Per quanto le ore di sonno fossero state poche la giornata a Teheran era piena di cose da vedere. Poco prima di uscire un iraniano dell’albergo mi ha suggerito di nascondere la macchina fotografica perché si correva il rischio di subire uno scippo. Ciò mi ha stupito perché ero convinto che la presenza invadente della polizia e delle rigide leggi della Sharia cancellassero di fatto questi reati.
Le vie di Teheran non sono belle e la città è un agglomerato a tratti persino squallido di moderni edifici a più piani. Qualcuno mostra anche un certo pregio architettonico, indice di una scuola di architettura iraniana famosa in tutto il mondo, ma la maggior parte sono semplici condomini senza bellezza. Tra le sagome dei palazzi fanno capolino i vicini monti Elburz che pur essendo più a sud dell’Italia mostrano le cime innevate, essendo alti ben 5000 metri. I monti sono per gli abitanti di Teheran ciò sono le Alpi per i milanesi, un luogo dove andare a sciare nei fine settimana o durante le vacanze. Sciare in Iran? Sì, tanto è vero che esistono anche delle stazioni sciistiche e delle località dedicate.
Teheran non è solo costruttivamente moderna ma è anche avanzata ben più di quanto si possa immaginare, nonostante le limitazioni dettate dalle lunghe sanzioni. Mi aspettavo delle vie degradate per assenza di manutenzione, come avveniva in Nepal, oppure montagne di rifiuti (come avviene in alcune parti della Sicilia), dato che qualcuno mi aveva raccontato lo stato in cui versano alcuni stati musulmani. Invece no, l’Iran è molto ordinato e dove possibile ci sono alberi e prati verdi, soprattutto nelle rotatorie, dove spesso la gente si ferma a fare dei picnic, una caratteristica molto comune in questo paese. Dovrebbe essere definito un paese del terzo mondo, ma in realtà potrebbe essere facilmente confuso con una capitale occidentale mediterranea come Atene. Anche le strade extraurbane, che avrò modo successivamente di percorrere, sono di tutto rispetto. Vi sono persino delle autostrade di collegamento tra le città del sud, per non parlare della possibilità di prendere il treno e la metropolitana: insomma l’immagine di miseria, caos e squallore che da bravi occidentali abbiamo in mente si frange subito davanti ad una realtà ben diversa.
Un viale con lo sfondo dei monti Elburz |
Bike sharing |
Il primo luogo in cui ci siamo recati è stato il palazzo del Golestan, lo abbiamo raggiunto a piedi, ciò ci ha permesso di vedere una parte della città e di poter riscontrare quanto siano socievoli gli iraniani. Risulta evidente quanto la gente comune abbia una gran voglia di conoscere gli stranieri e anzi ben vedono il nostro arrivo, perché apportiamo ricchezza alla loro economia. Quando siamo entrati nel palazzo un gruppo di bambine ci ha subito salutato con un “hello!”, ci guardavano con occhi curiosi mentre le insegnanti sorridevano per la nostra curiosità.
