giovedì 26 novembre 2015

Nepal 2015: Kathmandu e Bhaktapur (terzo giorno)

Una piazza di Bhaktapur
Sabato 18 aprile

Per quanto non fosse necessario, quella mattina ci siamo presi un buon margine di riposo perché Haren sarebbe venuto più tardi, dato che in Nepal era la festa della mamma. Egli aveva intenzione di trascorrere alcune ore a casa e forse di consegnarle anche un regalo, difatti venne in hotel verso le 11. 
A Kathmandu senza la presenza di una guida tutto è molto difficile. Il nostro intento per quella mattina era di andare a Swayambhunath il tempio delle scimmie che si trova nella periferia di Kathmandu, verso ovest. Per raggiungerlo abbiamo voluto prendere uno dei mezzi pubblici nepalesi: anche questa cosa fa parte delle esperienze di viaggio belle, ma fattibili solo se si ha qualcuno che ti guida. 

I mezzi pubblici
È necessario sapere che in Nepal vi sono due tipi di mezzi pubblici, quelli che utilizzano i nepalesi a basso costo ma con standard molto scarsi e quelli turistici. Quelli turistici vengono utilizzati per spostamenti verso le altre località, in città vi sono solo quelli nepalesi oppure i taxi. La difficoltà nel prendere i primi consiste nell’impossibilità di leggere i caratteri nepalesi. I cartelli che indicano le fermate non hanno la doppia lingua, come sarebbe logico, e anche nei minibus sussiste lo stesso problema. Inoltre non vi sono delle vere e proprie linee bus, non puoi pianificare uno spostamento sapendo dove un mezzo si muove. Così seguendo Haren ci siamo fermati in una via principale vedendo sfilare questi minibus sporchi e pieni di gente. Nella portiera laterale del mezzo si sporge un ragazzo che aggrappato alla carrozzeria ripete costantemente la destinazione ai potenziali passeggeri. Il mezzo si ferma con un gesto della mano e poi si sale facendosi largo tra la gente e ci si siede nel primo posto libero. Poi dopo aver comunicato la destinazione si paga a questo stesso ragazzo il biglietto. Non c’è una ricevuta perché egli si ricorda chi ha pagato e chi no.


Quando siamo saliti sul nostro mezzo è stato molto bello essere gli unici turisti in quel bus. Ed era bello sedere accanto ai nepalesi, vedere chi prende il mezzo e chi scende. Il costo è davvero irrisorio, ma la vera soddisfazione è vedere la gente. Spesso salivano donne con bambini, ragazzi, giovani alla moda che passavano tutto il tempo giocando con lo smartphone, anziani e persino delle donne che portavano dei sacchi pesantissimi che tendevano a cadere ad ogni curva. Ma questa è un’altra storia…

Il parco dei Buddha a Swayambhunath
Swayambhunath
Il minibus ci ha lasciato in prossimità di uno degli ingressi al sito. Dapprima siamo entrati nel parco dei Buddha, una zona in cui vi erano tre Buddha giganti in metallo dorato e molti nepalesi in pellegrinaggio. Ma non era questa la vera parte sacra. L'ingresso del tempio delle scimmie si trovava al termine di ben 365 gradini che risalgono la collina su cui è costruito l'intero complesso. C'è da dire che questa collina ha di per sé una storia sacra, in quanto secondo una leggenda la Valle di Kathmandu era in origine un lago (ciò è confermato anche dalla conformazione geologica della zona), di cui al centro vi era l’isola di Swayambhunath con un loto. Manjusri, il bodhisattva della conoscenza, ebbe una visione di questo loto e si recò per venerarlo. Ma vedendo che la valle avrebbe potuto essere un ottimo insediamento e volendo rendere il sito più accessibile ai pellegrini scavò una gola e fece defluire le acque del lago: sopra il loto quindi venne eretto lo stupa di Swayambhunath. Il sito è parecchio antico e le prime costruzioni risalgono al V secolo, poi il complesso crebbe nei secoli con l’arrivo dei vari sovrani. Il soprannome “tempio delle scimmie” è ovviamente legato alle scimmie presenti che tra l’altro sono sacre perché legate ad una leggenda di Manjusri.
Salendo faticosamente i gradini si superano dei venditori di cianfrusaglie. In cima alla collina si giunge dapprima in un complesso di piccoli stupa coperti dallo sventolio delle centinaia di bandiere tibetane dai cinque colori. Ma la vera meraviglia arriva salendo ulteriormente un altro corso di scale. Qui si sviluppa una sorta di piazza totalmente pedonale (a Kathmandu le zone pedonali sono davvero una rarità) e compare dopo l’estenuante salita la meravigliosa sagoma dello stupa
Non si può rimanere indifferenti in quel luogo così carico di simboli e di tensioni verso l’elevazione. Lo si percepisce anche in assenza di una conoscenza approfondita di ogni suo aspetto, un deficit che accompagnava purtroppo il mio viaggio, dato che la cultura buddista è troppo vasta per essere penetrata se non a seguito di un lungo studio. Il luogo in sé emana questa succitata tensione ed è affascinante osservare i pellegrini in rotazione attorno allo stupa per tre volte, come prescrive il rituale, o la rotazione delle ruote della preghiera con le scritte Om mani padme hum (saluto il gioiello del loto). Queste ruote al loro interno contengono dei mantra che con la rotazione rituale spandono benevolenza. I pellegrini inoltre suonano sempre una campana per propiziare la preghiera buddista.

