mercoledì 3 febbraio 2016

Nepal 2015: ritorno a Kathmandu (ottavo giorno)

Tramonto allo stupa di Boudhanath
Giovedì 23 aprile

Quella mattina ci siamo svegliati presto, abbiamo raccolto le nostre cose e abbiamo fatto colazione in un bar vicino. Alle 7;30, puntuale, è venuto lo stesso taxista che ci aveva portato da Keshab. Siamo qundi arrivati in perfetto orario alla fermata degli autobus fermandoci anche in una farmacia dove abbiamo comprato delle caramelle balsamiche, che anche io, oltre a Enrico, soffrivo di mal di gola. Egli era ancora febbricitante e per questa ragione si era seduto subito in autobus per riposare. 
Era una giornata fantastica con un cielo talmente terso da consentire la visione perfetta delle cime himalayane. Per giorni avevo sperato di poterle vedere chiaramente e adesso, per la legge di Murphy, nell’unico momento in cui non c’era tempo comparivano maestose.
Nel frattempo mi sono accorto che ci eravamo dimenticati delle scarpe da trekking nel bar da cui eravamo partiti. Essendo le scarpe ancora umide dal giorno precedente le avevamo messe in un’unica busta ed Enrico le aveva lasciate. Così abbiamo chiamato nuovamente il taxista che ci ha fatto il favore di recuperarle con il rischio di non arrivare in tempo, dato che dopo pochi minuti il bus sarebbe partito, ma i tempi elastici nepalesi sulla partenza hanno per fortuna dato un ampio margine per recuperarle.


Le cime himalayane al terminal dei bus
Il viaggio, manco a dirlo, è stato lungo e noioso. Nel pomeriggio siamo arrivati a Kathmandu puntuali dove abbiamo preso un taxi che ci ha lasciato allo stupa di Boudhanath. Per nostra decisione in questo secondo ritorno a Kathmandu abbiamo scelto di alloggiare lontano dal centro, onde cambiare zona e visitare le ultime attrattive lontane dal caos del centro. Giunti allo stupa, zaini in spalla ci siamo incamminati per le stradine tortuose che ci hanno condotto sino all’albergo. 
Pur essendo le cinque del pomeriggio abbiamo preferito riposare in camera per alcune ore. Poi sono uscito da solo per fare alcune foto nel tardo pomeriggio, quando l’atmosfera assumeva delle tonalità fantastiche.

Lo stupa di Boudhanath

Lo stupa di Boudhanath
La ragione per cui tornando nella capitale abbiamo scelto un albergo vicino allo stupa di Boudhanath è non solo quella di visitarlo ma anche di cambiare zona della città. Avevamo pensato che fermandoci in periferia avremmo potuto vedere un'altra Kathmandu. In effetti era vero, qui le strade si percorrevano prevalentemente a piedi e senza il solito via vai di mezzi tutto era più sereno.
Lo stupa di Boudhanath è uno tra i più grandi dell’Asia e senza dubbio il più grande del Nepal con i suoi 36 metri di altezza e un diametro notevole (non ho idea della misura, ma per fare un giro attorno camminando ci si impiegano almeno 10 minuti). Si dice che questo stupa venne costruito subito dopo la morte del Buddha alcune fonti parlano del 700 d.C. e successivi apporti nel XV e XVI secolo. 


Monaco in preghiera con l'iPad
La visita per me è durata poco più di un’ora, rassicurato dalle luci dorate di un tramonto che infondeva una sensazione molto piacevole. Solo in quei minuti mi resi finalmente conto di dove fossi, dato che spesso gli spostamenti avevano la schiavitù d’una scadenza o d’un appuntamento imminente che cancella la virtù della meditazione. In quel momento invece passeggiavo senza fretta osservando quel mondo così distante eppure sempre più familiare. Osservavo così i comportamenti delle persone comuni: le ragazzine che si mettevano in posa davanti al loro smartphone per apparire più belle, una famiglia indiana o forse nepalese che ignorando il divieto di salire gli ultimi gradini dello stupa si faceva richiamare da una guardia. Oppure un monaco buddista che pregava leggendo su di un iPad. In fondo tutti questi gesti erano fatti da persone comuni, dal cosiddetto "popolo" che come in ogni latitudine mostra i limiti e le storture. Quell’idea di perfezione, spiritualità e trascendenza che mi ero dato arrivando in Nepal riguarda sicuramente una piccola fetta di popolazione, coloro che vivono nascosti nella realizzazione interiore. Proprio di questa realizzazione, di questa sensazione forte che un paese come il Nepal trasmette io mi lamentavo. Lamentavo il fatto che ormai, giunto quasi alla fine del viaggio, la mia razionalità non ne fosse stata scossa. Era tutto bellissimo, ma stavo vivendo come in un film  o un documentario ben girato in cui ero immerso come un semplice turista. Tristemente mi sentivo come colui che va nell’altro capo del mondo per fare delle foto e raccontare agli amici qualche aneddoto curioso... Ma io non ero venuto per questa ragione e anche se ascoltavo i monaci buddisti intonare i mantra, o chiudevo gli occhi dentro un monastero: nulla scalfiva la mia impassibile razionalità. Sicché avevo due ipotesi: forse non ero sufficientemente pronto per questo paese, cioè avrei dovuto approfondire maggiormente i vari aspetti culturali e religiosi, oppure non ero realmente pronto da un punto di vista spirituale per essere colpito da cotanta bellezza. Che senso aveva dunque l’aver viaggiato così lontano se poi i risultati concreti sono pari a quelli di un “turista per caso”? Ad ogni modo sentivo in me un senso di amarezza, quasi di inutilità del viaggio stesso, e persino di questa mia presunta ricerca. Forse dovevo rassegnarmi a vedere le cose con la mia visione: quella di una ragione malleabile ai saperi spirituali e comprensiva dell’inaccessibilità intuitiva del mondo.
Preghiera

Sono tornato in albergo che si era fatto già buio. Normalmente in una città tanto grande quanto povera e disordinata, avrei dovuto temere che mi succedesse qualcosa nei troppi angoli bui delle stradine. Tra l'altro tra lo stupa e l’albergo c’era un percorso di guerra, perché le stradine urbane erano dissestate dai lavori di sistemazione della fognatura. Poi non appena tornato ci siamo messi a letto dato che la stanchezza era tanta, mentre Enrico, a cui avevo comprato un termometro aveva la febbre a 38°C.

I fedeli che girano per tre volte in senso orario attorno allo stupa

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