mercoledì 28 dicembre 2011

La barca di Dante – Eugène Delacroix



27/5/2000

Oltre l’inferno dei “senza Dio”, nei malvagi spasimi d’infernali creature; bestie senza tempo, come l’oscuro mondo di Dante li racchiude in eterno.

sabato 24 dicembre 2011

Sicilia Fotografica



Si è scritto a sufficienza della Sicilia, si è parlato a perdifiato, si sono girati film, documentari e reportage fotografici tra gli scorci di un borgo antico, di una chiesetta barocca o di una periferia degradata. Di certo le immagini siciliane soffrono di stereotipi, di volti fin troppo tipici e panorami quasi sempre soleggiati; eppure è ancora possibile raccontare gli altri luoghi di una terra dalla memoria corta: “Sicilia Fotografica” è il sito internet di un’isola inconsueta che grazie all’obiettivo puntuale di Diego Barucco rivive al suo interno un’identità pregnante. Da una passione per il passato è nato quindi un luogo virtuale pieno di immagini finemente commentate dallo stesso autore che non nasconde una personale predilezione: “…i luoghi che amo più frequentare e scoprire sono quelli dove più di ogni altro si respirano antiche storie oggi dimenticate, quei luoghi abbandonati dove la memoria ormai viene a mancare e tuffarsi nella fantasia diventa un piacere incalcolabile.”

Graffiti di Caratabia
Emerge cosi una Sicilia senza tempo, fatta di luoghi genuini, non ancora invasi dalla soffocante avanzata del turismo di massa. Ma da una piacevole genuinità si ravvede anche la triste consapevolezza del disinteresse collettivo, complice la solita Amministrazione di turno ma anche l’inguaribile indifferenza degli isolani… Così navigando tra i reportage fotografici, scopro l’esistenza dei meravigliosi graffiti di Caratabia, uno dei pochi esempi di un’arte sicula già contaminata dalla cultura greca; due grotte che trasmettono il messaggio di un popolo, per certi versi ancora oscuro, tramite le antiche figure di cavalli, cinghiali e cervi. Giungendo invece tra le campagne rosolinesi, fra le pareti scoscese di Cava Lazzaro sono ancora ben conservati dei bassorilievi geometrici di ben 4000 anni, davanti una tomba che porta il nome del grande archeologo Paolo Orsi, ma che appartiene alla scomparsa civiltà di Castelluccio. E che dire della miniera asfaltifera di Monte Renna, luogo in cui s’estraeva quel bitume che ancora oggi emerge in piccoli rivoli dal sottosuolo; una miniera di cui restano solo le poche rovine di edifici cadenti e le ampie gallerie abbandonate agli inizi del 900, quando l’attività perse la sua importanza. Questo luogo così suggestivo potrebbe divenire assieme ad altri siti dimenticati il richiamo intelligente di quel turismo fin troppo chiacchierato. Sicché con lo stesso spirito si scopre come tra gli affreschi dell’oratorio rupestre di San Pietro a Buscemi, i vandali e il pascolo degli animali domestici abbiano deturpato la testimonianza di un’epoca storica di transizione; e che dire del misterioso castello di Ossena, ricoperto dalla vegetazione e dall’incuria, abbandonato alla decadenza del tempo.

Abitazione rupestre di Ossena
Sono molti i luoghi della nostra terra dimenticati persino dagli studiosi, luoghi che singolarmente ricostruiscono le nostre antiche radici restituendo l’emozione di millenni. Per questo motivo come un moderno viaggiatore del “Grand Tour” tra i fasti in rovina di un presente distratto, i navigatori indomiti oltre a gustare la bellezza di immagini da conservare per sé (contribuendo così al sostentamento del sito), possono confrontarsi con coloro che quei luoghi li hanno visitati davvero. In questo modo è possibile regalarci un nuovo tassello di Sicilia, nella speranza d’aver contribuito almeno per una volta a costruire un rispetto verso noi stessi di cui pian piano aspireremmo a riappropriarci.

sabato 17 dicembre 2011

Ottima idea arcivescovo!




Qualche giorno fa sono rimasto basito leggendo la prima pagina di Corriere.it, quella dove si parlava della polemica in merito al cardinale Law. Non credo sia necessario raccontare nuovamente i dettagli della questione, i lettori di internet sono parecchio aggiornati, contrariamente al resto della popolazione... In effetti l'invito di un ex arcivescovo che pare abbia coperto centinaia di casi di pedofilia di preti in Usa, è certamente inopportuno. Questa inopportunità l'ha ribadita don Fortunato Di Noto, che di casi di pedofilia è purtroppo al corrente, ma anche da coloro che normalmente si informano. Ciò che stranizza è la reazione candida del nostro arcivescovo Pappalardo che ha semplicemente spiegato al Corriere d'aver ricevuto un'ottima accoglienza da Law e ha così ritenuto opportuno ricambiare l'invito.


La mia personale convinzione in merito a questi fatti, è che all'interno della Chiesa sussista un eccesso di carità cristiana verso chi commette "peccati". Non si tratta solo di ignorare i reati di pedofilia, ma anche di passare sopra a connessioni con la mafia, con la camorra, o con le dittature militari di altri paesi: come ampiamente avvenuto nel recente passato. La Chiesa minimizza sempre e difende senza mai curare con fermezza certe assurdità, salvo sentirsi costretta a farlo. Così dall'ambiente ecumenale a quello della società italiana il passo è breve, essendo la nostra cultura del tutto intrisa di fede cristiana; per questa ragione non stupisce il perdono della società verso le ruberie, gli scandali sessuali e le condotte inopportune... D'altronde siamo stati capaci qualche anno fa di accogliere l'appello del Santo Padre per attuare un mega indulto. Di cosa ci stupiamo?


Tra i fedeli vi sono coloro che considerano queste affermazioni come mere illazioni, molti altri ignorano il problema perché disinformati, altri ancora minimizzano sempre e comunque: così la festa è andata avanti... Una folla di fedeli, come sempre, si è riversata alla celebrazione del 13 dicembre, ma a nessuno di loro è passato per testa la commistione indiretta con gli abusi. Si, è vero che alcune associazioni hanno distribuito volantini di protesta, è vero che il cardinale non ha sfilato in processione. Ma la cittadinanza tutta, ha taciuto! Nessuna reazione decisa (io avrei disertato, come d'altronde ho fatto) perché gli abusi della Chiesa cancellati dalla memoria sono una vergogna di certi ambienti ecclesiali ma soprattutto della molteplicità dei fedeli. Il loro silenzio condanna coloro che fino ad oggi portano nel corpo i segni della violenza subita e con il loro silenzio perpetuano un atteggiamento assurdo.

In ogni caso ottima idea arcivescovo, in fondo quasi nessuno a Siracusa ci ha fatto caso!!

venerdì 4 novembre 2011

La zattera della Medusa – Théodore Géricault



27/5/2000

Nulla di ciò che vive, come i naufraghi della Medusa agli spasimi mortali: fuggono disperazione d’affanni, nella tempesta di dolore perduto.
La nave, la speranza d’eternità: dentro il quadro, fuggite via da qui!

lunedì 31 ottobre 2011

La semi-civilizzazione di Siracusa

Se facciamo un balzo indietro nel passato prossimo della nostra città, ci verranno in mente moltissimi episodi occorsi e tantissime cose, che oggi rispetto a ieri, sono cambiate. Volendo tralasciare ciò che si perpetua senza fine, il cui elenco sarebbe davvero lungo, mi piacerebbe soffermarmi su ciò che inevitabilmente ha semi-civilizzato il cittadino medio di Siracusa. Vi sembrerà forte la parola “civilizzare”, ma credo che essa sia la più appropriata, quella che va a legarsi al concetto di senso civico e alla coscienza comunitaria. Che l'anarchia e l'assenza di vere regole abbia segnato il carattere dei siracusani negli anni è risaputo, tuttavia qualcosa è davvero mutato…
In passato si era abituati ad andare in Ortigia in auto, nel senso che si entrava e si parcheggiava sino a piazza Duomo in auto. Oggi con la pedonalizzazione del centro storico ci siamo abituati, a forza di cose, a parcheggiare da qualche parte e ad arrivare a piedi sul posto; è stato doloroso e scocciante, ma alla fine ci siamo abituati e oggi la cosa rientra nella normalità.

Come tutti gli adolescenti anche io avevo un motorino, e come tutti mi sentivo a disagio utilizzando il casco: perché era più figo fare così. Questa idea idiota era talmente radicata che non bastavano i sequestri temporanei del mezzo per togliercela dalla testa: era così punto e basta! Ma giunto al secondo sequestro anche le mie resistenze e il senso della vergogna cedeva, per questa ragione cominciai a mettermi il casco: per evitare altri sequestri non perché mi fossi convinto che fosse giusto. Solo l'età “matura” mi ha tolto ogni dubbio: il casco serve, eccome! Ma da allora ad oggi è cambiata una cosa importante in città, è finita l'epoca dei bulletti con la marmitta truccata e senza casco. I minorenni di oggi sono sempre rincoglioniti dal trasbordare dell’effimero ma il casco lo mettono, forse perché i controlli sono stringenti e la mentalità è diventata diversa, ma lo mettono. Stessa cosa per la cintura di sicurezza, anche se meno diffusa dell'abitudine del casco è più presente anche in città.