Il palazzo del Golestan è una residenza dei sovrani Qajari del XVII e XIX secolo, al di là delle caratteristiche architettoniche proprie, ciò che si nota è un miscuglio di stili che, se da un lato affascinano per la differenza rispetto alle nostre architetture, dall’altro potrebbe essere considerato come un’accozzaglia di cose messe assieme. L’esterno presenta delle ceramiche che scherzosamente chiamavamo di “Caltagirone” perché le decorazioni sono molto simili, sia per forma che per colorazione; ma potevano anche essere definite come piastrelle sivigliane, che comunque mantengono sempre il comun denominatore dell’influenza musulmana. In fondo questo angolo di mondo, composto da popolazioni diverse: arabi, persiani, berberi, turchi e via discorrendo, è riuscito ad interpretare gli stilemi decorativi secondo una chiave abbastanza vicina a quella del sud Europa precedentemente islamizzato. Sicché quelle piastrelle provenienti da una civiltà diversa, diventavano il mezzo con cui trovavo anch’io una qualche forma di identificazione che m’inebriava: saranno diverse le sponde culturali che ritroverò in Iran e che faranno percepire in me questo mondo non troppo distante…
Il palazzo del Golestan è una residenza dei sovrani Qajari del XVII e XIX secolo, al di là delle caratteristiche architettoniche proprie, ciò che si nota è un miscuglio di stili che, se da un lato affascinano per la differenza rispetto alle nostre architetture, dall’altro potrebbe essere considerato come un’accozzaglia di cose messe assieme. L’esterno presenta delle ceramiche che scherzosamente chiamavamo di “Caltagirone” perché le decorazioni sono molto simili, sia per forma che per colorazione; ma potevano anche essere definite come piastrelle sivigliane, che comunque mantengono sempre il comun denominatore dell’influenza musulmana. In fondo questo angolo di mondo, composto da popolazioni diverse: arabi, persiani, berberi, turchi e via discorrendo, è riuscito ad interpretare gli stilemi decorativi secondo una chiave abbastanza vicina a quella del sud Europa precedentemente islamizzato. Sicché quelle piastrelle provenienti da una civiltà diversa, diventavano il mezzo con cui trovavo anch’io una qualche forma di identificazione che m’inebriava: saranno diverse le sponde culturali che ritroverò in Iran e che faranno percepire in me questo mondo non troppo distante…
L’interno era decorato con pareti a specchio che rivestiva ogni angolo, persino i tetti. Ma se tale stile da un lato incuriosiva per la sua particolarità, dall’altro era pacchiano. Nelle sale, per esempio, gli oggetti provenienti da diversi paesi occidentali, aumentavano la sensazione di un assembramento mal riposto di oggetti. In una successiva discussione con la nostra capogruppo si ha fatto notare come sia insito nella cultura iraniana l’accumulo di oggetti, anche eterogenei, nelle abitazioni. Anch’ella confessava questa tendenza del tutto naturale, così come avveniva casa dei suoi genitori. Non ho avuto modo di vedere le case degli iraniani (questa per me è un’enorme pecca), tuttavia nei vari locali, bar, ristoranti e attività commerciali, rarissimamente si manifestava uno stile minimale e pulito tipico dell’Occidente. Gli iraniani, per fortuna mantengono la loro struttura culturale che sotto questo aspetto non è ancora stata inquinata dallo stile internazionale.
Un vecchietto molto "siciliano" |
Piccola digressione: il gruppo con cui sono partito era composto sostanzialmente da persone provenienti dal nord e dal centro Italia, nonché da due pugliesi che vivono a Milano. Io quindi ero l’unico siciliano che conosce e vive la realtà del sud Italia. E in questa differenza culturale sono sorti spesso dei simpatici siparietti, laddove io mostravo il volto ironicamente a favore del rilassamento iraniano mentre il resto del gruppo ne era sconvolto. In merito al traffico poi la bolgia in cui ci siamo trovati qualche volta intimoriva un po’ tutti, soprattutto all’atto di attraversare la strada. Ero io ad andare avanti, perché in quelle auto che non si fermavano neanche sulle strisce pedonali, rivedevo il caos quotidiano di una grande via di Catania o di Palermo.
Nel pomeriggio il gruppo si è diviso in due perché una maggioranza voleva andare al Museo dei gioielli mentre io e poche persone abbiamo optato per il museo archeologico. Non andare al museo archeologico di Teheran era per me come andare a Parigi e non visitare il Louvre, la ricchezza culturale dei ritrovamenti delle varie epoche in Iran è tale da rendere obbligatoria una visita.
Nel cominciare la visita al museo abbiamo incrociato un gruppo scolastico di bambine che ordinatamente ascoltavano dalla loro insegnante le spiegazioni relative alla storia del loro paese e alle molteplici civiltà che si sono succedute. Davanti ad un'enorme cartina dell'Iran la maestra mostrava il territorio, e il fatto stesso che io mi sia soffermato su questa immagine così comune quanto così scontata racconta quanto sia grande la distorsione che abbiamo inculcata inconsciamente da troppo tempo sull'Islam e l'Iran ...
