Il lago di Pokhara |
Domenica 19 aprile
Quella mattina ci siamo svegliati presto perché alle 7 partiva il nostro pullman per Pokhara. Per raggiungere questa località sono necessarie almeno 8 ore di viaggio, dato che la strada che le collega conta poco più di 200 km di curve. Inizialmente avevamo pensato di prendere un autobus economico, uno di quelli che prendono normalmente i nepalesi, ma vista la lunghezza del viaggio e le temperature elevate abbiamo pensato che la soluzione migliore fosse il bus turistico, con un minimo di comodità.
Una variazione sul programma
A Pokhara ci saremmo visti con Keshab. Ma sin da quando l'abbiamo incontrato a Kathmandu abbiamo avuto un'impressione controversa. Non negativa s'intende, ma sospetta perché caratterialmente sembrava poco chiaro persino con se stesso. La sera in cui ci siamo incontrati nel locale ci è sembrato curioso il fatto che fosse venuto da solo, senza i suoi amici che erano rimasti in albergo; poi quasi ricordandosi che avrebbe dovuto vedersi con loro era andato via. L'altro elemento che ci ha incuriosito è stato il fatto che egli si fosse sentito male quasi all'improvviso e tramite un messaggio mi ha avvertito che quella mattina non sarebbe partito con noi per Pokhara in quando il giorno precedente era tornato di fretta a casa, proprio per le sue condizioni di salute e per non impiegare troppo tempo aveva preso un aereo. Quel cambiamento improvviso ci ha un po' scombussolati perché era molto repentino e ci lasciava anche più scoperti, ed era anche curioso che egli prendesse l'aereo, seppur motivato, dato che il costo lo rende un mezzo poco usato dai nepalesi. Ad ogni modo, non solo il viaggio verso Pokhara l'avremmo fatto da soli ma in ragione della sua salute ci aveva detto che non ci avrebbe potuto ospitare il primo giorno a casa sua, come concordato in precedenza, ma ci saremmo visti l'indomani lunedì. Ciò comportava che quella notte avremmo dovuto dormire in un albergo che lui stesso ci ha prenotato, col favore d’essere di proprietà di un amico.
Un incontro inatteso
Grazie a questa variazione sul programma si era creata una situazione inattesa. Sin dal primo giorno di viaggio avevo avuto il piacere di condividere su Facebook le foto più belle di quella incredibile vacanza e tra i miei contatti c'era anche Clara, una ragazza austriaca conosciuta alcuni mesi prima. A dire il vero avevo dimenticato il suo contatto essendo anche una persona che usa poco questo mezzo. Ma proprio il giorno prima della partenza per Pokhara, Clara ha commentato una delle immagini scrivendo: "Incredibile, anche io sono in Nepal!" Questa coincidenza mi è parsa incredibile, quante volte capita di sapere casualmente che un'altra persona si trova nello stesso paese che stai visitando? Ancor più in un paese così remoto: non la Francia o gli Stati Uniti, ma il Nepal! Quando le ho scritto privatamente mi aspettavo che lei fosse a Kathmandu e di conseguenza, dovendoci spostare, nella migliore delle ipotesi ci saremmo incontrati dopo qualche giorno, quando saremmo tornati nella capitale. Invece mi scrisse che si trovava proprio a Pokhara, ragione per cui ci scambiammo i numeri di telefono (per fortuna avevamo comprato la Sim card!) stabilendo di vederci al nostro arrivo.
Proprio questo incontro merita un approfondimento ulteriore perché, come avrò modo di spiegare meglio più avanti, rientra in una coincidenza significativa. È significativo il fatto di averla incontrata quasi un anno prima (a fine agosto) a Roma, scambiando alcune chiacchiere per un paio d’ore. L’averla rivista a Catania in un contesto simile restando questa volta in contatto con lei tramite Facebook, e rivederla adesso in capo al mondo…
Dei pellegrini a bordo strada (foto di Enrico Furia) |
Da Kathmandu a Pokhara
Non è facile impiegare il tempo durante un viaggio così lungo. Sulle prime era curioso vedere il percorso, la periferia di Kathmandu e i primi paesaggi campestri. Enrico, messosi vicino al finestrino si divertiva a fare foto ai passanti, in effetti c'erano dei volti e delle situazioni meravigliose: donne sedute sulla soglia di casa, bambini per strada, contadini e un universo di volti assai diversi dai nostri ma soprattutto di mansioni e mestieri quasi del tutto scomparsi in occidente. In ogni luogo di sosta lungo la strada si vedevano delle botteghe sonnacchiose, qualche villetta d'aspetto gradevole o magari un moderno ponte tibetano che univa le sponde di un fiume che costeggiava la strada.
Poi però è subentrata la stanchezza, e ogni azione assume un carattere passivo, si appoggia la testa sul sedile e si osserva il viaggio. A volte provavo a connettermi al Wi-Fi del bus che sovraccarico di connessioni muoveva solo pochi byte di dati. Oppure ascoltavo i podcast di qualche trasmissione culturale della Rai trasmessa alcuni giorni prima.