Fino a qualche anno a si costruivano ville abusive, si chiudevano verande e si tagliavano pilastri con nonchalance. Ma da quando alcune ville sono state realmente demolite o sono stati bloccati i lavori ed è partita una denuncia per abusivismo, il fenomeno è parecchio diminuito. Oggi si rischia tranquillamente che un vicino chiami i Vigili Urbani per denunciare l’abusivismo. Così si evitae si rientra nelle regole “civili”.
Ma anche il gusto estetico delle case si è civilizzato. In Ortigia è partito l'effetto-gara per mantenere al meglio la facciata della propria casa, magari aggiungendo delle piante ornamentali oppure sostituendo infissi e ristrutturando le facciate. Per non parlare dell'effetto traino delle ristrutturazioni di locali, bar e pub sempre più "infighettati" da uno stile minimal proprio come avviene nelle grandi città.

Negli ultimi anni il contatto con le altre realtà, la possibilità individuale di viaggiare e confrontarsi ha smosso le coscienze. Molti ragazzi grazie all’università, al lavoro fuori sede e al turismo, hanno compreso quanto siamo imperfetti, quanto siamo incivili. E in questo processo di progressiva apertura qualcosa muta realmente, anche se restano ampie sacche di “barbarie” e ignoranza cronica. Se vogliamo guardare il bicchiere mezzo pieno, potremmo dire che la città ha fatto un grande balzo in avanti. Essa è passata da una città totalmente provinciale, come avveniva già vent’anni addietro, ad un qualche livello di consapevolezza.
Stupisce riscontrare quanto sia mutata la sensibilità delle persone verso il territorio. Se si pensa al successo delle manifestazioni del movimento SOS Siracusa in difesa della Pillirina, un enorme opera di consapevolezza è arrivata! Ma anche alla partecipazione crescente verso le associazioni ambientaliste e culturali…

Ovviamente la nostra città resta un “paese per vecchi” una realtà priva di tante forme di svago culturale e non, che appunto costituiscono il tessuto della civiltà all’interno di una comunità. I problemi sono tanti, indubbiamente, e proprio la scarsa consapevolezza e il senso civico sempre egoisticamente ininfluente, costituiscono lo scoglio più grande per dare un senso di svolta. Ma la realtà è questa, a volte squallida, a volte parassitaria e incivile, ma è pur sempre un processo umano che muta – se lo si vuole – attraverso la consapevolezza individuale di ognuno di noi.

domenica 30 ottobre 2011

Joe Schittino


Avevo sentito parlare di Joe tre lustri addietro, tramite i racconti di amici e le memorabili apparizioni in TV; sicché quando lo conobbi scoprii le qualità affabili di ironico conversatore e fine letterato, qualità apparentemente celate dietro una cortina austera di timido enfant prodige: «Ai tempi del Costanzo mi chiamavano erroneamente Schettino, e oggi che nessuno inciampa più sulla vocale considero le due persone del tutto diverse...» Di questi ricordi ormai lontani, Joe mostra un presente assai diverso: quello d’un compositore e d’un musicista dalle idee piuttosto chiare. Egli ama parlare molto di sé, delle sue composizioni in giro per l’Europa e dei crescenti successi personali. Nel 2006 grazie all’incontro con Mario Filetti nasce la “Glogassonic Band”, una formazione strumentale e vocale fondata per eseguire le sue opere: in breve tempo il numero dei suoi componenti cresce, trasformando la Band in una piccola orchestra, la “Glogassonic Chamber Orchestra”. Gli chiedo subito il perché di questo nome: «…perché la Glogassonic è l’unica orchestra regolare dello Stato della Glogassònia, una nazione (immaginaria) di cui io ne sono ambasciatore.» La sua musica infatti è conosciuta soprattutto all’estero e quasi ignorata in Italia (eccetto in Glogassònia ovviamente) dove si considera con troppe riserve la musica contemporanea. Tuttavia il gruppo ha già suonato al “Bellini” di Catania e all’Ibsenear Festival di Siracusa, per non parlare degli indimenticabili concerti in a Cipro. Inoltre grazie alla collaborazione con Klaus Rohleder, uno dei più rappresentativi drammaturghi contemporanei tedeschi, ha composto (su libretto di Rohleder) l'opera La Neuberin diffusa in Germania grazie ad una serie di concerti dedicati: «Il pubblico sembra essersi abituato alle follie musicali del novecento e alle composizioni dissonanti prive d’emozione. Per questa ragione la gente non segue più la musica di un certo livello, perché essa è troppo distante dal cuore delle persone. Con le mie composizioni invece cerco di avvicinare il pubblico, superando gli schemi rigidi della musica classica e le sperimentazioni dell’avanguardia accademica…»

La sua musica è un gioco teatrale ora ironico ora paradossale, trasmesso con un linguaggio di ampia accessibilità in grado di stupire qualsiasi uditore. Si prenda ad esempio il Minuetto della Tosse, pezzo “cult” della band eseguito a Catania dal Delta Saxophone Quartet ed a Londra presso la Kingston University: chiamato così perché ad un certo punto i musicisti cominciano a tossire nervosamente. Questa “trovata” infatti unisce la sperimentazione musicale al concetto liberatorio della tosse, solitamente considerato come un elemento di mero disturbo. Oppure l’ipotesi tuttora irrealizzata di far suonare una sua opera da tre anziane donne completamente nude: un richiamo dadaista che tuttavia riflette l’eccentrica personalità di Joe, sempre protesa agli ossimori dell’esistenza: ironia e tragedia, classicismo e modernismo, seriosità e provocazione; aspetti duali di una persona che non finirà di stupire il crescente pubblico che avrà il privilegio di assistere ad un suo concerto.


giovedì 27 ottobre 2011

I cinesi


L’antica astronomia cinese è famosa soprattutto per le assidue osservazioni astronomiche condotte sin dal 2000 a.C: esiste ad esempio la registrazione di una eclissi di sole risalente al 1217 a.C! I cinesi osservarono e documentarono fenomeni come: passaggi di comete, macchie solari e persino l’esplosione della “supernova del Granchio” del 1054; questo fenomeno divenne particolarmente evidente per 23 giorni, quando apparve una stella luminosissima visibile anche di giorno. Nel trattato astronomico cinese Sung-shib, cioè “Storia della dinastia Sung” si legge infatti: «Una stella ospite è apparsa a sud-est di Tien-kuan [la stella zeta Tauri nella costellazione del Toro]. Dopo più di un anno è scomparsa a poco a poco.» Rispetto ai popoli europei i cinesi documentarono tutti gli eventi astronomici osservabili mantenendo un certo rigore descrittivo, per questa ragione grazie agli antichi testi è possibile oggi avere un buon riscontro in merito ad eventi poco documentati presso altre culture.


Crearono un calendario lunisolare di 360 giorni cui venivano aggiunti 5 giorni epagomeni*. Il primo giorno dell’anno cinese veniva identificato col solstizio d’inverno, quando le ombre proiettate dagli gnomoni al mezzogiorno raggiungevano la massima lunghezza.
Nella cosmologia cinese l’Universo aveva la forma di un carro, con la Terra come sfondo e il cielo come baldacchino. La Terra a sua volta era circondata da quattro mari che la separavano da una terra abitata dalle divinità. La volta celeste era sostenuta da otto pilastri altissimi che affondavano le loro basi ai confini del mondo. Secondo la tradizione a causa di un’antica catastrofe uno dei pilastri s’era rotto inclinando il cielo verso il pilastro più basso, in questo modo le stelle non essendo più in posizione di equilibrio cominciarono a ruotare.


*Giorni epagomeni: giorni di calendario che si aggiungono in determinati anni.

martedì 11 ottobre 2011

Testa di fanciulla (La scapiliata) – Leonardo da Vinci



3/5/2000
Nell’attostesso del “non finito”, aggraziate ombre assurgono all’armonia del volto comesue labbra in delicati sorrisi e sguardi del perduto pensiero, alle pieghedesunte di capelli incolori…

