giovedì 11 dicembre 2014

Vita da azienda: la liquefazione del sindacato


9 ottobre 2012

Nel 1997, quando sono entrato nel mondo del lavoro, l’influenza e la forza del sindacato nella mia azienda era tangibile. Un’influenza a tratti prepotente, atta a difendere (forse) troppi privilegi e troppi lavoratori indifendibili. Quelli erano gli anni dove gli impiegati statali si concedevano il lusso di uscire in orario lavorativo per fare la spesa moltiplicando così i comportamenti deplorevoli e il divario tra pubblico e privato; forse era colpa anche di questi episodi, più volte sbattuti sui quotidiani, a frapporre un pregiudizio fra me e i sindacalisti. Mi chiedevo come si potesse tollerare la presenza di lavoratori che, entrati nel sindacato, acquisivano uno status di privilegio e di rispetto: smettevano di lavorare, ottenevano un’auto aziendale (in genere quelli più in vista) e un ufficio dedicato alle loro attività sindacali. Ma c’erano anche le inevitabili progressioni di carriera a far arrovellare i colleghi... Tuttavia se avevi qualche problema ottenevi risposte da un sindacato che allora funzionava veramente ed era composto da gente che ci credeva davvero e per esso si spendeva.

Per quanto non avessi mai realmente sciolto le mie riserve sui sindacati ho mutato in parte la mia opinione quando un collega è divenuto sindacalista. Seguendo da vicino la sua attività, cui dava sempre ampio racconto, ho compreso quanto possa essere fondamentale questa figura… Attraverso le giuste qualità di equilibrio e intelligenza un sindacalista può fare il bene dei lavoratori, ma soprattutto dell’azienda in cui lavora; può intervenire per migliorare la sicurezza, può sensibilizzare i dirigenti in merito alle problematiche e via discorrendo: insomma se fatto bene il sindacato giova a tutti.
Ma il sindacato è fatto soprattutto di uomini e di interessi, una ragione sufficiente per incrinare il rapporto fiduciario tra chi è distante da certi meccanismi e chi c’è dentro. E forse erano questi meccanismi, più o meno nascosti, ad aver permesso una deroga al voto delle elezioni quando, dopo essere arrivato primo degli eletti, il mio collega venne scartato dal Consiglio di Fabbrica con giustificazioni di circostanza. Questa decisione palesemente antidemocratica non venne taciuta dagli iscritti, anzi provocò una valanga di disdette nel mio reparto che fece una certa eco. Il successivo incontro con il segretario servì a ben poco se non a palesare il fastidio che dava una figura scomoda (come quella del mio collega) all’interno del sindacato.
Passato l’intero mandato senza ottenere nulla di nuovo, le successive elezioni riproposero un altro “colpo di mano”: questa volta le segreterie e l’azienda avevano stabilito che il Consiglio di Fabbrica doveva essere rappresentato da un solo sindacalista per confederazione. Questo accordo ovviamente blindava qualsiasi ricambio generazionale e qualsiasi partecipazione da parte dei sindacalisti “minori”, ma soprattutto da parte degli iscritti ora sempre più distanti dalle scelte che giungevano sulle loro teste.


Questi episodi che ovviamente riguardano una realtà singola e che non possono essere posti a riferimento nazionale mi danno però lo spunto per far notare come il ruolo della triplice si sia ormai liquefatto. È finito il tempo degli scioperi oceanici perché gli stessi sindacati si sono liquefatti, come suggerirebbe Bauman. I toni sono diventati conformisti, accondiscendenti e falsamente critici. La linea oltranzista della FIOM all’interno della CIGL è stata isolata, come a voler concedere una deroga persino ai diritti essenziali dei lavoratori. Si è permesso lo smantellamento del diritto del lavoro e la nascita di forme estreme di precariato, il tutto attraverso le ripeture timidezze dei sindacati…

Sono più di tre anni che non sono iscritto al sindacato e assieme a me altri colleghi hanno seguito la stessa sorte, in tutti i casi ci si lamentava dell’evanescenza del loro ruolo, del venir meno e della partecipazione attiva di tutti: un tema già risentito. Ma è pur vero che quando ad una assemblea sindacale ad una richiesta di lotta contro certe storture, uno dei sindacalisti di punta rispose candidamente: “Mica possiamo metterci contro l’azienda”, manifestando in quelle parole la realtà dell’intero sindacalismo italiano.
Che ruolo hanno oggi i sindacati al tavolo con le aziende e col governo? Un ruolo ridotto ad una mera rappresentazione perché ormai neanche parte in causa contro le devastazioni dell’imperante neoliberismo economico.

Sembra che la perdita di prestigio, di importanza e persino (e più squallidamente) di tesserati, non interessi più a nessuno. Dov’è finito lo spirito di una volta? Forse si è liquefatto assieme alle nostre coscienze, alla società post-consumistica e al declino di quel senso elementare dei diritti? O forse e più semplicemente è l’espressione di una generalizzata liquefazione della società occidentale?  

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