Le Corbusier definiva l'architettura come: “…un fatto d'arte, un fenomeno che suscita emozione, al di fuori dei problemi di costruzione, al di là di essi. La Costruzione è per tener su: l'Architettura è per commuovere.” In queste parole si deduce quel valore aggiunto dell’architettura, cioè la differenza tra espressione artistica e costruzione; in realtà di questa forma d’arte ce ne ricordiamo sol quando, entrando in una chiesa barocca o in un palazzo nobiliare, improvvisamente restiamo come sospesi: ci commuoviamo appunto…
Dalle nostre parti l’unica esperienza possibile con l’architettura è quella di un centro storico o di un monumento a pochi passi da casa: per questo motivo preferiamo sorseggiare un caffè nella scenografia d’una piazza barocca piuttosto che quella d’un anonimo bar di periferia. In Italia il legame profondo con l’antico, sembra aver ingenerato la collettiva ossessione della conservazione e dell’immutabilità, per questa ragione qualsiasi architetto italiano avverte enormi difficoltà nel trovare un committente che gli permetta d’esprimersi al meglio. Massimiliano Fuksas (l’architetto della nuova fiera di Milano e di Etnapolis) ha giustamente detto: “L'architettura non banale nasce dal rischio reciproco del committente e dell’architetto” il rischio appunto, il timore di “rovinare” ciò che gli avi avevano costruito con grande capacità; sicché quando un’Amministrazione come quella di Siracusa offre un’opportunità ad un giovane architetto, il nostro interesse inevitabilmente s’accende… Vincenzo Latina, già collaboratore di Francesco Venezia, poi docente presso la neonata facoltà di Architettura a Siracusa è artefice della rinascita della Corte ai Bottari, conosciuta soprattutto dai giovani della movida ortigiana. Il lavoro di recupero compiuto all’interno dell’area, già colma di detriti e di edifici pericolanti, è stato quello di trasformare l’ambiente in un luogo ospitale che mantenesse una sobria continuità di linguaggio col passato. Latina riprogettando gli spazi e ricollocando una parte delle preesistenti macerie, ha operato un’azione di riutilizzo, proprio come nei secoli passati è avvenuto per le altre costruzioni di Ortigia; inoltre l’elevazione di un muro in pietra arenaria, la posa d’una pavimentazione lavica e la creazione di un piccolo giardino di pietra, determinano un equilibrato richiamo tra antichi materiali e gusto contemporaneo. Filo conduttore dell’opera è lo stenopos, l’antica strada greca orientata in direzione est-ovest che tagliava l’area della Corte. Così con un richiamo alla grecità, essa è stata riproposta seguendo un asse che principia da una fontana sino all’angusto percorso che si collega al ronco dei Cassari. Il progetto, oltre al riscontro dei siracusani, ha vinto l’importante riconoscimento “Il Principe e l’Architetto”, premiando sia Vincenzo Latina che il suo committente (l’ex sindaco Bufardeci): un “rischio” andato indubbiamente a buon fine.
Con questi presupposti sorge inevitabile l’attesa verso il nuovo progetto di riqualificazione del tempio ionico, sempre in Ortigia. Il progetto prevede la costruzione d’un padiglione d’ingresso al monumento, cerniera tra il suggestivo giardino di Artemide (all’interno del palazzo Vermexio) e la via Minerva; un lavoro certamente complesso, poiché ricade all’interno di un’area di grande valore storico su cui inevitabilmente si concentrerà l’attenzione critica dell’intera città… Latina però non ha operato solo con amministrazioni pubbliche ma anche con privati, realizzando il pregevole allestimento d’un locale commerciale. Utilizzando la planarità di pannelli colorati semitrasparenti, ha esaltato con rapporti di luce e design d’arredamento, l’estetica di ambienti fin troppo anonimi: un’idea davvero avanzata (ne abbiamo avuto riscontro), almeno per un pubblico siracusano ancora tutto da smaliziare. Sicché tra chiusure preconcette e inattese aperture, anche la nostra città sembra scoprire l’estetica di forme e valori che un domani potremmo persino fregiarci d’aver scioccamente sottovalutato...
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