sabato 8 ottobre 2011

Il piacere di vivere nell'anarchia

Uno degli aspetti divertenti della nostra città è senza dubbio il forte senso di anarchia cui ogni concittadino è intriso. L'esempio più evidente lo si appura nel comportamento individuale per le strade: parcheggi in doppia o tripla fila, in divieto di sosta o di fermata, mancato rispetto del semaforo, delle strisce pedonali e così via... In fondo questa "anarchia" ci permette di parcheggiare davanti ad un negozio senza cercare un posto: pazienza poi se qualcuno suonerà incessantemente perché non può passare con l'auto, l'importante è aver fatto ciò di cui avevamo bisogno! Quale soddisfazione poi arrivare in Ortigia in moto violando un senso vietato o beffando l'isola pedonale sol perché abbiamo preso una via secondaria? E poi, quanto è facile abbandonare la spazzatura per strada perché il cassonetto è lontano, o gettare una sigaretta perché il prossimo cestino - vai a trovarlo - ci costa una fatica che non vale la pena fare...
Ma volte in maniera inattesa giunge la sorpresa. Laddove per anni prendi un autobus urbano senza biglietto ti spunta il controllore che ti fa la multa, oppure la polizia ti ferma perché senza la cintura o i Vigili Urbani perché in divieto di sosta e via discorrendo... In quei casi ti senti defraudato di qualcosa, del diritto d'essere te stesso e di fare come hai sempre fatto e come, soprattutto, fanno tutti. Così scatta la scusa, il minimizzare i fatti, lo scaricare le colpe alla rigidità del poliziotto, alla deficenza del sindaco o al vittimismo da pezzenti.
Nell'anarchia siamo cresciuti pensando che potesse portare giovamento ai nostri ritmi di vita e quando ci hanno imposto di parcheggiare correttamente per andare in Ortigia, ci siamo lamentati perché scomodo. Ma perché è scomodo mantenersi nelle regole? Perché è scomodo gettare la spazzatura in orario anziché fuori rischiando la multa? Perché le regole se rispettate sono realmente scomode, perché chi ci amministra ci rende la vita più difficile nella legalità che nell'illegalità. Per questa ragione se parcheggi in Ortigia correttamente e sei costretto a fare molta strada a piedi, ti lamenti, perché dovrebbero esserci gli autobus gratuiti. Se vuoi gettare rifiuti incombranti, anziché attendere la notte quando nessuno ti vede, dovrebbe esserci un servizio gratuito di raccolta, che non esiste. Oppure dovremmo ottenere degli sconti sull'immondizia riciclata e non farci prendere in giro dai cassonetti della plastica vetro e carta puntualmente riuniti a fine giro. O magari dovremmo trovare un autobus che funziona al posto dell'auto, un parcheggio anche a corso Gelone invece di girare due ore...
In fondo l'anarchia di cui siamo intrisi è quel senso di sopravvivenza che adottiamo per reagire all'incapacità amministrativa di pezzenti che gestiscono indisturbati il patrimonio comune.

Concludo citando un episodio letto in questi giorni su La Sicilia che riguarda un lampione in via Sardegna girato dal lato della strada a quello di un cortile privato. Il cortile è di proprietà di un consigliere comunale che attaccato da un altro consigliere ha reagito: "questa è diffamazione!". A Siracusa può accadere anche questo che una strada pubblica venga lasciata al buio per il capriccio di un consigliere in conflitto di interessi e di dignità.

venerdì 30 settembre 2011

Galleria Roma


L'arte ha bisogno o di solitudine, o di miseria, o di passione. È un fiore di roccia che richiede il vento aspro e il terreno rude.” Nelle parole di Alexandre Dumas si evince un’esperienza esistenziale tormentata, esperienza applicabile anche alla vita artistica delle nostre latitudini. In Sicilia e a Siracusa in particolare, è difficile fare arte, trovare spazio tra mille rinunce e troppi compromessi; per questa ragione l’intento dei soci della Nuova Galleria Roma è da considerare una missione nobile: diffondere il piacere dell’arte a tutti i livelli, svelando nel contempo i solitari creatori di opere e le giovani promesse… Così al 110 di via Maestranza, protetta dalle quattrocentesche volte di un’elegante palazzo di Ortigia, si apre lo scrigno della Galleria, accolti dall’entusiasmo del Direttore Artistico Corrado Brancato e da Amedeo Nicotra.

La galleria nacque dieci anni fa, prendendo il nome dalla precedente sede di via Roma dov’è iniziata l’esperienza di gruppo. In dieci anni, l’associazione è cresciuta come partecipazioni ed iniziative. Ad oggi oltre a contare una sessantina di aderenti, la Galleria consente a tutti i soci di esporre le loro opere allestendo vernissage con cadenza bisettimanale. Sicché tra inaugurazioni di artisti emergenti e collettive a tema, s’affiancano anche appuntamenti musicali, letterari e cineforum; un contenitore culturale che cresce e si arricchisce di diversità e passioni, che sfociano sovente nelle pubblicazioni di cataloghi e libricini con cui veicolare il messaggio di conoscenza e memoria. Le mostre migrano spesso verso altri ambienti espositivi, tramite eventi di più ampia risonanza: presso il vicino palazzo Impellizzeri, presso lo storico convento del Ritiro e persino nel centralissimo Palazzo del Governo.

La promozione delle attività è affidata alle molteplici collaborazioni con quotidiani locali e tramite internet. All’indirizzo www.galleriaroma.it si accede alle pagine web, ove oltre alle consuete informazioni, è possibile visionare il vasto archivio di biografie ed immagini di artisti più o meno noti al grande pubblico: uno spazio su cui ricercare nomi che a volte si fatica a trovare anche tra gli scaffali di una biblioteca. Inoltre grazie all’impegnativo lavoro di ricerca dei soci, si può attingere facilmente alle diverse fonti storiche su Siracusa: sui suoi monumenti, sulla sua storia e sul suo repertorio di bellezze. Con questi contenuti puntigliosamente aggiornati, è possibile informarsi anche sulle mostre inaugurate a Siracusa ed in Sicilia, pianificando magari un’improvvisata escursione culturale.

Così sorge immediata la domanda che ogni artista, appassionato o semplice cittadino potrebbe porsi leggendo queste righe: a quale destino andrebbero incontro i molti artisti aretusei se non fossero incoraggiati da un entourage di appassionati, costretti a subire l’offesa di istituzioni assenti o il reciso coraggio di emigrare altrove? Si conferma un terreno aspro il nostro, fecondato semmai dalla spinta individuale di un pennello o dal sentimento passionale per la parola…

domenica 25 settembre 2011

Gli egiziani

 
La civiltà egiziana sorta intorno al 3300 a.C. si sviluppò grazie all’influenza delle diverse dinastie di faraoni che ne caratterizzarono l’arte e la cultura. Essendo l’economia egiziana di sussistenza fortemente legata alle periodiche alluvioni del fiume Nilo, la costruzione dei calendari egiziani ne risulta fortemente legata proprio per permettere di individuare i periodi e organizzare così il lavoro. La ciclicità delle alluvioni infatti veniva conteggiata secondo il calcolo di 11 o 13 lunazioni, conteggio che mutò nel primo apparire annuo della stella Sirio (“Sopdet”). Con questo principio nacque il primo calendario egizio detto lunare di 354 giorni con mesi di 29 o 30 giorni. Successivamente, avendo riscontrato vistose discrepanze nelle osservazioni, venne introdotto un secondo calendario chiamato calendario civile composto da mesi di 30 giorni più 5 giorni aggiunti nel corso dell’anno, onde raggiungere il conteggio finale di 365 giorni. Ma anche questo calendario mostrava delle discrepanze così fu introdotto un ultimo calendario, molto più preciso, che presentava un ciclo di 25 anni cui si aggiungeva un mese intercalare nel 1°, 3°, 6°, 9°, 12°, 14°, 17°, 20°, e 23° anno di ogni ciclo. Questo calendario, proprio per la sua precisione, venne introdotto nel II sec. d.C. e utilizzato sino ai tempi di Copernico; esso aveva sempre una divisione in mesi di 30 giorni, a sua volta divisi in “settimane” di 10 giorni e in tre grandi stagioni chiamate: mesi dell’inondazione, mesi della germinazione e mesi del raccolto
 
Zodiaco di Dendera

Per il calcolo delle ore sin dal 3000 a.C. gli egiziani avevano in uso la divisione del tempo in dodici ore diurne e notturne: per le ore diurne scandivano agevolmente il tempo attraverso le meridiane, mentre per le ore notturne utilizzavano la posizione di 24 stelle di riferimento nel cielo. L’imprecisione del metodo determinava una scansione del tempo differente tra giorno e notte soprattutto in base alle stagioni (e dunque alle stelle di riferimento). Per ovviare a ciò e rendere il conteggio più accurato vennero introdotti successivamente i decani, ovvero 36 stelle che consentivano una determinazione più precisa delle ore notturne.

mercoledì 21 settembre 2011

Autoritratto con tavolozza – Vincent Van Gogh


3/5/2000
Nel senso stesso di come la follia lo ha dipinto, la fluttuante colorazione del suo stile pittorico trascende la forma; amarezza d’occhi spenti inquietano il trasporto di un’esperienza affine. 
Chissà, cos’hai nascosto in quel giallo…

domenica 18 settembre 2011

Barcellona


C’è una città che lega l’Italia alla Spagna seguendo il criterio della similitudine; Barcellona infatti la si può considerare simile a Milano, poiché entrambe si fregiano dell’appellativo di capitale economica e morale del proprio paese. Entrambe sono l’avanguardia di costumi e ed estetiche della nazione, laboratori universali d’idee e nuove mode. Ma Barcellona ha l’indubbio vantaggio dell’audacia, una disinvolta libertà di reinventare se stessa già dal cuore storico del tessuto urbano. Così dalle invenzioni oniriche di Antoni Gaudì, è germogliata la monumentale speranza della Sagrada Familia, la sinuosa bellezza della Pedrera e della Casa Batlló, o il fiabesco inviluppo di pietre e maioliche del Parc Güell: forme che rompono e dialogano con le convenzioni del passato, reinventando uno stile cui la città per anni ha fatto scuola. 
 
