venerdì 8 luglio 2011

Trapasso di morte nei miei occhi

Non sono mai stato troppo legato alla mia vita, non perché avessi da rimpiangerne desideri irrealizzati o aspirazioni soffocate; semplicemente perché mi sentivo stanco di contrastare i dolori e le sofferenze quotidiane. Odiavo la vita nei suoi alti e bassi di miseria esistenziale, ne odiavo la routine giornaliera del lavoro, i soliti amici e le solite cose da fare, e per finire cominciavo a stancarmi persino di Amelia. Da due anni ormai il nostro rapporto era divenuto del tutto scontato ed abitudinario, e forse solo il matrimonio avrebbe ravviavo una situazione che volgeva da parte mia verso il disinteresse e l’assuefazione. Negli ultimi tempi poi, questa disaffezione divenne sempre più evidente, tanto da indurmi a pensare ad una mia possibile morte come una sorta di cambiamento, come una luce di nuova libertà dal tedio quotidiano. Ma il mio desiderio, forse più recondito che concreto non sarebbe mai passato all’atto pratico se non nel caos del destino…
Tutto avvenne una sera, tornando dal lavoro con la mia auto, s’era fatto tardi e la strada statale era bagnata dall’umido della prima notte. Per troppe ore avevo sbattuto su problemi e odiose faccende d’azienda, così al termine di quel giorno la stanchezza concedeva il solo desiderio del ritorno a casa. Ma a complicarmi le cose s’era aggiunto al buio della strada, anche il fastidio d’una nebbia a banchi che avrebbe rallentato di molto il mio ritorno. E per quanto volessi usare prudenza nella guida, ogni qual volta che venivo investito da una nuova coltre bianca, l’inquietudine del “non-vedere” puntualmente mi procurava un sentore di morte; mentre la parte razionale di me, materializzava le sue paure sul possibile vuoto d’un baratro ove piombare in piena velocità. Forse ciò che sentivo dentro era la percezione concreta del pericolo, oppure l’intuizione sensitiva d’un qualcosa che sarebbe successo. Percorsi pochi metri dall’ultima nube lattiginosa, poi il sentore inquietante divenne palpabile in tutto il corpo, quasi da farmi tremare; fui investito dal fascio bianco degli abbaglianti d’un’auto che sovveniva in velocità; esso avvenne in un attimo, un istante in cui la percezione delle cose ricordava il solo abbaglio, poi nulla più…
Dapprima non riuscii a comprendere nulla, poiché i miei sensi parevano non rispondere alle mie sollecitazioni e il mio corpo, immobile ed inattivo, mi celava ogni verità su ciò che m’era successo. Fu poi il richiamo d’una luce bianca che mi rassicurò, una luce invitante che istintivamente m’invogliava a farmene pregno e a desiderare l’unione con essa; quindi una subitanea sensazione di rilassamento, di calma e pace indescrivibile si diffuse in ogni parte del mio essere. Percorsi quel tunnel luminoso nell’inconscia realizzazione d’una sorta di desiderio nascosto che non decifravo ancora; mentre il tempo pareva allungato e in procinto di sfiorare l’eternità immutabile delle cose, quasi sentissi bisogno d’infinito! E non so bene dire quanti istanti dopo, proprio perché il concetto di tempo sembrava non essere un qualcosa di tangibile al suo interno, m’accorsi che la luce rassicurante cominciava pian piano a svanire, lasciando tutt’intorno un languore spettrale, una soffusa e soffocante sensazione di tristezza ed angoscia. Del perché mi trovassi lì, ma soprattutto del perché avvertissi tale sensazione, non sembrava un qualcosa di spiegabile con il raziocinio; non c’era un motivo o una causa scatenante a tale condizione, ragion per cui, fui spinto dalla mia stessa curiosità nel voler capire ove fossi e cosa mi stesse succedendo. Solo dopo uno sforzo irrazionalmente non corporeo e quindi tangibile, cominciai a percepire la presenza di molte persone attorno a me: voci e lamenti che provenivano da ogni dove; gemiti sommessi, pianti e persino grida che sentivo in misura chiara e definita. Dunque in questa raggiunta consapevolezza provai a distinguere i volti dei presenti; c’era vicino a me mia madre che mi fissava con sguardo illacrimato, quasi assorto nella contemplazione del mio viso, e poi quello di mio padre e di mia sorella di simile umore. Poco dietro le urla piangenti di Amelia e gli abbracci consolatori della madre a trattenerne il dolore, quindi distinsi i volti d’altri amici e parenti che non vedevo da tempo. Tutti sembravano raccolti attorno a me che ormai riuscivo comprendere la struggenza del loro dolore, senza però svelarne chiaramente la causa. Pensai quindi d’avvicinarmi a loro per chiedere cosa mai fosse successo e chi stessero piangendo. Aleggiai come sospinto da una mancanza di gravità, e avvicinatomi ad Amelia pronunciai poche parole che chiedevano spiegazioni. Ma nulla stranamente mi fu risposto, non un cenno, non un’alterazione del volto alla mia presenza. Così riprovai vanamente ancora e poi ancora senza reazione alcuna, tanto da provare istintivamente un’angosciosa sensazione di lontananza inane. Poi voltato il mio sguardo verso mia madre che ancora permaneva silente nel suo dolore, ebbi finalmente la chiara visione di tutto. C’era una bara socchiusa al centro della stanza da cui proveniva la ragione d’ogni lutto, e in essa giaceva il mio corpo! Ero dunque morto, ero trapassato alla nuova vita, ero un’anima immateriale, uno spirito senza corpo che s’aggirava tra i presenti di quella sala. Tutto quindi era avvenuto, la fine della vita era giunta, il termine ultimo d’ogni cosa tangibile e reale s’era concluso, e adesso affrontavo i misteri del metafisico con maggior coscienza.
Tale stato immateriale però, non pareva rendermi felice come da vivo avrei pensato, in quanto la mia condizione di “anima terrena” non avrebbe ancora contemplato quella gioiosa ascesa al paradiso più alto. Il mio brusco trapasso m’avrebbe legato al mondo dei vivi per troppo tempo ancora, lasciandomi la visione funesta delle altrui vite: la morte, sarebbe divenuta il calvario d’una lunga espiazione. Dunque quella nuova condizione che da vivo avevo fin troppo spesso agognato, non corrispondeva ad un felice trapasso, ma al perdurante rimpianto della vita stessa… E nella raggiunta consapevolezza d’una flebile possibilità di ritorno, provai a rientrare nel mio corpo materiale, il quale nell’immota quiete della morte, pareva non consentire il mio ricongiungimento, quasi fossi repulso da una forza sconosciuta!
Aprii gli occhi risvegliandomi come da un lungo sonno, percependo dapprima sommessi lamenti di morte e sofferenza; al ché urla e pianti liberatori mutarono in dolcezza l’angoscia del mio status animae. Ero tornato alla vita come fossi nato una seconda volta, come se la gioia del respiro fosse stata un’esperienza mai vissuta. Con gli occhi d’un neonato quindi, vidi la luce dell’esistenza terrena farsi reale, il sole illuminare il mio volto ed il lutto svanire dai miei più reconditi desideri.

2004

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