Le ruote della preghiera
Lo stupa
Il simbolismo dello stupa
Gli stupa sono la rappresentazione architettonica della perfezione dell’Universo, così come lo sono i mandala. La comparazione tra i due è calzante perché in modi diversi esprimono lo stesso messaggio. Gli stupa sono composti da una cupola bianca alla base che rappresenta la terra e i tredici gradini rappresentano i primi gradi di elevazione verso la via dell’illuminazione. Al di sopra dello stupa vi è una torretta a base quadrata, su ogni lato sono rappresentati gli occhi del Buddha con il terzo occhio al centro. Salendo ancora vi è una struttura simile ad un alveare con 13 cerchi concentrici che rappresentano ulteriori livelli di elevazione sino al vuoto rappresentato dalla tenda superiore che copre la struttura. Sicché quando ci si trova davanti ad una struttura simile si percepisce forte il carico di simboli per noi diversi ma profondi.
Approfondendo tutto quello che vi è presente nel luogo ci si accorge che ciò che all’apparenza è un tempio buddista, è il simbolo di un sincretismo che unifica il Nepal e le due religioni induista e buddista. Attorno allo stupa infatti sono presenti diversi templi come quello di Hariti o Ajima una dea femminile conosciuta anche come madre Hariti. Ciò che è interessante, in questo caso, è il legame con l’induismo da cui la dea è stata tratta. In effetti durante il mio viaggio avrò modo di trovare sempre più spesso questi legami tra le due religioni che in precedenza consideravo separate se non totalmente diverse, ma in effetti mi sbagliavo…



Bhaktapur
Al termine della visita abbiamo ripreso nuovamente il bus e siamo tornati in albergo, Enrico aveva bisogno di collegarsi a internet per avere notizie di Mandip che il giorno prima si era offerto di portarci a Bhaktapur. Ma con un messaggio ci aveva detto che per quel giorno non era possibile, così abbiamo chiesto ad Haren di accompagnarci nuovamente in bus. 
Il percorso per raggiungere questa località è semplice anche perché vi è una sorta di superstrada diretta che raggiunge la città. La strada è stata costruita dal governo Giapponese, come indica una scritta in bella mostra, e in effetti gli standard di fruibilità sono altra cosa.
Bhaktapur fa parte dei siti UNESCO della Valle di Kathmandu. In fase di programmazione del viaggio, visto anche il poco tempo di viaggio, abbiamo scelto questa località che avremmo voluto raggiungere in bicicletta. Ma il traffico e lo smog indubbiamente non permettono una simile “passeggiata”. 
La città è ricchissima di monumenti, molto di più della stessa capitale che ha perso molto della sua identità originaria. Bhaktapur ha il vantaggio d’essere rimasta piuttosto integra, un po’ come andare in una delle città medievali. Il bus ci ha lasciati in una strada che conduce dritto ad una delle porte di accesso dove vi è un posto di blocco in cui chiedono al turista ben 15 dollari per l’accesso. A queste richieste esose persino i nepalesi lamentano lo scarso contraccambio al turista (una guida a disposizione o una cartina sarebbe il minimo); ma la cosa più grave è che persino i nepalesi non residenti devono pagare un obolo. Haren che era con noi ne è rimasto stupito perché l’ultima volta questo impedimento non c’era. Così anche in questo caso, la necessità ha aguzzato l’ingegno. E’ stato sufficiente percorrere una via laterale che costeggia la città e infilarci in una delle stradine secondarie per eludere i controlli. Questa mossa ha funzionato perfettamente, difatti ci siamo trovati in una delle vie principali della città bypassando ogni controllo.
Piazza Durbar di Bhaktapur
il carro del Bisket Jatra