Sicché il mutamento di gusti e politica, nell’appiattimento dell’epoca franchista con cui s’è schiacciata ogni pretesa di identità ed innovazione, tarpando sul nascere ogni proposito culturale. Quindi all’alba di una nuova democrazia, Barcellona risorge espandendo il suo ego nella scommessa olimpica; dalla matita di famosi architetti sorgeranno nuovi quartieri, si costruiranno stadi ed edifici che rivalutano la vocazione futuribile della città. Rinasce una nuova identità marinara, un porto che ricuce l’antico e prezioso legame con l’acqua, la vocazione festosa della gioventù catalana che s’incontra al Maremagnum, per ballare e bere sangrilla, aspettando i colori dell’alba seduti su di una bitta. Così tra pub alla moda e passeggiate alla Rambla dove concedere con una monetina il sospirato gesto d’un mimo di strada, Barcellona mostra una vitalità sanguigna d’incontri tra universitari e impudenti viaggiatori, feste improvvisate e grandiosi concerti all’aperto. Ma c’è anche chi pretende una semplice passeggiata tra i negozi, una pausa commossa sotto gli archi gotici della Cattedrale di Sant’Eulalia, o magari la quiete per assaporare un espresso nella circospetta Plaça Reial… Così ci si accorge presto che il tempo pare non aver limiti, essendo in grado di consumare una giornata in mere facezie, o di far perdere le proprie tracce nell’orgia scombinata delle ore piccole: uno spirito duale tra frenesia e siesta, tra quiete e movimento, tra intellettualismo e superficialità.

Ma Barcellona è anche la città dei catalani, la fortezza d’un carattere orgoglioso che non vuol perdonare la secolare dipendenza madrilena. Per questa ragione nelle scuole si studia la lingua catalana, per rinfacciare un’identità che conservi il doppio idioma anche nei luoghi pubblici, oltre che a casa. Così anche nella malattia contagiosa del calcio, i catalani convergono il proprio supporto nazionalista sui due club della città: il Barcelona Futbol Club e il Reial Club Deportiu Espanyol, esultando negli stadi le gioie della propria passione. E forse è a causa di questo mix di distrazioni e sentimenti, a convincere gli italiani a prenotare un biglietto di sola andata, verso una città cui senti di appartenere in breve tempo.

mercoledì 14 settembre 2011

E li chiamano commercianti!


Quante volte vi è capitato di entrare in un negozio per provare un vestito, o magari vi siete seduti per bere qualcosa in un bar o in un pub? Spesso, suppongo. E quante volte vi siete sentiti trattati male come clienti? A me succede sempre, e per quanto ci abbia fatto l'abitudine non finisco mai di indignarmi...

Un esempio, vi sedete in un bar e i camerieri vi ignorano perché indaffarati, passano altri minuti e scocciati ne bloccate uno: "scusi dobbiamo ordinare". Passano altri dieci minuti e non arriva nessuno. Arriva finalmente il cameriere, ordinate, chiedete un gelato ma mancano certi gusti. Cambiate idea, ordinate dell'altro e vi mettere l'animo in pace. Passa un altro quarto d'ora, arriva l'ordinazione ma la qualità di ciò che avete preso è terrificante.

Ora invece passo a episodi successi a me... Entro in un'autoconcessionaria convinto di voler comprare un'auto, ma soprattutto convinto di prendere un certo modello di auto. Mi danno un opuscolo, chiedo il prezzo e la possibilità di permuta che loro non fanno. Chiedo uno sconto, nulla. Guardo i colori possibili dell'auto, ma nel frattempo arriva un amico del commesso, questi si alza e mi lascia da solo per parlare tranquillamente con l'amico. Passano 10 minuti e scocciato vado via. Chiamo la stessa concessionaria, ma a Catania, e ottengo uno sconticino, la permuta e la soddisfazione di sentirmi trattato da cliente.

Acquisto delle tende bianche per casa, il prezzo è buono. Do un anticipo, attendo due mesi (tanto puoi aspettare!) e finalmente vengono gli operai per montare le tende. Si vede da lontano che non avevano mai fatto questa operazione! Infatti si confondono nel montarle ma soprattutto, con le mani unte (e senza guanti) toccano le tende che si sporcano. Chiamo in ditta e chiedo se le tende si possono pulire e come, non lo sanno, devono chiedere dal fornitore. Attendo risposta e dopo un'ora chiamo io ma non avevano chiamato ancora nessuno. L'operaio termina il lavoro, fa cadere una tenda per terra così è costretto a portarla via. Chiedo ancora delucidazioni in ditta ma nulla. Dopo un mese di chiamate e richieste arriva un operaio con una spugnetta per pulire le tende, ma il problema si risolve parzialmente. Allora parlo col titolare e chiedo di avere la sostituzione delle stesse lamentandomi della loro scarsa professionalità. Risultato: non è più tornato nessuno e io ho risparmiato 1200 Euro, tenendomi le tende sporche.

L'elenco degli episodi potrebbe continuare: dai prezzi sempre più bassi nelle provincie vicine alla scarsa fornitura di merce, sino alla maleducazione diffusa, il disinteresse completo e la scarsa qualità dei prodotti. Ma da quando si sono aperti i vari centri commerciali quantomeno nell'ambito del commercio la situazione è migliorata perché hai a che fare con realtà più grandi, o magari con catene in franchising. Sicché i vecchi negozi in città, fermi alla certezza di essere gli unici detentori del privilegio di clienti fissi, chiudono. Ne chiudono tanti lamentando cali di vendite e pochi affari e un (reale) disinteresse dell'amministrazione comunale. Ma con gli esempi fin qui esposti e una quasi totalità di comportamenti simili la mia personale soddisfazione è quella che questa gente ha finalmente chiuso!! Fino a qualche anno fa infatti poche erano le alternative possibili e molti i commercianti che guadagnavano senza alcuna voglia di rinnovare i locali, di migliorare la qualità dei servizi o di servire bene il cliente. Oggi, in tempi di crisi, chi ieri sguazzava nella certezza ha chiuso. Mi spiace dirlo, ma in fondo ne sono felice.

domenica 11 settembre 2011

Cipressi – Vincent Van Gogh


3/5/2000
Denso d’un movimento fluido, la materia si fonde nell’indefinito fluire del mondo: forse il vento o la sostanza stessa impersonificata nei moti e nei battiti del tempo andato. Cipressi infuocati di clorofillìaci impulsi, oltre le plasmate contorsioni di nubi afose, o del riso pacato di un’imperfetta luna.

giovedì 8 settembre 2011

Le civiltà mesopotamiche


I primi segnali di una civiltà ben sviluppata nella regione dell'attuale Iraq, tra i fiumi Tigri ed Eufrate, si hanno intorno al 2700 a.C. con gli insediamenti Sumeri, popolo che trovò il suo sviluppò politico e culturale sino al 2000 a.C. quando cadde sotto il dominio dei Babilonesi. Ma la storia dell'intera regione sarà poi dominata da altri popoli come gli Assiri ed i Caldei che arricchiranno ulteriormente le già vaste conoscenze astronomiche nella regione. La spinta allo studio dell'astronomia non proveniva solo dalla necessità di dotarsi di un buon calendario su cui fare riferimento (un problema importante per tutti i popoli antichi), ma dalla convinzione che i pianeti fossero gli “interpreti” del volere delle divinità sugli uomini; infatti erano gli stessi sovrani a richiedere le previsioni astrologiche agli astronomi di corte. Pur non avendo ancora a disposizione strumenti precisi intuirono il moto apparente dei pianeti basandosi sulla posizione di alcune stelle di riferimento nel cielo. Scoprirono anche i periodi sinodici di Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno, inoltre applicando complesse formule matematiche, riuscivano a prevedere le eclissi di sole e di luna ritenuti eventi infausti. Introdussero anche gli almanacchi astronomici per predire la posizione nel cielo dei pianeti e il loro moto. Su altri testi si evincono inoltre due versioni nella previsione del moto del Sole e dei pianeti sviluppata dall'astronomo e matematico babilonese Kidinnu (400 a.C. – 330 a.C. circa); la prima definita “sistema A” che assume un certo valore alla velocità apparente del Sole lungo alcune parti l'eclittica e un valore minore per altre. Nel “sistema B” invece la velocità è considerata più realisticamente con una progressiva variazione nel tempo, da un picco massimo ad un minimo. Questo concetto di variazione della velocità del moto lungo l'eclittica dimostra quanto fosse avanzata a quel tempo l'astronomia, nei secoli successivi infatti il concetto di variazione della velocità orbitale della terra verrà “dimenticata” sino all'introduzione delle Leggi di Keplero nel 1600. Negli antichi testi Goal-Year si parla anche del ripetersi periodico delle posizioni di Sole, Terra e Luna, cioè che ogni 223 lunazioni (18,10 anni) le eclissi si ripetono con uguale frequenza, fenomeno che prende il nome di ciclo di Saros.

Tavoletta con calcoli matematici

Grazie alla loro grande abilità nei calcoli matematici (inventarono persino l'algebra), riuscirono a determinare la durata del mese sinodico della luna con errori di 30 secondi d'arco in 5000 lunazioni: un valore di grande precisione se rapportato agli strumenti dell'epoca. Ma non solo, osservando il diametro apparente della Luna nel corso delle varie orbite scoprirono che la misura variava fra i 29' 30" e i 34' 16", valori sorprendentemente precisi se confrontati a quelli attualmente misurati di 29' 30" e 32' 55".

