sabato 23 agosto 2014

Giappone 2013: Kyoto (quattordicesimo giorno)



Giovedì 11 aprile: Kyoto

Al termine della notte presso l'indimenticabile capsule hotel sono stato felice di andare via, non solo per la città piuttosto anonima, ma sopratutto perché desideravo giungere al più presto all'ultima meta del nostro viaggio: Kyoto.


Kyoto
Questa città è così famosa perché è stata capitale del Giappone per più di un millennio. Dopo Nara nel 794 la capitale passò a Kyoto che mantenne questo status sino al 1868 quando l'imperatore si spostò a Tokyo. Kyoto venne risparmiata dai bombardamenti della seconda guerra mondiale, pur essendo ipotizzato inizialmente il lancio della bomba atomica su di essa; per fortuna la storia è andata in un modo diverso e ciò ha permesso di preservare tutti i monumenti e le millenarie caratteristiche della città. 
Da Kobe a Kyoto il treno non ha impiegato molto. Tuttavia durante il viaggio ho appreso che Natzuko e Ben avrebbero abbandonato il gruppo. Lei mostrava di non stare bene (problemi intestinali) e per questa ragione aveva optato di tornare a Nagoya dai suoi genitori ed eseguire delle cure. Così il gruppo improvvisamente si ritrovava orfano di una guida sicura. Il suo posto sarebbe stato preso da Diego e Thomas che avevano rassicurato la loro amica anche del mantenimento del gruppo. Alla stazione di Kyoto infatti ci siamo salutati per dirigerci verso il nostro hotel.

Due ragazze in kimono



Anche a Kyoto c'è una rete di metropolitana, non capillare come altre città ma ugualmente utile. L'abbiamo usata subito per arrivare all'hotel che risultava essere parecchio vicino al centro. Abbiamo lasciato le valigie nella hall, perché in Giappone non è possibile prendere una camera prima delle 15. Così ne abbiamo approfittato per fare un primo giro della città seguendo le indicazioni della mia guida Lonely Planet. In realtà era più che altro un giro atto a orientarci per la città e capire i punti fondamentali. Ma già in quelle poche ore di camminata a piedi ho capito che in quella città l'atmosfera era diversa. La folla era quella di una città grande, non certo come Nara o Takayama: frotte di turisti affollavano ogni angolo delle strade, ma la cosa che la contraddistingueva era la sensazione di trovarmi in una città con tradizioni radicate. Non era solo la questione monumentale, ma anche la presenza di molte donne che indossavano dei kimono. Certamente nella città delle geishe questa caratteristica è inevitabile. In nessuna città del Giappone avevo notato una tale presenza di donne in kimono. Questa caratteristica era la naturale scelta di persone che vestivano in maniera deliberata e che sicuramente era vincolata dal peso del passato. Avevo già detto ciò che mi avevano risposto alcune giapponesi durante il matrimonio, che il kimono era più impegnativo da vestire, ma in queste parole c'è un mancato attaccamento alla tradizione che a Kyoto non avveniva. Uscire in kimono come abito da tutti i giorni era diverso rispetto all'occasione di un matrimonio. Ecco perché non era difficile vedere una signora di una certa età fare la spesa al supermercato in kimono. 
L'altro aspetto era il mantenimento di un'atmosfera rilassata, in origine infatti il nome della città significava "capitale di tranquillità e pace", e anche oggi questa sensazione sembra essere incredibilmente veritiera: forse dipende dalla presenza di molti parchi e da tanta vegetazione, o magari dalla prevalenza di edifici bassi. Non saprei precisamente, ma in effetti Kyoto era una popolosa città, ma serena.
Una maiko, probabilmente vestita per uno spettacolo di geishe
Verso le 18 siamo tornati in hotel scoprendo una fastidiosa novità. Rispetto a qualche ora prima io e Diego eravamo rimasti senza camera. Era successo infatti che due ragazzi del gruppo, il portoghese e un altro che non sopportavo caratterialmente, avevano dapprima detto di non aver intenzione di prendere la camera e invece al ritorno, arrivando prima, si erano presi le chiavi lasciandoci fuori. Questo episodio (alla fin fine) non è risultato così deleterio perché ci "costringeva" ad allontanarci dal gruppo per il resto dei giorni che ormai restavano alla conclusione del viaggio. 
Ma il problema era legato ora alla possibilità di trovare una stanza libera, in una città piena di turisti in ogni giorno dell'anno la cosa non sembrava facile. Per fortuna controllando su Booking è spuntata una camera doppia per fumatori ad un prezzo basso. Forse all'hotel era rimasta libera solo quella stanza ed essendo tra le pochissime disponibili abbiamo prenotato subito online. Pertanto ci siamo spostati verso il centro dove c'era l'hotel, che abbiamo poi scoperto essere di un livello più alto rispetto a quello prenotato prima. Quando siamo arrivati nella hall e ci hanno consegnato le chiavi abbiamo avuto un sospiro di sollievo, perché ormai erano tardo pomeriggio e il rischio di finire in un hotel fuori mano era concreto. Ovviamente per un vantaggio c'era uno svantaggio, il fatto che la stanza al sesto piano dell'hotel era impregnata di un pesante puzzo di fumo.
Una via caratteristica di Kyoto