L’atmosfera di Bhaktapur è semplicemente incantevole. Il pregio dell’uniformità di stile si unisce anche all’assenza di traffico veicolare, essendo una zona pedonale. Anche in questo caso è difficile descrivere il flusso di sensazioni che questo luogo concede. Ci si sente catapultati nello stile tradizionale newari delle case ma anche nelle tradizioni di secolare vita nepalese. Qui non ci sono quegli orribili negozi di trekking ma tante delle botteghe tradizionali, qualche ristorante curato, anche molta più vita genuina. Le auto infatti cancellano anche quello scorrere ordinario del tempo che a Bhaktapur si mantiene magicamente. La sensazione quindi è di una città sonnacchiosa e decadente, ma nello stesso tempo pregna del fascino di una cultura vitale.
In città c’era aria di festa perché, come ci avevano già spiegato per i nepalesi si festeggiava il nuovo anno il Bisket Jatra, ossia l’anno 2072 del calendario nepalese. Nella città di Bhaktapur questa festa è particolarmente sentita e dura circa una settimana. Inizialmente avevamo pensato di sostare in questa città proprio per la presenza di questa festa, ma il tempo a disposizione non ce l’ha permesso. In una delle piazze abbiamo trovato il carro della festa, che mi ha molto ricordato quei carri barocchi che, specie nel sud Italia, costituivano il fulcro di certe feste religiose. I nostri carri barocchi sfilavano nel deliquio generale in un mare di folla e spiccavano per dimensione e possenza. Anche questo carro sembrava avere tali caratteristiche, era in legno e sembrava messo in un punto per prepararsi a sfilare. Nella piazza principale della città c’erano, a terra, delle corde per tirare il carro e un certo fermento. Dalle immagini che ho potuto vedere, eseguendo una ricerca successiva, durante la festa viene trascinato il carro e i fedeli si dipingono di rosso. Il carro è la rappresentazione del dio Bhairava, una delle rappresentazioni di Shiva. Non essendo il momento clou delle celebrazioni vi erano solo dei preparativi, molta gente in giro, come in attesa di un’ulteriore festa che si sarebbe svolta a breve. Vi era anche un folto schieramento di militari in tenuta antisommossa. Ciò che istintivamente veniva in mente era la sensazione di un governo talmente corrotto e incapace di prendere decisioni da dover considerare ogni assembramento di persone un potenziale pericolo di rivolta. In realtà la loro presenza era solo un eccesso di precauzione dato che l’atmosfera era piuttosto rilassata.

Polizia a Bhaktapur
Una bambina nepalese
Pranzo a Bhaktapur
Essendo ora di pranzo abbiamo cercato, con una certa difficoltà, un posto dove poter mangiare qualcosa. Grazie all’aiuto di Haren siamo riusciti a trovare una locanda tradizionale. Il posto era frequentato solo da nepalesi, visto anche l’aspetto. All’ingresso c’era la cucina, sulla cui pulizia e igiene è meglio sorvolare, dato che non ci aspettavamo nulla di buono… La saletta dove ci siamo seduti sembrava uno sgabuzzino sgomberato su cui avevano piazzato i tavoli. Ci siamo seduti su uno di essi e abbiamo ordinato qualcosa. Non avevano un menù, ma tutto era a voce, in base a ciò che avevano pronto. Così abbiamo lasciato fare ad Haren. Dopo pochi minuti è venuto il proprietario con della carne fredda appena commestibile perché, come al solito, parecchio pepata. Enrico sconsigliava di mangiarla, proprio per evitare problemi intestinali. Così abbiamo chiesto al proprietario se ci poteva portare della carne appena cotta: egli con molta serenità ha preso con le mani un pezzo di carne (i nepalesi mangiano in genere con le mani), e spostandolo all’interno del piatto voleva dirci: “ma come non è buono?” Su questo episodio abbiamo sorriso, visto il carattere nepalese, tuttavia è necessario mantenere una certa dose di flessibilità mentale per non cadere in legittime fisime igieniste. Io ne ho mangiata un po’, anche se poi ho preferito aspettare quella appena cotta, ma la fame era troppa, essendosi fatte le 3 del pomeriggio.