Un autobus carico di gente lungo la strada per Pokhara (foto di Enrico Furia) |
Nepalesi lungo la strada |
Le strade
Il Nepal mi ha fatto pensare ancora una volta alle specificità di un luogo. Se prendiamo ad esempio le strade, esse somigliano per certi versi a quelle del sud Italia, anche se in questo caso quelle nepalesi sono ancora peggio: sprovviste di guardrail e adeguate protezioni e molto molto pericolose da percorrere. Quando si saliva in quota, si guardava il fianco di una montagna col senso del terrore, dato che nulla avrebbe fermato un'eventuale caduta in caso di incidente. Inoltre lo stato dell'asfalto era pietoso, determinando continui sobbalzi che rendevano il viaggio scomodo ed estenuante. Ma il problema non era dipeso dalla presenza di buche, quanto all'irregolarità dell'asfalto, forse deformato dal flusso veicolare oppure mal fatto di suo.
Proprio questa caratteristica accomuna anche la cura delle strade del sud Italia, dove seppur gli standard sono più "europei", la caratteristica d'essere raffazzonate accomuna i due luoghi. Ho identificato questa peculiarità nella tendenza all'approssimazione in molte cose. La cura dei dettagli, che poi determina gli standard e il confort in Nepal come nel meridione d'Italia se non d'Europa, sono simili. In Nepal come in Sicilia spesso manca la segnaletica orizzontale, a Kathmandu non esistono le strisce pedonali (nella mia città si ripristinano raramente), per non parlare dell'assenza di semafori agli incroci. La cura e la manutenzione dei marciapiedi è assente, in molti casi esistono, ma sono senza mattonelle oppure sono state rimosse dall'usura e mai più ripristinate. Indubbiamente gli standard sono più bassi in tutto, ma si nota una comunanza di intenti, forse legata anche ad una sorta di “fratellanza di temperamenti”.
Donne che lavano i panni lungo un fiume (foto di Enrico Furia) |
Il traffico
Riguardo al traffico bisogna necessariamente dire che il Nepal è un disastro. Nella capitale è eccessivo, fastidioso, rumoroso e fortemente inquinante. Tipico di questa parte del mondo, tutto è lasciato a se stesso, senza una reale regolamentazione. Si percepisce l’assenza di leggi sulle emissioni che rendono vivibili le città europee. A Kathmandu lo smog è così elevato che costringe la gente a camminare con la mascherina, quantomeno per limitare la polvere e le micro particelle. I mezzi pubblici non sono adeguati, quindi il traffico è intenso. C’è molta anarchia per strada e la circolazione è pericolosa, proprio perché si sorpassa azzardando, non ci si ferma in presenza dei pedoni e si attraversa dove capita.
Altro aspetto, forse il più fastidioso, è l’uso sconsiderato dei clackson. In Nepal non si suona solo per avere strada, ma anche per far capire che si è presenti. Quindi anche se non c’è un pericolo, si avverte il pedone o l’auto della propria presenza suonando continuamente.
Nella strada che conduceva a Pokhara non solo si suonava spesso, ma si azzardavano sorpassi terrificanti che costringevano poi il mezzo proveniente dall’altra corsia a fermarsi per evitare l’incidente. Di incidenti ne accadono spesso, proprio come riportato nella guida di viaggio, essi sono una causa frequente di morte. Difatti lungo il percorso abbiamo notato qualche mezzo incidentato, per non parlare di un incidente grave il giorno del rientro a Kathmandu, quando un mezzo era finito in un burrone.
Una strada di Pokhara |
Arrivo a Pokhara
Siamo arrivati verso le tre del pomeriggio in uno spiazzale non asfaltato. Non appena scesi siamo stati presi d’assalto da una ventina di taxisti che cercavano clienti. Keshab mi aveva indicato l’hotel in cui avremmo soggiornato, ma non era troppo vicino, ragion per cui abbiamo preso un taxi comunque.
L’albergo era abbastanza centrale, anche se piuttosto squallido. Ma non era questo il problema quando due sorprese: alla reception ci hanno detto che era previsto un passaggio gratuito al nostro arrivo e Keshab non ci aveva avvertiti di ciò facendoci cercare un taxi. Inoltre al prezzo già caro della stanza bisognava aggiungere un extra per la colazione. Di certo non stiamo parlando di cifre importanti, quanto di spese che ci saremmo evitati se a scegliere fossimo stati noi. Da una guida, ma soprattutto da un couchsurfer ci si aspetta dei consigli utili per trovare il luogo più conveniente e un prezzo che si rapporti meglio alla qualità cui si va incontro. Invece queste aspettative sono state deluse, ma tuttavia ci siamo dovuti adeguare.
Un giro per Pokhara
Avendo tutta la serata a disposizione abbiamo scelto di affittare delle biciclette che ci avrebbero permesso di vedere più posti in poco tempo. Pokhara non è una bella città, non c’è nulla da vedere se non il lago e i luoghi nei dintorni. Questa è una località infatti è considerata di passaggio per tutti coloro che cominciano le escursioni in quota. Da qui si risale verso il Mustang con escursioni di una settimana e persino quindici giorni. Difatti le vie erano piene di negozi turistici e di abbigliamento per escursione, ma anche bar e ristoranti. Sicuramente non quel Nepal genuino che si ha in mente.
