mercoledì 20 aprile 2016

Nepal 2015: bloccato in aeroporto a Katmandu (undicesimo giorno)

Giornale nepalese che mostra le foto dei danni nel paese

Domenica 26 aprile

Verso le sei del mattino una scossa breve ma intensa ci ha dato la sveglia facendoci fuggire di scatto dal nostro giaciglio; ma per l’ennesima volta la struttura mostrava tutta la sua solidità.
All'alba di quel giorno si erano presentati diversi problemi. La scarsa presenza di bottiglie di acqua in vendita, esaurite in pochi minuti ad un prezzo maggiorato rispetto al normale e la sempre più esigua carica del cellulare: di tanto in tanto ravvivata dalla batteria suppletiva che iniziava a mostrare segni di cedimento. Nel frattempo scaricando nuovamente la posta, operazione ormai possibile solo nelle fasce orarie notturne perché la quantità di SIM collegate alla cella locale impediva persino le comunicazioni via whatsapp, ci dava nuova speranza perché il volo era riprogrammato per il tardo pomeriggio. Finalmente avremmo potuto varcare la soglia dell'ingresso dell'aeroporto, sino a quel momento impedita a coloro che non avevano in mano la certezza di un volo programmato.

Pochi i danni nei dintorni dell'aeroporto
Una passeggiata nei dintorni
Con tutto quel tempo a disposizione la miglior cosa da fare era quella di passeggiare e fare una colazione nel bar vicino dove ho trovato una vecchia presa di corrente che mi aveva concesso ancora più margini di carica. Dopo la colazione, il caldo sole del mattino ci invogliava ad allontanarci dall’aeroporto per raggiungere a piedi la periferia di Kathmandu che nella notte precedente m'era parsa confinata in furtive sbirciate da un punto panoramico accanto ai bagni. Un'immagine oscura, essendo le luci della notte poco scintillanti forse a causa di distacchi di corrente o per zone al buio.
Subito fuori dall’aeroporto la periferia ci appariva intatta, gli edifici sembravano non aver subito danni e qualche attività commerciale aveva persino riaperto i battenti. Utilizzando le ultime 100 rupie abbiamo acquistato l'equivalente di un euro di credito telefonico che ci avrebbe permesso un uso sereno del traffico dati e qualche telefonata di emergenza. L'intento era quello di chiamare casa via Skype, senza sapere che per l'intera giornata internet sarebbe rimasto ancora bloccato.
Per ingannare il tempo quindi siamo entrati in un parco antistante l'aeroporto, un luogo teoricamente vietato, ma che i buchi nella recinzione avevano reso di pubblico dominio. Diverse famiglie s'erano piazzate con tende, ripari e fornelli, come se fossero in gita domenicale assieme ai figli e ai cani educatamente mantenuti al guinzaglio. Un gioioso contrasto con quanto trapelava nella conta dei morti che cresceva di ora in ora. 

Il parco dell'aeroporto
In coda
Ci siamo messi in coda per accedere ai gates verso le due del pomeriggio, una fila che partiva dall’esterno e si prolungava per un centinaio di metri. Siamo giunti all'interno della struttura verso le cinque del pomeriggio e varcando dei controlli superficialissimi abbiamo incontrato l'altra fila, quella del check-in. Tuttavia quel passaggio che modificava il nostro status dalla condizione di "passeggero senza certezza del volo" a "passeggero in attesa di check-in", ricordando l’opposta condizione del paziente del racconto di Buzzati "I sette piani". In quel racconto un paziente in buone condizioni veniva alloggiato al primo piano, quello dei malati non gravi, ma successivamente e senza rendersene conto di giorno in giorno veniva trasferito ad un piano superiore, dove il grado di gravità aumentava e anche l’arredamento e l’atmosfera diveniva diversa. Questo passaggio infatti sembrava una conquista verso l'atteso ritorno a casa, d'uno status, che nella peggiore delle ipotesi contemplava un tetto a proteggerti dal freddo e qualche negozio in più dove comprare i generi di prima necessità. 
Non ho mai atteso un tempo così lungo ed estenuante per il check-in come quello che stavo vivendo. Alla quinta ora di fila, poiché saltava spesso la corrente e i monitor si spegnevano e le operazioni andavano a rilento, quando era giunto il nostro turno un altoatesino più furbo degli altri ci ha superato come se nulla fosse. L'episodio mi ha innervosito soprattutto perché i madrelingua tedeschi (quale che sia la nazione di provenienza) sono in genere i più critici contro le furbate degli italiani, e adesso vedere lo stesso comportamento mi sembrava una cosa intollerabile. Mi lamentai del suo comportamento ma decisi di fermarmi, tanto aspettare un minuto in più a quel punto non avrebbe fatto una grande differenza; invece la differenza c’è stata perché giunti al banco qualcosa si era nuovamente bloccato. La responsabile dello staff di terra si agitava al telefono per trovare delle risposte mentre eseguiva dei calcoli con la lista dei passeggeri: forse avevano riempito il volo? Eppure era previsto un secondo aeromobile che avrebbe smaltito quel centinaio di passeggeri ancora da imbarcare. Aspettammo un quarto d’ora circa poi la doccia fredda: le autorità nepalesi avevano negato l'atterraggio del secondo aereo (il primo era già partito) e ci aspettava un'altra notte in aeroporto! Il check-in invece era rinviato all'indomani alle nove e mezza del mattino…

In fila davanti al check-in
Un’altra notte in aeroporto
Come si poteva affrontare una seconda notte, quando già sporchi, con solo qualche biscotto per cena (non vi erano servizi di ristorazione adeguati in aeroporto) e con poca batteria? Non restava che cercare un angolo decente, anche se l'operazione si presentava ancora più ardua del giorno precedente, dato che ogni punto della sala era stato già occupato da altrettanti passeggeri di altre compagnie. Di certo non saremmo andati fuori dopo aver conquistato quel "privilegio" che preferivamo tenere stretto. Dava rabbia pensare che quell’uomo l’avesse spuntata facendo imbarcare cinque persone, mentre a quell’ora saremmo stati noi ad essere diretti su quel volo.

Passeggeri accampati per affrontare la notte
Col passare delle ore inoltre sempre più gente andava a caccia di prese elettriche: la nuova ossessione dei viaggiatori... Qualcuno si era attaccato arrampicandosi su dei tavoli perché la presa era alta, altri sostavano nei bagni aspettando la ricarica sopportando una puzza pestilenziale. 
Cercando un posto per la notte abbiamo conquistato un giaciglio sotto uno dei pilastri dell’edificio. Non era un posto migliore di altri era semplicemente uno spazio su di un pavimento sudicio. Ancora una volta, nel chiasso generale, non so come, sono crollato nel sonno della notte.

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