Il bassorilievo di Persepoli |
Leone in pietra da Susa |
Iscrizione da Persepoli del V secolo a.C. |
Al termine della visita ho in realtà provato un senso di delusione perché questo importante museo era piuttosto scarno rispetto a ciò che mi aspettavo. Gli standard espositivi lasciavano parecchio a desiderare ed erano distanti da quelli dei moderni musei occidentali. Però quello che più mi deludeva era la poca quantità di oggetti di epoca achemenide. Mi aspettavo di vedere qualcosa di monumentale e ben più emozionante, dato che certi repeti sono visibili in altri musei come il Louvre, il British e il Pergamon a Berlino. Ma forse i migliori pezzi erano stati sottratti e all’Iran restano quelli meno vistosi, oppure l’esposizione rappresenta solo una parte di ciò che potrebbe essere realmente esposto. Ma al di là di tutto era rimasta per me l’utilità di scoprire una prospettiva diversa e nuova della storia di cui lamentavo le mia carenze, specie in merito all’epoca preistorica.
Iscrizione greca |
Qom
Abbiamo raggiunto Qom in due ore circa di viaggio, percorrendo un’efficiente autostrada che correva lungo un piatto deserto sabbioso. Qom dalle descrizioni che ne ho tratto in base a varie fonti è una città piuttosto squallida e per certi versi anonima architettonicamente, ma è pur sempre una località importante da un punto di vista religioso. Infatti è la città di Khomeini e la sede di un’importante moschea.
La strada desertica per Qom |
Siamo giunti sul posto verso le cinque del pomeriggio e non appena scesi dall’autobus ho percepito subito quelle sensazioni appena descritte. Un senso di desolazione e squallore si percepiva nell’aria, non solo per la morsa del deserto sabbioso che sollevava molta sabbia a causa del vento, ma soprattutto per la presenza di un filare di pilastri di una monorotaia incompleta. Non so se i lavori fossero in corso o fermi da tempo, ma era evidente che questo progetto venisse completato peggiorerebbe l’estetica della città. Tutto quel cemento unito all’atmosfera opprimente, non miglioravano di certo la percezione del luogo.
Tuttavia il maggiore interesse era nei confronti del Santuario di Fatima bint Musa in cui stavamo andando. Bisogna subito dire che questa città è considerata santa dagli sciiti. Sede di importanti scuole coraniche e del santuario che è dedicato al culto di una donna, appunto Fatima, figlia del settimo imam sciita che venne uccisa e per questo santificata. In suo onore venne eretto il santuario che ospita tra l’altro le tombe di molte personalità importanti dell’Iran. Un aspetto che colpisce è proprio la valorizzazione del ruolo femminile attraverso una figura come Fatima che, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, assume un ruolo religioso importante.
Per entrare nella moschea vi erano due ingressi separati per uomini e donne, perché le seconde dovevano indossare un chador che copriva interamente il corpo. La cosa è parsa subito ridicola perché già di loro indossavano abiti adeguati, nonché il velo, tuttavia la regola era molto rigida espressione di una città conservatrice. Contrariamente al resto della città il cortile della moschea emanava una bella emozione. Non era la prima volta che entravo in una moschea, vi ero già stato in altri paesi, ma era la prima volta che vi andavo in uno che interpreta l’islam in maniera rigorosa. Pertanto era bello riscontrare un’atmosfera opposta alle attese: una famiglia che prendeva per mano il proprio bambino, un ayatollah che usciva dalla moschea con il suo caratteristico abito (di fattura magnificamente elegante) e molta gente comune. Un dettaglio che aggiungo riguarda il turbante dei religiosi, per intenderci quello che portava Khomeini, era nero in virtù del fatto che era un ayatollah, mentre per coloro che non erano giunti a tale livello il copricapo è bianco.
