sabato 9 agosto 2014

Giappone 2013: Nagoya (ottavo giorno)


Venerdì 5 aprile: Nagoya

La notte era trascorsa bene, il futon in fondo era ben più comodo di quanto pensassi. Dopo aver preparato le valigie e aver saldato il conto ci siamo diretti verso il nuovo hotel dove avremmo trascorso il resto delle notti a Nagoya. Ci siamo spostati a piedi perché esso si trovava abbastanza vicino ed era anche posto in una zona molto centrale della città. In tarda mattinata ci saremmo incontrati con il gruppo degli invitati al matrimonio con cui avremmo proseguito il viaggio. L'appuntamento era alla stazione centrale di Nagoya sotto un grande orologio che sembrava essere il riferimento per tantissime persone in attesa di altrettanti appuntamenti. 

Una grande statua del Buddha
Il gruppo era formato per lo più da tedeschi invitati dallo sposo che abbiamo conosciuto sul momento. La sposa, Natzuko, che viveva in Germania era il nostro riferimento per guidarci in quella seconda parte di viaggio organizzata da lei. 
Sin dall'inizio uno dei problemi più evidenti era il fatto di essere aggregati ad un gruppo più vasto di persone, con tutti i limiti che ciò comporta, inoltre c'era una prevalenza di discussioni in tedesco che fin troppo spesso mi escludevano dal capire l'oggetto della questione. Tuttavia vivevo quei momenti con distacco perché in fondo a guidarci era una persona del posto e ciò scaricava le mie responsabilità. 
In un gruppo folto i tempi di decisione sono sempre più lunghi. Tra attendere le esigenze di ognuno e stabilire ciò che prioritariamente era opportuno fare si spendevano molti tempi morti, finché ci siamo spostati in metro verso un tempio buddista dove era in corso una cerimonia religiosa. All'interno del tempio i fedeli erano raccolti in preghiera e i monaci intonavano dei mantra seguiti da dei gesti rituali tipici di una celebrazione buddista. Abbiamo assistito per un tempo relativamente breve alla cerimonia anche perché il resto del gruppo ci attendeva fuori per proseguire. Posso tuttavia dire che la suggestione era molta e questo breve approccio mi ha fatto scattare l'esigenza di voler ripetere in futuro l'esperienza in maniera completa...



In poco tempo era giunta l'ora di pranzo così siamo andati in un ristorantino rustico dalla tipica atmosfera giapponese. Le scritte sui muri descrivevano le pietanze, e nell'impossibilità di scegliere ci si è affidati a una sommaria decisione di Natzuko: come già detto, tutto il cibo giapponese è buono. L'atmosfera del locale era molto informale, in una parte di esso dei giapponesi sedevano inginocchiati davanti un tavolo basso; per quanto in quasi tutti i ristoranti la postura sia quella occidentale, sussistono alcuni posti dove si mantiene viva la tradizione. Altra cosa da aggiungere riguarda la presenza in un angolo del locale di un piccolo giardino giapponese. Pochi metri quadri dove la disposizione delle rocce e della vegetazione richiamava la tradizione dei giardini zen. Tutte le volte che mi sono imbattuto in questi angoli mi sono sempre più reso conto di quanto la coscienza dei popoli sia stratificata in maniera inconscia. Così come in Italia adottiamo certe piccole abitudini derivate da secoli di storia, anche in Giappone il meccanismo è il medesimo portando una spontanea manifestazione della propria identità. Il tempo presente ha già modificato tutto ma la storia e le vicende di un popolo sono sempre vive nella parte inconscia di noi stessi.
Le persone del gruppo con cui m’ero seduto erano dei ragazzi un po’ più piccoli di me. C’era un portoghese piuttosto espansivo che spesso accennava due o tre parole in italiano cercando di rendersi simpatico, poi un tedesco dai modi fighetti e un altro all'opposto parecchio taciturno. Ammetto che sin da subito non mi sono sentito a mio agio con loro, non per ragioni di età quanto di argomenti perché per tutto il tempo, ma anche successivamente nel corso del viaggio, l’argomento principale era il lavoro e gli ambiti connessi. Così si parlava delle strategie commerciali di Google, di Amazon e delle nuove tecnologie. Ora è evidente il fatto che io mantengo sempre una certa apertura verso argomenti lontani dai miei a causa della mia curiosità, ma il loro modo di fare superava la mia pazienza… Ciò che interpretavo del loro carattere erano i differenti valori, fermi a quel mondo ovattato della way of life americana. Lo manifestavano anche quando abbiamo parlato dell'Europa, che consideravano semplicemente un continente vecchio e inutile, perché la Mecca (per loro) restava l’America e gli altri paesi emergenti, proprio in ragione di questa visione. In queste parole c’è in fondo qualcosa di vero ma si nasconde anche l’idea che l'esistenza sia semplicemente quella di inseguire il denaro, avere successo e fare soldi. Chi come me ha conquistato un punto di vista opposto, credendo che il futuro sia nel mutamento degli attuali valori fittizi non poteva certamente sentirsi a suo agio, né aveva modo di farsi capire. Quel pranzo infatti divenne presto noioso e di sicuro quella combriccola di ragazzi che in poche ore si era già affiatata, l’avrei evitata per il resto del viaggio.