La loro grande abilità nello studio del cielo li portò ad identificare la fascia dello zodiaco e dell'eclittica, l’eclittica a sua volta venne divisa in 360 parti introducendo l'attuale sistema sessagesimale per il calcolo dei gradi. Furono i primi a dividere il giorno in 24 ore, facendo iniziare il conteggio del giorno dalla sera e ogni mese dopo ogni novilunio, conteggiando il primo giorno dell'anno subito dopo il plenilunio di primavera. Il calendario era diviso in 12 mesi lunari di 29 e 30 giorni, diviso a sua volta in settimane. Tuttavia per quanto fossero abili nella previsione degli eventi astronomici il loro calendario mostrava vistose imperfezioni, necessitando periodiche correzioni tramite l'aggiunta di mesi epagomeni. La correzione avveniva quando, in base all'osservazione di alcune stelle di riferimento, gli astrologi riscontravano uno scostamento eccessivo rispetto la posizione reale dell'orbita terrestre. Ma dal 499 a.C., quando venne introdotto il ciclo di 19 anni con cui venivano aggiunti 7 mesi intercalari distribuiti nel tempo, il calendario abbandonò il sistema incerto dei mesi epagomeni per uno finalmente programmato.

Molte delle nostre conoscenze riguardo le civiltà mesopotamiche derivano dalle tavolette a caratteri cuneiformi ritrovate in svariati siti archeologici. In particolar modo nella tavola 63 dell'Enuma Anu Enlil vi è una lista di presagi a carattere astrologico, nel Mul.Apin, un antico catalogo del cielo risalente al 1400 a.C., sono contenute le previsioni di levata delle costellazioni e le relative stelle; infine nelle tavolette di Venere di Ammi Saduqa sono riportate le osservazioni del pianeta e il suo grado di visibilità per un periodo di 21 anni.

Cosmologia sumera
Assai interessante risulta essere anche la cosmologia sumerica riguardante l'origine del mondo. Secondo la leggenda esso nacque dal mare primordiale tramite la dea Nammu da cui fu generata anche la Montagna Cosmica che comprendeva An il Cielo e Ki (o Enki) la Terra. Questi due elementi erano dapprima uniti e solo dopo la generazione di Enlil, l'Aria, avvenne la separazione tra cielo e terra. L'universo così creato era immaginato come una sfera divisa in due emisferi, nell'emisfero superiore vi era il cielo e in quello inferiore gli inferi; i due emisferi erano separati da un disco di acqua dolce su cui galleggiava la Terra.

lunedì 5 settembre 2011

Bucarest


Quale sorte è toccata alla città che un tempo fregiava l’appellativo di “Parigi dell’est”? Cosa resta dei teatri, dei caffè, dei boulevard e degli edifici dai tetti d’ardesia? Un’eredità d’indigenti, uno squasso di pochi violenti in fuga dalla patria, uno sbriciolarsi di famiglie e strade... Resta solo la speranza d’una trasferta breve per l’Europa, dove con pochi Euro torni con scarpe e vestiti finalmente nuovi, ma col prezzo d’un mestiere di giornata e un passaporto di pregiudizi.

Bucarest è grigia, una città consunta da mille palazzoni in rovina, sovietizzata dai monumenti di Governo, dalle piazze senza turisti, da tram invecchiati, da una metropolitana in perenne ritardo, da negozi senza merce, da bar con poca gente e dai troppi locali pieni di puttane. Resta poco d’un passato di provincia Romana, del dominio ottomano o dei fasti della belle epoque, poiché Ceauşescu ha cancellato la memoria nella brutalità delle demolizioni urbane; poi la speranza democratica nella seduzione consumista dei grattacieli nell’apparenza di poter diventare una capitale senza troppe invidie. Ma l’Europa è lontana da qui, se non nei progetti di sviluppo col fregio della bandierina di dodici stelle: un’entità inseguita come un sogno riparatore, un ombrello d’opportunità che consenta l’abbandono d’un aratro per un trattore, d’una trazzera per una strada, d’una Dacia per una Mercedes…

Non è facile sognare a Bucarest quando si è costretti a saltare un pasto o a sperare nella lotteria di fine anno per vincere una TV; per noi questi sono problemi da terzo mondo, un terzo mondo che non consideriamo europeo perché conosciuto distrattamente dal racconto di una badante rumena. Per questa ragione ci si sente come conquistatori di terre, acquirenti d’un paese di balocchi facili, tra locali ed alberghi cinque di stelle a buon mercato. Ma quello è un mondo falsato, una Hollywood per stranieri in pieno vizio. La Bucarest dei rumeni la si scopre al “Club A”, dove si combatteva il comunismo con la protesta della musica, oppure percorrendo piaţa Universităţii (piazza Università) o la storica piaţa Revoluţiei (piazza della Rivoluzione) dove si animò per prima la rabbia anticomunista della capitale: qui oltre alle lapidi dell’89 si apprezza la dignità sobria del cittadino comune, l’eleganza di abiti da quattro soldi che contrastano con l’esuberanza di pochi arricchiti, gli odiati “ex” che nelle oscure spartizioni della finanza postcomunista hanno afferrato un vitalizio d’impunità. Così si guarda con sospetto il doppiopetto di un ministro che varca la soglia dell’edificio più grande del mondo dopo l’immenso complesso del Pentagono: il Palatul Parlamentului (Palazzo del Parlamento), vanto grottesco d’una trasformazione ignobile del passato col presente; per questa ragione nella comunanza latina d’una lingua troppo simile e d’un presente a noi familiare, i destini d’una costola di mondo che umanamente ci sconvolge, sembrano avvolgerci nell’angoscioso abbraccio d’un futuro incerto.

domenica 4 settembre 2011

Peschi in fiore, “Souvenir de Mauve” – Vincent Van Gogh




3/5/2000

Se sia la confusione stessa… il richiamo di mille grida fracassate al sole di sgargianti bagliori: rami d’un’indefinito albero nella parvenza di realtà effimere.

Se siano le nuvole, il cielo aperto o la selezione tonale delle ombre… questo confuso souvenir di luce, assurge a divenire l’essenza stessa della mia arte.

mercoledì 31 agosto 2011

L'anomalia della normalità

Facciamo un piccolo test? Vi chiedo di radunare mentalmente tutte le persone che conoscete: amici, parenti, colleghi ecc. Di tutte queste persone quante, secondo voi, potete considerarle individui equilibrati, esenti cioè da stranezze, ragionamenti o comportamenti fuori luogo? Personalmente ne ho contati una decina, su un numero enormemente maggiore di persone che più o meno conosco. La mia risposta sicuramente si avvicina a quella vostra, se vi concentrate e scremate tutti i conoscenti vi accorgerete che il numero di coloro che potete "salvare" è davvero esiguo. Ed è a questo punto scatta la mia domanda: ma è normale tutto ciò? E' normale cioè riscontrare che la maggioranza delle persone che conosciamo possiede uno o più elementi che rendono l'individuo non perfettamente equilibrato?

In effetti quasi tutti gli individui mostrano qualcosa, nel loro carattere o nel loro comportamento, che non riusciamo assolutamente a comprendere: come se la loro "logica" fosse qualcosa di arcano. Quante volte vi è capitato di dire nei confronti di un uomo o di una donna: "inutile provare a capirci qualcosa, tanto non c'è una logica" oppure si tende a concludere superficialmente un discorso dicendo: "...tanto non è normale" e persino: "è fuori di testa".
Queste affermazioni a mio avviso nascono non solo dalla difficoltà di interpretare l'altro, ma da qualcosa di ben più profondo. Come tutti sappiamo molti dei nostri gesti provengono da impulsi dell'inconscio, da stimoli e necessità che dettano il passo alle nostre scelte razionali. L'assenza di certezze nella vita ad esempio potrebbe indurre una persona a legarsi morbosamente a qualcuno oppure ad amplificare questo comportamento nel tempo. Indubbiamente ad ogni comportamento "bizzarro" c'è una ragione interiore, ma certamente stupisce l'enorme quantità di comportamenti "strani" nelle persone che conosciamo.

I casi tipici che si riscontrano con assoluta frequenza sono i cambi repentini di decisione e di opinione, oppure la tendenza a giustificarsi anche laddove non vi è alcun appiglio. Seguono gli individui "indipendenti", quelli senza regola o orario, che considerano cioè solo se stessi e non gli altri. Poi gli egoisti, che antenpongono il proprio ego al resto delle persone, oppure gli iperapprensivi o di converso gli incoscienti... Queste particolarità comportamentali producono inevitabili contrasti tra le persone: chi è preciso odierà un "senza regole", un apprensivo si scontrerà con un incosciente o semplicemente con una persona che non bada troppo a determinate cose e via discorrendo. Sicché in una società che possiamo tranquillamente considerare affetta da vari disturbi psicologici, i pochi individui "sani" si trovano spiazzati, e la loro esistenza è assolutamente complicata. Infatti per riuscire a mantenere il passo con gli altri si è costretti a modificare (in parte) se stessi e divenire ciò che non si è e non si vorrebbe essere.
Così ho imparato a mie spese (non perché mi consideri meno "strano" degli altri) a non prendere certe affermazioni sul serio, oppure a non considerare gli appuntamenti con precisione. Spesso sono costretto a valutare le promesse di certe persone sicuramente disattese. Si aggiungano poi le "dimenticanze" che nascondono in realtà un cambio di opinione, e le risposte dubbie che fin troppo spesso rappresentano l'anticamera di una risposta negativa. 

