Al mattino la febbre di Enrico era scesa ai valori normali. Io mi ero quasi del tutto ristabilito, anche il mal di gola era già passato, la mia tempra non aveva causato alcun problema.
I dottori statunitensi
Per la colazione c’era una stanza dell’hotel dove gli addetti portavano ciò che si desiderava. Mentre attendevamo l’arrivo del primo pasto abbiamo incrociato un gruppo di americani che conversava. In poco tempo siamo entrati in discussione e abbiamo scoperto che erano un gruppo di dottori in missione nel Nepal per studiare il sistema sanitario locale. In particolare abbiamo parlato con un ragazzo di origini italiane che ha reso la conversazione molto piacevole. Abbiamo chiesto conferma se il morso di una sanguisuga costituisse un pericolo per la trasmissione di agenti patogeni, ma ci ha confermato l’assenza di problemi. Poi non ho resistito dal fargli delle domande sull’interpretazione della medicina nei confronti delle tradizioni orientali: il discorso stava prendendo una piega interessante quando l’intero gruppo è dovuto andare via perché già tardi. Quando sono andati via tutti con Enrico abbiamo ironizzato sul fatto che era bizzarro che dei dottori facessero una ricerca, non sulla medicina tradizionale nepalese (che avrebbe avuto parecchio senso), ma sull’organizzazione sanitaria del Nepal; questo progetto finanziato dalla loro università sembrava una mera scusa per restare in Nepal per diverse settimane. Però era interessante notare come dei dottori, invece di andare in un albergo di lusso, come avrebbe fatto qualsiasi medico italiano, soggiornassero in una modesta guesthouse.
La visita al monastero di Kopan
La seconda ragione per cui avevamo scelto quell’alloggio era la presenza del monastero di Kopan, dato che era un centro buddista per stranieri. Il nostro intento non era quello di restarvi a lungo, ma almeno di fare una visita alla struttura onde farsi un’idea. Ma Enrico ancora non se la sentiva di uscire così decisi che sarei andato da solo.
Le strade della periferia
Non ero particolarmente entusiasta all'idea di affrontare a piedi la periferia di Kathmandu, tuttavia sapevo che era solo una mia fisima priva di fondamento. Grazie alla posizione tracciata sul cellulare non avrei avuto alcun problema nell’orientarmi tra le stradine.
Già quando si metteva piede fuori dall’albergo sembrava di trovarsi nella striscia di Gaza o nella Beirut durante la guerra. Come avevo già scritto, nella zona vi erano dei lavori per la posa dei tubi della fognatura. Lavori che rendevano la vita davvero difficile perché, non solo non vi era asfalto nelle strade, ma le buche dove si eseguivano i lavori venivano lasciate tranquillamente aperte anche di notte e passare era anche difficile per i pedoni, perché non avevano predisposto dei veri e propri passaggi, tutto era lasciato all’improvvisazione.
Il monastero di Kopan
Dopo più di mezz’ora e un’ascesa faticosa, anche in ragione del caldo, sono arrivato all’ingresso del monastero che si trovava in cima ad una collina da cui in lontananza si vedeva lo stupa di Boudhanath.
Il monastero non era un luogo affascinante, probabilmente perché la struttura è moderna, un po’ come l’insediamento tibetano a Pokhara. In quel luogo vi vivono i monaci e per alcuni giorni vi sostano dei turisti che vogliano fare un’esperienza di meditazione e conoscenza della dottrina buddista. Infatti vi erano delle stanze per i visitatori, una reception e una libreria. L’ambiente è molto rilassato e alle 10 vi doveva essere una cerimonia che in realtà si è tenuta con un’ora di ritardo. Quando sono arrivato alcuni turisti si stavano raccogliendo per attendere la cerimonia. Poi alcuni monaci si sono raccolti in fila sotto il sole con i tipici strumenti musicali della tradizione tibetana. Gli altri turisti avevano acquistato nel vicino negozio la sciarpa bianca da benedizione che poi presi anche io non perché ci tenessi tanto alla benedizione, più che altro perché volevo che il ricordo di quel momento si materializzasse in un oggetto.
La cerimonia ebbe inizio quando giunse un’auto con un anziano Lama. I monaci quindi iniziarono a suonare gli strumenti determinando una sensazione di commozione. L’odore dell’incenso e l’avvicinarsi del Lama, che ricambiava in benedizioni ad ogni persona messasi in fila, erano un’esperienza straordinaria… Di per sé l’istante in cui ricevetti la benedizione non ha avuto alcun effetto emotivo in aggiunta a ciò che avevo vissuto, però ha creato un ricordo importante.
In stanza era venuto a trovarci Haren, seduto davanti al letto di Enrico che ancora aveva qualche linea di febbre. Egli è rimasto con noi appena un’ora poiché aveva un impegno e dato che l’indomani era il nostro giorno della partenza, lo salutammo ringraziandolo infinitamente per il suo prezioso aiuto e per l’incredibile gentilezza.
Nel primo pomeriggio il tempo cominciò a guastarsi, infatti quando chiesi a Clara se era possibile incontrarci nel pomeriggio mi disse che a causa del tempo preferiva rinviare a domani. Era un peccato perché il pomeriggio era lungo e ormai sentivo che il viaggio volgeva al termine senza avere più alcuna volontà di fare qualcosa; avevo visto tutti i monumenti e i luoghi che ci eravamo prefissati e così era subentrata una forma di stanchezza anche nei confronti del viaggio in sé. Psicologicamente mi stavo già proiettando verso casa e al lungo viaggio che avremmo dovuto affrontare l’indomani.
Le bandiere tibetane
Così nel tardo pomeriggio uscii nuovamente per comprare gli ultimi souvenir tra le botteghe di Boudhanath. In una di esse comprai qualcosa che desideravo da tempo, le bandiere di preghiera tibetane.
Le bandiere compaiono in tutti gli stupa buddisti, ma se ne trovano anche nei tetti di alcune case e nei balconi; alcune legate da un filo con uno sviluppo orizzontale, altre legate a un’asta in posizione verticale. I cinque colori rappresentano i cinque elementi fondamentali, in occidente gli elementi sono quattro perché qui si aggiunge anche il vuoto o l’aria. Nelle bandiere vi è stampato un mantra in tibetano. Le bandiere in genere vengono appese in luoghi ventosi, perché il vento spande gli effetti benefici dei mantra. Ne comprai alcune per me e come souvenir per gli amici come il più bel ricordo di un luogo spirituale…
La sera Enrico si è deciso ad uscire, dato che stava meglio, per cercare un posto dove mangiare. Abbiamo cenato a base di momo lasciandoci sedurre anche da una sorta di fast food nepalese. In albergo poi abbiamo trascorso la serata vedendo un film.
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