In giro per Pokhara (foto di Enrico Furia) |
L’invidia per i viaggiatori ventenni
Nel tardo pomeriggio è arrivata la risposta di Clara, che avremmo incontrato di fronte ad un ristorante del centro. Lei era con altri amici reduci da un’esperienza presso una locale comunità buddista. Sia Clara che gli altri ragazzi erano poco più che ventenni. Una cosa che aveva colpito me ed Enrico era l’invidiabile capacità di affrontare dei viaggi lunghi. Clara si trovava in Nepal perché dopo l’università sentiva il bisogno di capire qualcosa in più di se stessa attraverso il viaggio. Poi vi era una coppia di ragazzi (di cui non ricordo più i nomi e le vicende) e infine una ragazza brasiliana anch’essa un’ottima viaggiatrice, dato che raccontava le tante esperienze in giro per il mondo. Ed era appunto il confronto con questi ragazzi a farci sentire come degli sciocchi: sia io che Enrico viaggiavamo da anni, ma alla loro età non avevamo minimamente quello spirito che ci avrebbe consentito di affrontare mete così lontane. Il nostro retaggio culturale e l’ambiente famigliare in cui eravamo cresciuti ci aveva posto un freno emotivo a questo tipo di “imprese”. Il timore di ciò che sarebbe potuto accadere, i pericoli, le difficoltà e le mille paure innescate irrazionalmente dall’educazione mi hanno fatto crescere in un modo diverso. Così il mio viaggio in Nepal era stato affrontato a quarant’anni, con un amico e solo dopo una serie esperienze di viaggio formative. Loro invece, così come molti altri ragazzi conosciuti all’interno della comunità del Couchsurfing, non si ponevano troppi problemi, seguivano i loro desideri e partivano. Questo approccio può sembrare da sprovveduti, e in alcuni casi lo è, ma spesso non si trattava di questo, perché cresciuti in famiglie sane. Tutt’altro, si tratta più che altro di approcci diversi alla vita. Quegli stessi approcci che vedo più che altro in persone provenienti da alcune aree degli Stati Uniti o dell’Europa: e pensare i miei genitori si sentivano “preoccupati” per questo mio viaggio così lontano… Questa è la ragione più evidente per cui al sud italia la vita e l’età matura sembrano tardare a venire, perché si resta troppo legati al cordone ombelicale dei genitori per troppo tempo.
L'incontro con i ragazzi a Pokhara |
Il ragno e la libellula
Non posso esimermi dal raccontare anche un aneddoto che mi ha toccato emotivamente per la restante parte della serata. Nel locale in cui stavamo cenando, una sorta di garage adattato, avevo notato subito dopo essermi seduto che una libellula era rimasta impigliata nella tela di un ragno che pendeva dal tetto. La punta di un’ala era rimasta agganciata impedendole di proseguire il volo. Così quando non si agitava nel tentativo di liberarsi rimaneva penzoloni a girare su se stessa, mentre dall’alto un ragno adulto osservava la propria preda. Ne ebbi un’istintiva pena per quell’insetto il cui destino era indubbiamente segnato.
Scorsi di tanto in tanto le operazioni che il ragno compiva per immobilizzare la sua preda. Dapprima provava ad avvicinarsi, determinando l’immediata agitazione della libellula. Poi dopo vari tentativi ad ogni avvicinamento provava a immobilizzare con la ragnatela anche l’altra ala che infastidiva il suo tentativo. La tecnica era di calarsi lungo l’ala e di raggiungere le spalle della libellula, essendo anche il punto più vulnerabile. Mentre la stanchezza cominciava a limitare i movimenti dell’insetto ad un certo punto il ragno, con un colpo rapido, è riuscito a percorrere l’ala e a raggiungere il corpo per poi mordere la preda iniettandole il veleno. Subito dopo questa operazione la libellula, seppur si contorceva ad un certo punto ha smesso di muoversi, rallentando i movimenti sino alla paralisi. A quel punto il ragno, indisturbato si è calato di nuovo, completando in assoluta tranquillità l’operazione di cattura. Ha avvolto con la tela le ali e il corpo sino a creare un bozzolo. A quel punto si è allontanato lasciando compiersi gli effetti del veleno.
Questo episodio avveniva mentre in sala giungevano le pietanze, nella noncuranza generale del dramma che si stava consumando sopra le nostre teste. Quasi nessuno si era accorto di quella cattura. I presenti chiacchieravano tra di loro, ridevano o semplicemente mangiavano. Ma a pochi centimetri dal tetto si stava compiendo un ciclo naturale, inevitabile e crudele che portava alla morte di una libellula e al mantenimento in vita del predatore. Sono rimasto un po’ scosso per il fatto di assistere a quell’episodio che dimostra l’inevitabilità crudele dell’esistenza.
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