In una quotidianità dominata da tali atteggiamenti ovviamente anche i rapporti interpersonali vengono messi alla prova. Il più delle volte è sufficiente "sintonizzare" il proprio comportamento con quello altrui, cercando di non forzare mai la mano su certi modi di fare: pena sentirsi additati d'essere persone rigide e intolleranti. L'equilibrio e la giusta ponderazione in ogni atto della vita è sicuramente assai difficile da riscontrare, e forse è per questa ragione che considero un'anomalia rapportarsi ad individui "normali", con idee, comportamenti e rapporti interpersonali impeccabili.

venerdì 26 agosto 2011

Le origini dell'astronomia

Stonehenge

 Sin dagli albori della civiltà l’uomo ha sentito l’esigenza di conoscere il mondo circostante e di comprenderne i processi che lo regolano; la conoscenza dei moti del sole, della luna, e dei pianeti ha destato particolare interesse sia per approfondire primitive convinzioni astrologico-rituali, sia per determinate il calendario e prevedere eventi astronomici quali eclissi ed equinozi.

Secondo alcuni studiosi la costellazione dell’Orsa Maggiore era già nota agli uomini vissuti 40-50.000 anni fa: lo dimostra l’esistenza di un culto legato ad essa. Le costellazioni infatti sono il primo riferimento nel cielo, con cui l’uomo ha unito scienza e mitologia. Questo antico legame è anche testimoniato dalle costruzioni megalitiche come il famosissimo monumento di Stonehenge, e le molteplici costruzioni sparse in tutto il mondo. La maggior parte di esse mostrano precisi allineamenti in base a determinati periodi dell’anno come gli equinozi e i solstizi, o persino la capacità di prevedere la posizione delle eclissi, svelando uno stupefacente grado di precisione. L’astronomia quindi fa parte dell’uomo, essa è la scienza con cui ha cercato la sua collocazione nell’Universo.

mercoledì 24 agosto 2011

Tallin


Cambia ogni consuetudine quando si giunge a Tallinn, poiché da una capitale ci si aspetta il fasto grandioso di monumenti ed edifici, piazze e viali a perdifiato; invece si resta abbagliati dal contrario, dal fascino discreto delle piccole distanze e dal raccoglimento di case e rioni: d’altronde da una nazione che conta poco più d’un milione d’abitanti, tutto diviene per forza di cose a misura d’uomo… Per questa ragione la città è riuscita sin da subito a scrollarsi il fardello di un’odiata dominazione sovietica, che a parte in un’etnia parzialmente integrata, s’imprime nella seconda lingua conosciuta e rinnegata da un po’ tutti gli estoni. Per questo motivo grazie ad una nuova giovinezza avara di libertà politiche ed economiche, la nazione baltica ha sviluppato su Internet un modello avanzato di democrazia e sviluppo.

Nella comunione tra un florido passato e un nuovo presente, emerge tra le stradine e le molteplici piazze medievali una continuità con le sue origini, laddove si commerciano oggi come ieri pelli ed ambre, vetri e tessuti di lavorazione artigiana. Così nell’invito di sorridenti dame, paggi e menestrelli in vena di musicar ballate, appare doveroso sostare presso la locanda “Olde Hansa”; immersi nell’oscurità di candele, preferiamo scegliere un menù di cacciagione: cervo affogato in cavolo acido, filetto al saccottino di spezie e stufato di maiale, necessariamente accompagnato da pane nero e vino della casa. Poi dopo un buon pranzo, si riprende il cammino verso la collina di Toompea, da cui s’affaccia un lembo di Baltico che in appena due ore di navigazione ci conduce in Finlandia.

A Tallinn è facile confondere la sede del Parlamento con quella d’un anonimo condominio nobiliare, la residenza del primo ministro con la dimora d’un borghese benestante; una sobrietà che rifugge persino lo sfoggio abituale dei piantoni al palazzo del Governo, o al rito solenne del cambio della guardia. Forse è nella mitezza estone la chiave per comprendere l’apparente distanza dai traumi del terrorismo atta ad evitare asfissianti controlli alla dogana. Si vive bene a Tallinn, coccolati da una luce estiva che concede lo stravolgimento di tramonti a mezzanotte e un cielo che fatica a mostrare le stelle anche nelle ore piccole della notte; una luce che stravolge i ritmi di vita persino in inverno, quando si capovolge la prospettiva, concedendo poche ore d’azzurro e molte di buio; un cielo cangiante che regala stagioni alterne di sole ed inverni di neve: atmosfere che vorremmo vivere alle nostre latitudini (specie per le feste decembrine) come un grande abbraccio bianco. Per questo motivo ci si consola bevendo un sorso di Vana Tallinn o una vodka senza ghiaccio, per riscaldare lo spirito d’una serata in un pub alla moda o in una discoteca, distratti da sensuali “Barbie” in minigonna. Le donne appunto, famose per la nordica beltà di biondi crini e occhi chiari, conquistano il cuore dei viaggiatori e a volte frantumano le certezze nello sbandamento d’uno sguardo di ghiaccio.

E dunque dall’estremo lembo sud d’Europa all’estremo nord, le prospettive, i climi e le genti, lasciano intendere quanto sia diversa e persino uguale l’appartenenza al medesimo continente.

lunedì 22 agosto 2011

Ramo della Senna vicino a Giverny – Claude Monet


25/4/2000
Placida, come di foglia azzurra o come il sereno dormire della Senna al meriggio. Vapori di fugace dimenticanza limitano il tempo dei sospinti sapori campestri; la distanza non ha realtà percepibile, e nella assente monotonia d’un soggetto monòcromo, dimentico il mondo reale; quasi a scoprire che tutto termina nell’eterea prospettiva d’un quadro.

mercoledì 17 agosto 2011

Un'apatia che uccide ogni mutamento

Ho un sassolino a togliermi. Me lo tolgo raccontando una vicenda che da un lato mi ha infastidito e dall'altro mi ha aperto gli occhi sul nostro modo di essere siracusani.
Anni fa facevo parte di un'associazione su cui riponevo grandi speranze, non solo perché in essa portavo avanti la mia passione, ma soprattutto perché la consideravo come il miglior mezzo per diffondere la conoscenza e la bellezza. In un'associazione piccola si fa presto ad avere un ruolo attivo, si è in pochi e inevitabilmente si tocca con mano i vari aspetti organizzativi: i rapporti con le altre associazioni, quelli con i soci, quelli con la pubblica amministrazione ecc. È un'ottima esperienza che permette di scoprire come gira il mondo...

Dopo anni di impegno e passione era arrivato il mio momento, venni eletto presidente e affiancato da un amico che come me desiderava imprimere una spinta in avanti all'associazione e alla città. Lui palermitano di nascita e di cultura, aveva nel sangue una natura ancor più attiva della mia; resomi conto che il mio cauto approccio alle novità era solo un preconcetto culturale, decisi di affidarmi al suo istinto. Grazie a lui ho imparato che quando si vuole fare qualcosa di importante bisogna rischiare anche una brutta figura, l'importante è che essa sia a fin di bene.
Così iniziammo un'opera di attivismo e di apporto continuo di idee e novità in associazione. Le riunioni di direttivo divennero frequenti, le decisioni incalzavano, le attività si moltiplicavano e ovviamente la pressione sui soci aumentava. Il concetto di base era quello che: più ti mostri attivo e con attività interessanti, e più attiri interesse verso nuovi soci, ma soprattutto divieni pian piano un'istituzione in città. Iniziarono quindi gli articoli sui giornali che pubblicizzavano le nostre attività, un aggiornamento costante del sito web, le newsletter ai soci. Insomma la macchina organizzativa si muoveva a pieno ritmo.

Ma tutto quell'attivismo non ebbe un riscontro immediato. La pubblicità ci rese famosi ma non incrementò il numero degli interessati, al più dovrei dire che avvicinò coloro che si erano allontanati negli anni passati. Il rovescio della medaglia era però sul fronte interno. L'attivismo non piaceva. Ci si lamentava delle troppe iniziative, dell'uso delle email (considerato un'innaturale sostituto agli incontri reali), ma anche una critica sullo snaturamento dell'associazione troppo incline alla divulgazione e poco alle finalità culturali interne. Si aggiunga poi una ritrosia a portare a compimento semplici compiti: fare delle fotocopie, aggiornare una pagina web, portare del materiale durante le attività pubbliche, venire puntuali alle riunioni, ed essere proattivi quando interpellati. Mano a mano che si andava avanti le resistenze interne aumentavano, come se la nostra voglia di fare ci lasciasse dietro tutti quanti.
Così a malincuore optammo per un rallentamento delle attività, ma non per questo in un rilassamento. Non tolleravo certe sbavature, certe negligenze con i soci, certe dimenticanze. Le cose per me andavano fatte bene, senza approssimazioni e senza la tentazione di tornare indietro. Un'associazione deve crescere sempre, tendere a un certo grado di serietà al suo interno, se l'organizzazione è approssimativa, salta tutto il lavoro costruito nel tempo.