L’aspetto più interessante della visita a Qom è stato il colloquio che abbiamo avuto con un rappresentante della moschea. Egli ci ha fatto entrare all’interno di una stanza dedicata alle conversazioni, carica all'inverosimile di decorazioni pacchiane e di un colore che mal si conciliava con la bellezza armonica della moschea. L’uomo con molta gentilezza, ci ha fatto sedere e ci ha offerto una bottiglia d’acqua a testa oltre a delle caramelle. Poi ci ha spiegato qualcosa in merito al luogo in cui ci trovavamo ed infine ci ha chiesto di fargli delle domande. A parte alcune generiche quella che ricordo maggiormente era relativa al velo femminile e alla sua funzione. Nell’incedere della discussione ho anche pensato di registrare l’intervento (tradotto prontamente dalla nostra guida) e che riporto come video.
La considerazione fatta dal musulmano era quella che ci sono diversi uomini che hanno degli sguardi maliziosi e la vista di una donna provoca del turbamento. Così la condizione migliore per una donna è quella di vestire con abiti discreti e che la rendano libera dall’essere osservata in maniera inopportuna. Questa caratteristica non solo rilassa la donna ma favorisce anche la serenità dell’uomo che concederà alla donna grande libertà nel vestire in un ambiente privato. Egli quindi ha ripreso una metafora non troppo originale, dato che era riportata anche altrove, in cui la donna viene paragonata ad una perla che per essere custodita va mantenuta dentro l’ostrica. Tale approccio, se ci si pensa bene è legittimo in una società che mantiene forte il senso morale nei confronti del pudore femminile. Nella nostra società Occidentale ciò appare chiaramente assurdo; le donne usano dei vestiti scollati e provocanti come forma di libertà, nonché come un modo per esprimere la loro femminilità. Ma è anche vero che questa possibilità viene spesso usata all’eccesso, laddove le donne sembrano aver perso quella misura minima di pudore che le renderebbe forse meno volgari. Personalmente credo che sia la mascolinizzazione della società occidentale a rendere le donne libere a tal punto da non considerare gli eccessi in cui cadono. Nella società iraniana invece, l'obbligo del velo a mio avviso risiede nella radice sessuofobica che costituisce le società islamiche (ciò probabilmente è nato in seno al carattere fortemente passionale dei mediorientali), così quei musulmani che sono cresciuti con questa cultura faticano ad adattarsi agli eccessi e alle libertà occidentali ritenendo anche le minime concessioni una nostra degenerazione. Ma è anche vero che fino a qualche anno fa certe rigidità erano appannaggio anche delle nostre società, e che pertanto le accuse che rivolgiamo con troppa leggerezza andrebbero meglio contestualizzate.
Prima di andare via ho posto una domanda a cui tenevo tanto: in che tipo di rapporto è l’Islam e il sufismo? La questione sorgeva da alcune mia letture affrontate poco prima di partire, letture che mi hanno fatto scoprire quanto la dottrina sufi sia affascinante e profondamente intrisa di bellezza, calore, amore e una profonda interpretazione non banale del divino. La risposta, come mi aspettavo, è stata che per gli sciiti il sufismo manifesta un eccesso di attaccamento religioso ed essi vengono visti come dei fanatici di dottrine mistiche troppo distanti dalla dottrina ufficiale.
Nel sufismo Dio è considerato un "creatore patetico" che ha generato il mondo, ma soprattutto l'uomo per poter contemplare e conoscere se stesso. L'uomo così, dotato di una parte della scintilla divina tramite uno dei nomi di Dio, o se vogliamo una delle sue attitudini o manifestazioni, agisce per ritrovare l'unione con la causa prima. È l'amore verso Dio, la contemplazione e la nostra conoscenza che ci permette di capire il nostro ruolo nel mondo e la strada per tornare all'Uno. Il sufismo quindi è una via iniziatica che permette di capire le cose del mondo e dell'ultrasensible secondo una chiave più profonda, ma soprattutto non dogmatica. Non a caso intrisi di pensiero e cammino Sufi erano tutte le maggiori personalità della cultura persiana. Coloro che avevano costruito le moschee applicavano una visione Sufi alla perfezione architettonica. Un po' come facevano gli antichi costruttori delle chiese gotiche, i primi maestri muratori intrisi di un sapere esoterico.
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