Enrico a pranzo con Haren

Le condizioni igieniche della cucina
Nel frattempo c’era stato un breve acquazzone che non ci ha impensierito troppo, dato che al termine del pasto le strade erano persino asciutte. Sazi e in piene energie abbiamo proseguito il nostro giro per la città, anche se avrei preferito spendervi molto più tempo. Haren, dal canto suo era molto gentile nel portarci in tutti i luoghi ed Enrico c’era già stato e non aveva interesse nel seguire una visita approfondita. In effetti sarebbe valsa la pena soggiornare almeno una notte per vivere la città in appieno. Così nella vastità del centro storico abbiamo saltato sicuramente qualche cosa, ma soprattutto non avendo la guida davanti per comprendere ciò che stavamo vedendo, mi sono sentito molto limitato nella comprensione del luogo. 
Prima di andare via ci siamo fermati in un locale dove si preparava lo yogurt di cui Bhaktapur è anche famosa. Curiosamente lo servivano in una ciotola di terracotta che al termine della consumazione andava buttata nella spazzatura. Così simpaticamente ho detto ai ragazzi che gestivano il negozio che lo yogurt era buono ma che le ciotole potevano essere riutilizzate, oppure rivendute ai turisti. Loro hanno sorriso ma io ho aggiunto che sarebbe stato sufficiente aggiungere una qualche decorazione o un simbolo tipico nepalese per incrementare il loro commercio. Ma questa mia frase non ha destato in loro alcun interesse. 

Venditrice addormentata al mercato
Il senso del commercio (non occidentale)
Che il popolo nepalese storicamente porti avanti dei commerci è abbastanza risaputo, in special modo i tibetani, oggi presenti in molte zone del paese. Tuttavia il loro modo di commerciare non è affatto aggressivo come altrove, non è rigidamente codificato verso la contrattazione come per gli arabi e non considera alcuna tecnica scientifica di pressione verso il consumatore. Non avendo una visione occidentale, tutto viene gestito in una maniera che noi reputiamo primitiva. I ragazzi della yogurteria avevano dato un’impronta di ordine al loro locale, forse perché giovani, senza mantenere lo stile dei posti più vecchi. Tuttavia non si erano mossi verso l’efficienza e la massimizzazione del profitto, perché questo aspetto è un’espressione occidentale, tra l’altro estremizzata soprattutto negli USA. 
Così anche i taxi sporchi e vecchi e i vari servizi raffazzonati del Nepal sono espressione del loro modo d’essere, anche se, quando sono costretti a rapportarsi con il turismo internazionale provano a portare gli standard ad un livello diverso. L’esempio è palese in certi alberghi o persino nei bus turistici che spesso sono muniti di aria condizionata e persino il collegamento wifi. Sotto questo aspetto sembra un popolo trascinato a forza nell’epoca attuale…

Giovani seduti su di un tempio di Bhaktapur
Acquistiamo una SIM nepalese
Tornati a Kathmandu siamo andati in un negozio di telefonia dove abbiamo acquistato una SIM con connessione internet. Dapprima eravamo contrari a questa scelta, essendo la nostra permanenza non eccessivamente lunga nel paese. Ma avendo riscontrato grandi limitazioni per l’assenza di un collegamento internet che ci permettesse di comunicare con i nostri contatti o magari di telefonare qualora fosse stato necessario abbiamo optato per questa decisione. Questa scelta si rivelerà fondamentale non solo per lo sviluppo del viaggio ma anche riguardo alle comunicazioni con l’Italia subito dopo il terremoto, di cui parlerò più avanti.
In quel frangente mi ha colpito un piccolo dettaglio non di poco conto. Quando siamo entrati nel negozio di telefonia ho stipulato io il contratto. Avendo sempre con me uno zaino con tutto l’occorrente per ricaricare il cellulare in caso di emergenza, avendo le tasche piene ho dovuto uscire parte delle tante cianfrusaglie che portavo con me e appoggiarle per prendere il portafogli. Una volta estratto, ho rimesso tutto dentro ma non mi sono accorto che mi era caduto il cavetto di ricarica della batteria suppletiva. Al termine delle operazioni la guardia giurata del negozio si è avvicinata con il cavetto in mano chiedendo se fosse mio. In un primo momento avevo detto di no, poi mi sono accorto dell’ammanco. Una volta recuperato ho come proiettato davanti a me tutto quel che sarebbe successo qualora l’avessi perso: ne avrei cercato uno nuovo, sicuramente, per non vanificare l’uso della batteria, ma anche le vicende che sarebbero seguite avrebbero avuto un risvolto diverso e forse molto più complesso perché magari non sarei riuscito a risolvere il problema per tempo. Ad ogni modo la sensazione che ne ho avuto sul momento era di uno scampato pericolo, il mantenimento di una sbadataggine sotto l’alveo di una zona di sicurezza. Per chi legge questa cosa apparirà esagerata, perché dopotutto si tratta di un cavetto. Ma in una zona di mondo dove non si ha certezza di trovare ciò di cui si ha bisogno, specie se si tratta di un qualcosa di così specifico, la situazione riveste un’importanza maggiore. Difatti, a posteriori, la mia sensazione immediata ha trovato sostegno nei fatti che vivrò una settimana dopo.

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