da riscontrare come le numerose persone che arrivavano commentavano il divieto con ironia e rabbia: "A unni semu a' chiesa?" "Decoro? Ma stiamo scherzando? E' ridicolo..."
Su questo argomento, discutendone con amici, ho riscontrato due punti di vista diversi: coloro che considerano il divieto come sacrosanto e chi come me pensa che il rispetto vada richiesto quando c'è rispetto. Chiedermi di vestire in un certo modo penso che allo stato attuale sia interpretabile in una accezione più negativa che positiva. Negativa perché invece di poter essere considerata come una forma di ordine, esso viene visto come un impedimento. Impedimento perché esso si aggiunge ai tanti obblighi che il cittadino è costretto ad avere, obblighi che non danno ordine ma un'ennesima difficoltà. Questa sensazione in me si è acuita per diverse ragioni.
La mia presenza al comando era necessaria per defalcare due punti dalla patente e successivamente per ottenere il bollettino postale per il pagamento. Ciò che induce la solita sensazione di oppressione al cittadino sono le difficoltà scaricate al cittadino. Per defalcare i punti è necessario presentarsi al comando, quando ormai basterebbe usare l'autocertificazione via internet. Il comando non riceve tutti i giorni e comunque si impiegano almeno due ore in attese. Il bollettino non è pagabile online perché il codice postale non lo consente, quindi è necessario perdere una mattinata alla posta: sappiamo quanto tempo sia necessario!

A fronte di uno o due giorni lavorativi persi per una semplice multa, l'impressione di un'ordinanza che chieda il decoro presso gli uffici pubblici appare come una beffa. Sicché ancora una volta l'indifferenza e il distacco delle istituzioni di fronte alle esigenze dei cittadini induce chiunque a un gesto di stizza nei confronti di certe pretese di rispetto. Da qui la voglia di fare il furbo, di evitare la sanzione, e persino di beffeggiare il sacrosanto diritto di rispettare chi lavora negli uffici. Il tutto perché il sistema e le istituzioni continuano a non essere credibili, ma anzi vengono viste come qualcosa che ostacola le libertà personali e la propria esistenza.

Nessun commento:

Posta un commento