Il castello di Nagoya
Nel pomeriggio ci siamo diretti verso il castello di Nagoya. Già dalle foto che avevo visto in precedenza la struttura si presentava per me poco interessante, cosa che ho confermato anche nel corso della visita; il castello nei secoli passati aveva avuto la funzione di estremo baluardo della città, dotato di un solo grande edificio circondato da un fossato. Il Giappone ne è pieno, ma le loro caratteristiche costruttive e tecniche sono ovviamente diverse da quelle europee. All’interno c’era un’esposizione di oggetti, strumenti, tessuti e una ricostruzione delle case tradizionali. Mi ha colpito invece assaggiare (al termine della visita) un vero e proprio tè giapponese il cui gusto è molto diverso da quello che conosciamo. Non si usa mettere dello zucchero e viene servito in una semplice scodella dove emerge il liquido schiumoso verde assieme ad un dolcetto. Anche il sapore è strano a tratti non proprio gradevole. Tutto ciò mi ha richiamato alla mente la cerimonia del tè Cha no yu

La cerimonia del tè
Lungi dal voler spiegare la cerimonia, basti solo dire che essa tradizionalmente è un vero e proprio rito codificato dal maestro Sen no Rikyū verso la fine del XVI secolo. Ciò che pare assurdo di questa cerimonia è l'importanza che storicamente ogni individuo ne dava. Chi come noi occidentali tende a banalizzare ogni cosa, frutto della secolarizzazione dei tempi, la cerimonia del tè diveniva un modo per ritrovare se stessi e l'armonia col cosmo. La finezza di questa cerimonia determinava un assoluto rigore nei gesti e nella disposizione dei pochi oggetti all'interno della stanza. Personalmente sono rimasto affascinato nello scoprire che l'unico ornamento di una stanza del tè è spesso una stampa e una pianta con un solo fiore, per non distogliere l'attenzione sposandola alla pluralità dei fiori. Inoltre la cerimonia si adattava in base alla stagione, per usare le parole di Rikyū: «Il cuore della Cerimonia del tè consiste nel preparare una deliziosa tazza di tè; disporre il carbone in modo che riscaldi l'acqua; sistemare i fiori come fossero nel giardino; in estate, proporre il freddo; in inverno, il caldo; fare tutto prima del tempo; preparare per la pioggia e dare a coloro con cui ti trovi ogni considerazione.» La cerimonia ormai appartiene al passato (salvo le rievocazioni per mero spettacolo), come un evento che non riguarda più la vita dei giapponesi di oggi.

Uno scorcio di Nagoya dal castello
Al termine della visita ci siamo sganciati dal gruppo, loro volevano andare a fare shopping: figuriamoci, tanto valeva andare a rilassarsi in hotel. Sicché all'ora prestabilita ci siamo rivisti col gruppo davanti al ristorante, un posto parecchio chic dove abbiamo lasciato le nostre scarpe all'ingresso e ci siamo seduti attorno ad un tavolo superando un animato gruppo di giapponesi. Con buona probabilità erano colleghi di lavoro usciti per una cena dove si alza il gomito eccedendo col sakè. Questa caratteristica è abbastanza tipica del Giappone. Non è difficile infatti incrociare di sera persone in giacca e cravatta che escono mezzi ubriachi dai ristoranti. Per molti di loro è un modo per staccare dal rigido protocollo, soprattutto nei confronti dei capi che in quell’occasione si rilassano finendo col cantare canzoni o scherzando giocosamente. Ma l’ubriacatura dei giapponesi non è mai molesta, sempre educata al più un po’ rumorosa. 
Il nostro gruppo invece era più calmo, intento più che altro a voler provare i piatti della lista. Sul tardi, ad animare le conversazioni e l’atmosfera si sono unite due amiche di Natzuko. La prima arrivata quasi subito aveva iniziato a discutere del fatto che al matrimonio non avrebbe indossato il kimono, perché – mi spiegava - vestire il kimono oltre ad essere scomodo, richiede un lungo tempo di preparazione: ragion per cui molte donne giapponesi preferiscono dei comodi abiti occidentali. 
Poco dopo è arrivata un'altra ragazza invitata al matrimonio, Toki. Una minuta giapponese espansiva che amava stare al gioco quando si trattava di far battute e chiacchierare. Era arrivata con uno smartphone nuovo di zecca in sostituzione del precedente, un mero capriccio con cui era passata ad un modello più aggiornato. Non sapeva come eseguire le foto ed è stato curioso riuscire a risolverlo io, facendomi guidare tra le scritte in giapponese e le icone delle applicazioni.

Il gruppo di colleghi giapponesi accanto al nostro tavolo
Il nostro gruppo di viaggio a tavola
Il karaoke
Al termine della cena abbiamo pensato di concludere la serata andando al karaoke. Avevamo invogliato il gruppo a venire ma alla fine l'unica che ci avrebbe dedicato un'oretta era Toki.
Il karaoke si trovava al terzo piano di un edificio del centro, siamo entrati in una stanzetta insonorizzata incrociando coppie e famiglie che pagavano per l'esibizione di un'ora. Quando ci siamo seduti nella stanza: io, Diego, Thomas, Eric e Toki non sapevamo cosa scegliere. C'erano molte canzoni in lingua inglese, quelle davvero famose, ma quando abbiamo pensato di cercarne altre, la cosa si era complicata. C'era appena una canzone di Edith Piaf in onore di Eric, di italiane pochissime: ricordo solo di aver cantato Volare di Modugno. È stata invece molto più divertente l'esecuzione di Toki lei si che era davvero intonata! Abbiamo concluso la serata un po' storditi, avevamo vissuto un'esperienza unica: il karaoke in Giappone. Mi è capitato di vivere simili serate in Italia, ma in genere mi sono sempre annoiato. In quella atmosfera invece, chiusi in una stanza come dei veri giapponesi, nell’altro capo del mondo, quel passatempo assieme ad europei e una giapponese assumeva un ruolo molto diverso.


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