Il mandato di due anni divenne estenuante e complesso, non solo perché si aveva la sensazione d'essere da soli: non era facile avere l'appoggio degli altri e spesso si era costretti a fare anche il compito del segretario, del tesoriere o del webmaster. Tutto in fondo ricadeva sulle spalle del presidente e in pochissimi comprendevano il valore dell'impegno profuso. Sicché al termine del mandato capii che la cosa più saggia era quella di non ripresentarmi a nuove elezioni, di uscire dai ruoli attivi, allentando così quella tensione che nel frattempo era sorta tra di noi. Così ho assunto controvoglia un ruolo passivo (avrei voluto uscirmene subito ma le circostanze me lo impedivano). Col cambio di presidenza le buone abitudini acquisite si persero: i ruoli dei consiglieri non vennero più affidati con oculatezza, le attività diminuirono, l'ordinario tornò ad essere svolto con poca attenzione ecc. Ma questo cambio di marcia non sortì grandi effetti, i soci (non tutti ovviamente) non notarono grandi cambiamenti (in fondo per loro pareva tutto immutato), e i nuovi iscritti mantennero quella bassa frequenza di sempre.
Oggi che non faccio più parte di essa riscontro un mantenimento delle attività ordinarie, ma con la differenza che esse vengono svolte con la sensazione rilassata di sempre. Qualcuno spunta e qualcuno va, senza tuttavia vedere all'orizzonte grandi prospettive, grandi sogni.

Da questa storia ho imparato una cosa fondamentale. Il siracusano, e forse il siciliano in genere, è una persona che si accontenta, che non guarda avanti, al più guarda al presente. Non c'è e non pretende una prospettiva futura, una mission, un sogno concreto. Per lui è sufficiente avere quel poco che gli è concesso, tutto il resto è superfluo, e persino invadente se comporta un suo impegno personale. Il mondo di cui si attornia è piccolo e mediocre, ridotto a uno svago sincero, ma ristretto. Da qui la considerazione che un'associazione, per quanto piccola e composta da una sola tipologia di soci, possa in fondo rappresentare il campione di una società apatica. Da qui si comprende l'accettazione della moltitudine di cittadini delle bieche abitudini: l'assenza di servizi pubblici, l'assenza di regole per strada, l'inciviltà, l'incuria, ma soprattutto quella disarmante abitudine a fare sempre le stesse cose accontentandosi di una inguaribile monotonia. Sicché immagino le reazioni ai possibili mutamenti che un sindaco illuminato potrebbe apportare alla sua comunità: autobus efficienti scontenterebbero coloro che sono abituati a prendere l'autobus calcolandone un fisiologico ritardo, le multe e l'ordine imposto al traffico, anche se smaltirebbero la confusione, richiamerebbero ondate di proteste contro l'ipotetico "sindaco sceriffo", per non parlare di cosa potrebbe avvenire se si multassero le persone perché gettano le carte per terra o perché sporcano... L'assenza di regole, la negligenza e l'apatia (immaginate l'apertura di locali notturni che animino di giovani la città? Apriti cielo!) sono il giusto equilibrio di chi vive la vita fuori dal cambiamento, ma soprattutto fuori dalla voglia di migliorare.

Paradossalmente potrei dire che ho compreso come la gente mostri chiaramente di desiderare che tutto resti per come è oggi: apaticamente rassicurante.

martedì 16 agosto 2011

Isaac Newton



Nacque il 25 dicembre 1642, presso il borgo di Woolsthorpe a sud di Grantham una città vicino Nottingam; da Isaac Newton e Hannah Ayscough. Il padre morì tre mesi prima della sua nascita a soli 37 anni.

Isaac nacque prematuro, piccolo e gracile. La madre due anni più tardi si risposò con il reverendo Barnabas Smith, rettore di una parrocchia a due chilometri da Woolsthorpe. Così il piccolo Newton fu affidato alla nonna materna e allo zio, la madre Hannah andò ad abitare col nuovo marito.

A 12 anni Isaac frequentò la scuola superiore di Grantham alloggiando presso una famiglia di farmacisti, i Clark, cominciando i primi studi di chimica e leggendo nella soffitta molti libri. A scuola gracile come era, spesso si allontanava dagli altri ragazzi che lo prendevano in giro per il suo fisico, e spesso stava in disparte a meditare. Aveva anche una passione per i giocattoli meccanici che inventava e costruiva lui stesso. Questa passione lo occupava tanto che spesso tralasciava gli studi, riprendendoli alcuni mesi dopo, rimettendosi allo stesso livello dei compagni nello stupore dei maestri. Inventò anche un orologio ad acqua che sfruttando il dislivello tra due recipienti consentiva di leggere l'ora su un galleggiante alimentato dal serbatoio superiore. In quegli anni fece molte altre esperienze, costruì un aquilone con il quale vi attaccava una lanterna per terrorizzare i contadini, osservava il moto delle ombre sui muri e in pochi anni costruì un quadrante solare.

Nel 1656 morì anche il secondo marito di Hannah, la quale rimasta sola volle Isaac con sé nella vecchia casa di Woolsthorpe. Così a 16 anni ma la madre lo indirizzò al lavoro nelle terre di famiglia, al bestiame e ai raccolti; ma pur con tutta la buona volontà Isaac non ne era predisposto, tanto da lavorare male e disinteressatamente, pensando solo ai suoi libri e ai suoi complicati meccanismi. Così, consigliata da Mr Stokes direttore della scuola superiore di Grantham, decise di fargli proseguire gli studi per prepararlo all'ammissione all'università. Newton quindi ritornò presso i Clarke per studiare.

Nel 1660 a 18 anni passò l'esame di ammissione al Trinity College di Cambridge. Iniziò a studiare tutte le materie come: la matematica e la geometria per la quale lesse gli Elementi di Euclide accantonandoli poco dopo e trovandoli eccessivamente facili. Preferì quindi dedicarsi alla lettura della Geometria di Descartes.

All'università il suo professore Isaac Barrow, gli diede le prime nozioni di matematica. Fu particolarmente attratto dalle lezioni matematico-geometriche di Descartes detto Cartesio, il quale a quel tempo aveva appena scoperto le applicazioni delle equazioni algebriche alle curve, e a superfici di geometria classica. Apprese anche tutte le nuove tecniche di calcolo algebrico e trigonometrico, conoscenze importanti per le sue future scoperte.

Nel gennaio 1665 Newton si laureò. Ma la peste che per parecchi anni fece stragi in Europa arrivando anche in Inghilterra, e per questa ragione l'università fu chiusa; così tornò nella casa di Woolsthorpe ove trascorse due anni meditando e lavorando a nuove idee. Questi due anni furono i più fecondi per lui, infatti, compì numerosi studi e scoprì molte applicazioni matematiche come: un metodo generale per risolvere le proprietà delle linee curve e delle aree ad essi delimitate, nonché la formula del teorema del binomio per la somma di due termini elevati a potenza frazionaria positiva o negativa. Importante è senza dubbio la scoperta del calcolo delle flussioni ossia il calcolo differenziale e integrale. Questa scoperta apparve nella sua prima monografia il 20 maggio 1665, un'importante data, perché da allora iniziò una lunga controversia con Leibniz (1646-1716) sulla potestà della scoperta. Newton usava spesso iniziare dei lavori e poi accantonarli per diversi anni. E così fece per il metodo delle flussioni, riprese le stesse formule quando Leibniz, un grande filo-sofo e matematico tedesco, scoprì appunto questo metodo indubbiamente migliorato rispetto a quello che presentava Newton. Lo scontro fu molto duro, tra i due non correva buon sangue e per anni i loro allievi difendevano l'uno o l'altro maestro. Newton e Leibniz infatti non si riconciliarono mai proprio per questa controversia. Resta da dire che di chiunque sia la paternità della scoperta rimane sempre un notevole passo in avanti dal punto di vista matematico. Parte proprio da questo secolo la base per lo sviluppo della moderna matematica.

Il telescopio newtoniano
Il biennio 1665-66 come ho già detto, fu per Newton un periodo particolarmente fecondo, oltre alle suddette scoperte c'é da annoverare i suoi studi sull'ottica e sulla luce. In quegli anni iniziò l'interesse per i telescopi, appena inventati da Galileo nel 1616 e successivamente perfezionati da Huygens e Descartes. I primi telescopi risalgono proprio a quel secolo in cui era evidente il difetto dell'aberrazione cromatica per tutte le ottiche a rifrazione, comportando diversi fuochi per ogni colore dello spettro. Newton allora dopo essersi per lungo tempo dedicato al taglio e alla costruzione di lenti per telescopi, abbandonò gli esperimenti per dedicarsi allo studio dei telescopi riflettori, che esistevano già prima dello scienziato. I primi passi infatti erano cominciati con James Gregory, il quale aveva pensato già a uno specchio concavo per raccogliere la luce e mandarla a uno specchio secondario. Ma dei suoi studi non realizzò nulla. Invece Cassegrain nel 1668 realizzò la celebre configurazione ottica, da ciò Newton pensò di costruire un telescopio sullo stesso principio, ma con uno specchio secondario inclinato a 45° in modo da spostare il fuoco al lato del tubo. Da allora è nato il moderno telescopio Newtoniano che risolve molti problemi ottici e agevola la raccolta della debole luce delle stelle. La costruzione del primo modello avvenne un anno dopo, avendo studiato e lavorato lui stesso allo specchio nei suoi laboratori. In una lettera del 23 febbraio 1669 scriveva:« ...penso che sia più di quanto possa fare qualsiasi cannocchiale da sei piedi - aggiungendo - Ma, tenendo conto del cattivo materiale adoperato e della mancanza di una buona levigazione, esso non rappresenta gli oggetti altrettanto distintamente di un cannocchiale da sei piedi. Darà tuttavia la possibilità di fare altrettante scoperte che un cannocchiale di tre o quattro piedi, soprattutto trattandosi di oggetti luminosi. Con questo strumento ho visto distintamente il disco di Giove, i suoi satelliti e la falce di Venere». Infine quasi sconsolato concludeva: «Sono persuaso che un cannocchiale normale, anche se costruito con una lente purissima, perfettamente levigata, secondo la migliore forma fino a oggi calcolata, o calcolabile in futuro, da un qualsiasi scienziato potrà essere di poco superiore a un cannocchiale meno perfetto della stessa lunghezza. E benché questa affermazione possa sembrare paradossale, non è che la naturale conseguenza di un certo numero di esperimenti da me fatti, relativi alla natura della luce».

