Spesso Dio manca di una perfezione che potrebbe procurargli una grande imperfezione: ma non è mai limitato se non da se stesso; è lui stesso la sua necessità. Così, sebbene Dio sia onnipotente, non può mai violare le sue promesse, né ingannare gli uomini. Spesso poi l'impotenza non è in lui, ma nelle cose relative, ed è per questa ragione che non può mutare l'essenza delle cose.
Non c'è dunque motivo di stupirsi se alcuni dei nostri dottori hanno osato negare la prescienza infinita di Dio, considerandola incompatibile con la sua giustizia.
Sebbene tale idea sia ardita, la metafisica vi si presta a meraviglia. Secondo i suoi princìpi, non è possibile che Dio preveda le cose che dipendono dalla determinazione delle cause libere, perché ciò che non è accaduto non esiste, e di conseguenza non può essere conosciuto; perché il nulla, che è privo di proprietà, non può essere percepito: Dio non può affatto leggere in una volontà che non lo è, né vedere nell'anima una cosa che non esiste; infatti, fino a quando non si sia determinata, l'azione che la determina non è ancora dentro di lei.
L'anima è l'artefice della propria determinazione; ma ci sono occasioni in cui è talmente indeterminata che non sa neppure in quale direzione determinarsi. Spesso, anzi, non lo fa che per esercitare la sua libertà; e così Dio non può vedere in anticipo questa determinazione, né nell'azione dell'anima, né nell'azione degli oggetti su di essa.
Come potrebbe Dio prevedere le cose che dipendono dalla determinazione delle cause libere? Non potrebbe vederle che in due modi: per congettura, e la cosa è in contraddizione con la prescienza infinita, oppure potrebbe vederle come effetti necessari che deriverebbero inevitabilmente da una causa altrettanto necessaria, e la cosa è ancora più contraddittoria: l'anima sarebbe libera per supposizione, quando in realtà non lo sarebbe più di una palla da biliardo, che non è libera di muoversi se non è spinta da un'altra.
Non credere tuttavia che io voglia porre limiti alla scienza di Dio. Poiché fa agire le creature a suo piacimento, conosce tutto quello che vuol conoscere. Ma, pur potendo vedere tutto, non sempre si serve di questa facoltà: di solito lascia alla creatura la facoltà di agire o di non agire, per lasciarle la facoltà di meritare o demeritare, e allora rinuncia al suo diritto di agire su di lei e di determinarla. Ma quando vuole sapere qualcosa, lo sa sempre; perché non deve far altro se non volere che ciò accada secondo la sua visione e determinare le creature conformemente alla sua volontà. Così trae ciò che deve accadere dal numero delle cose puramente possibili, fissando con i suoi decreti le determinazioni future degli spiriti, e privandoli del potere che ha dato loro di agire o non agire.
Se ci si può servire di un paragone, in un ambito che è al di sopra dei paragoni: un sovrano ignora ciò che il suo ambasciatore farà in un affare importante; se vuole saperlo, deve solo ordinargli di comportarsi in un certo modo, e potrà essere sicuro che la cosa accadrà secondo il suo piano.
Il Corano e i libri degli ebrei insorgono continuamente contro il dogma della prescienza assoluta: ovunque Dio sembra ignorare la determinazione futura degli spiriti, e pare che sia questa la prima verità insegnata agli uomini da Mosè.
Dio mette Adamo nel paradiso terrestre, a condizione che non mangerà un certo frutto: precetto assurdo in un essere che conoscerebbe le determinazioni future delle anime: come potrebbe un essere simile porre condizioni alle sue grazie senza renderle irrisorie? È come se un uomo che avesse saputo della caduta di Baghdad dicesse a un altro: «Vi do cento tomani se Baghdad non cadrà». Non sarebbe uno scherzo di pessimo gusto?
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