Un incontro di couchsurfing
Essendoci liberati dal resto del gruppo la possibilità di trascorrere una serata diversa prendeva quota. Mi ero mosso ancora una volta col Couchsurfing e mi ero già messo in contatto con Chisaki, che aveva organizzato un meeting per quella sera. Le avevo comunicato per tutto il pomeriggio le difficoltà in essere, e quando ci siamo liberati dalle valigie siamo corsi nel locale che ci aveva indicato. Per fortuna era parecchio vicino all'hotel, tanto che ci siamo arrivati a piedi... Il locale era una sorta di taverna molto spartana. Al piano superiore c'era la tavolata con il gruppo che ci aspettava. Chisaki era una couchsurfer giapponese di Kyoto che parlava perfettamente inglese ma con un forte accento americano (in questa area del mondo è inevitabile!). Lei lavorava in un ristorante sushi. Assieme a lei c'era un americano e sua moglie, una bellissima ragazza colombiana: anche loro erano di passaggio a Kyoto. Subito dopo è arrivato anche un ragazzo svedese e un iraniano che viveva negli USA. Lo svedese era in Giappone per ragioni di studio (anche se non ricordo più i dettagli della sua permanenza) mentre l'iraniano faceva un master in medicina. La compagnia era piacevole, sopratutto la coppia americana che teneva alto lo spirito goliardico del gruppo appena formatosi. Come sempre avviene in queste circostanze lo scambio di conoscenze è stato interessante. L'iraniano per esempio mi ha rivelato che gli italiani sono considerati molto simili caratterialmente agli iraniani. L'americano invece prendeva in giro l'accento britannico perché considerato troppo "educato" e snob: chissà che cosa avrebbe onesto di me se gli avessi detto che io consideravo l'accento americano del tutto inelegante e cafone... 
La cena è stata sostanziosa, con una sorta di giro piatti che ci ha riempito oltre ogni dire. Francamente non pensavo che in Giappone ci si potesse abbuffare tanto! Al termine della cena Chisaki ha proposto di andare in una vicina discoteca. Per quanto non sia un frequentatore, l'idea di trascorrere il resto della serata in una discoteca giapponese mi incuriosiva molto. Non è stato difficile trovare il posto, e non era neanche troppo lontano. 
Dettaglio caratteristico

La discoteca di per sé non aveva nulla di particolare, se non la stranezza di essere giapponese e quindi piena di giapponesi. Non avendo avuto, nel corso del viaggio molte opportunità per stare a stretto contatto con loro la cosa mi appariva interessante. La musica al suo interno era tristemente internazionale, quindi nessun pezzo che non fosse associabile a un ritmo occidentale. I drink erano internazionali, tanto è vero che ho potuto ordinare un Martini. Mentre la socievolezza dei giapponesi è stata in quella circostanza una piccola rivelazione. C'era infatti un gruppo di giovani ragazzi che incuriositi dalla nostra presenza si era avvicinato per ballare con noi, sopratutto vicino alla ragazza colombiana che si era scatenata assieme a suo marito. Posso dire senza ombra di dubbio che la serata per me è stata parecchio divertente. L'idea stessa di trovarmi a Kyoto e in una discoteca, mi sembrava una bizzarria. Solo più tardi però ho capito che quella discoteca, così simile alle tante in cui sono stato nel corso della ma vita, era frequentata più che altro dai turisti occidentali e forse proprio per questa ragione non concedeva spazi a delle peculiarità prettamente giapponesi: come avrei sperato. Tuttavia la casualità di una serata che è nata senza pretese, forse più che altro a causa dell'episodio della stanza, risulta essere l'emblema del caso: proprio per questo (in realtà penso più che altro che ero stato io a metterci tutti i mezzi affinché accadesse) si è aperto uno spaccato di vita che non avrei mai immaginato, quanto a storie, persone e situazioni inattese.

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