L'11 febbraio 1671 Newton presentava il suo nuovo modello di telescopio ai soci della Royal Society. La società nacque ufficialmente il 15 luglio 1662 e composta inizialmente da cinquantadue soci. Così alla presentazione del telescopio il giovane Newton, con tutte le carte in regola, entrò ufficialmente nella nuova associazione. Huygens (1629-1695) ebbe l'incarico di assicurare e proteggere i diritti di proprietà del telescopio, in previsione della presentazione ufficiale nel continente.
Interessante è una lettera di Huygens a Oldenburg segretario della Royal Society del 1° gennaio 1672: «Mi faccio premura di spiegarle l'invenzione del nuovo telescopio del signor Isaac Newton, professore di matematica a Cambridge. Tutto quello che posso dirle per ora è che dal primo esperimento da noi esaminato risulta che, confrontando le due immagini, l'oggetto rappresentato dal telescopio di circa 6 pollici, è 9 volte più grande di quello rappresentato da un normale telescopio di 25 pollici. L'operazione avviene mediante due riflessioni, la prima riflette l'oggetto da un concavo metalinizzato ad uno specchio piano pure metalinizzato, l'altra da questo specchio ad una piccola lente oculare piano convessa che rinvia l'oggetto all'occhio rappresentandolo senza alcun colore e molto distintamente in tutte le sue parti.» Il 15 gennaio: «Le saremo grati se vorrà inviarci la sua opinione. Con un simile telescopio probabilmente non sarà facile trovare nè gli oggetti nè una sostanza riflettente che possa conservarsi nitida. Riteniamo però di poter trovare degli espedienti per ambedue i casi.»

Nei famosi anni di pausa Newton oltre ai suddetti esperimenti iniziò i suoi studi sull'ottica che ben presto sfociarono nel telescopio a riflessione e che continuarono nel 1669 con esperimenti sulla luce; agevolati dal fatto che il suo grande maestro Isaac Barrow abbandonò la cattedra di Cambridge per cederla successivamente al suo allievo. Così facendo Newton aveva la sicura rendita economica e poteva tranquillamente dedicarsi ai suoi studi; infatti doveva tenere un corso settimanale, più due lezioni per altri studenti, potendosi gestire gli argomenti da trattare tra fisica e matematica. Inoltre per gratitudine nei confronti della Royal Society che lo aveva associato, presentò una monografia sui suoi esperimenti della luce, i Philosophical Transactions; l'opera, indubbiamente un passo importante nella storia della fisica moderna oltre ad essere un valido testo di ottica, ebbe una grande risonanza sui contemporanei di Newton. La Royal Society così decise di ringraziare solennemente Newton con la pubblicazione. Per regolamento interno una commissione della Society doveva giudicarne il valore, Robert Hooke (1635-1702) era uno di quelli, il quale con tono critico, non condivise molte teorie. Hooke non era convinto della scomposizione dei colori da parte della luce bianca, nonché della teoria sul fenomeno dei colori. Anche Huygens lesse l'opera e criticò la teoria corpuscolare che Newton sosteneva, egli infatti era propenso per la teoria ondulatoria della luce. Ma Huygens non aveva inteso profondamente il senso dei suoi esperimenti e in alcuni casi gettò critiche eccessive, tanto che Newton dichiarò che Huygens fosse incapace di giudicare la sua opera. Le altre critiche ricevute successivamente da altri scienziati lo fecero decidere di abbandonare la carriera di scienziato. Ma le critiche non finivano solo lì, perché anche Hooke si mise contro. Egli era un importante scienziato dell'epoca, fece molte osservazioni col microscopio di sua invenzione, pubblicando Micrographia. In effetti conosceva bene l'ottica e i princìpi delle combinazioni tra lenti, sostenendo la teoria ondulatoria della luce.
Forse chi aumentò molto la controversia tra Hooke e Newton fu Oldenburg acerrimo nemico del primo, il quale difese Newton accentuado la controversia. E Newton per far capire il senso vero di ciò che affermava nel trattato, scrisse molte lettere a Hooke chiarendo il vago senso delle parole. Nel 1675 scrisse alla Royal Society un manoscritto Ipotesi per spiegare le proprietà della luce, parlando degli esperimenti condotti sui colori prodotti da lamine sottili. Ma Hooke rivendicò la sua priorità della scoperta citata anche nella Micrographia. Da allora Newton non mandò più nulla alla Society. Solo nel 1704 un anno dopo la morte di Hooke pubblicò il Trattato d'ottica sulle riflessioni, rifrazioni e colori della luce. Poi nel 1717 aggiunse nella seconda edizione dell'Ottica trentuno questioni sulla luce. Indubbiamente un libro che aprì molte porte a nuove conoscenze e teorie sulla natura della luce, nonché sulla fisica delle lenti.

Ma le scoperte e le discordie non finiscono qui, infatti anche per quanto riguarda la scoperta della gravitazione universale già da anni iniziavano i dibattiti sulla natura del movimento e di tutta la meccanica celeste. Dopo le tre famose leggi sul movimento dei corpi celesti di Keplero. Sarà Newton a dare certezza matematica anche se da tempo si affermava la medesima cosa ma in maniera empirica. Perché Gassendi credeva che la gravità fosse creata dall'attrazione della Terra. Nonché Hooke, diceva che esisteva una forza gravitazionale decrescente all'aumentare della distanza del pianeta dal Sole.
Nel famoso biennio 1665-66 inizia la prima idea della gravitazione: «Ero allora all'apice della forza creatrice, e non provai mai più una tale passione per la filosofia». Fu poi Voltaire a rendere famoso quel racconto sulla scoperta della gravitazione, ovvero la caduta di una mela dall'albero con la quale suppose l'origine del fenomeno della gravità.

Una volta assimilata la convinzione che la gravità ha certe caratteristiche, Newton cercò di trovarne una formula matematica per spiegare il fenomeno. Il suo ragionamento partì dalle leggi di Keplero, che affermando come un corpo ruoti attorno al sole in orbite ellittiche, ne deduce che ciò debba avvenire con un equilibrio di forze; una centripeta e l'altra centrifuga. Ma poiché non riusciva a calcolare la forza centrifuga di un ellisse paragonò l'orbita a un cerchio, calcolò così la forza e capì che è inversamente proporzionale al quadrato della distanza: aveva scoperto la legge di gravitazione universale e senza rendersi conto dell'importanza la accantonò per anni.

In questo periodo tutti sapevano che Newton aveva abbandonato gli studi della filosofia e precisamente dopo la polemica con Hooke riguardo il suo trattato di ottica. Sembrava anche che tra i due le acque si fossero calmate, quando Hooke che allora era diventato segretario della Royal Society chiese a Newton alcuni commenti riguardo persone esperte che potessero misurare la differenza di latitudine tra Londra e Cambridge. Egli rispose di non conoscerne e di non dedicarsi più alla filosofia. Ma in realtà Newton aveva appena deciso di riprendere le idee sulla gravitazione, ma non voleva comunicarle a nessuno. Fu Halley (1656-1742) membro anch'egli della Society il quale non era del tutto daccordo con le idee di Hooke, che andò a trovare Newton per sapere di più sui suoi studi precedenti riguardo la gravitazione. Newton diede delle sue ipotesi che piacquero tanto a Halley da convincerlo a pubblicare un opera, il De Motu corporum, parlando dei tanti problemi riguardo il movimento dei pianeti. Ma solo nel 1687 Newton si convinse a scrivere la sua più grande opera, Philosophiae naturalis Principia mathematica. L'opera è composta di tre libri. Il primo libro inizia riportando definizioni o leggi sul movimento.           

IV Definizione: La forza impressa è l'azione mediante la quale lo stato del corpo si cambia, sia che si tratti di stato di riposo sia di movimento rettilineo uniforme.

V Definizione: Si chiama forza centripeta quella forza che fa tendere i corpi verso un punto determinato, per esempio verso un centro, sia che siano attratti o spinti verso questo punto o che vi tendano in un modo qualunque. Un proiettile non ricadrebbe verso terra se non fosse mosso dalla forza di gravità, ma se ne andrebbe in linea retta verso i cieli con un movimento uniforme, se la resistenza dell'aria fosse nulla. E' dunque la gravità che lo devia dalla linea retta e che lo flette continuamente verso la terra. La traiettoria si flette più o meno, asseconda della gravità e delle velocità del movimento del proiettile. Per la stessa ragione di un proiettile che girasse attorno alla terra per la forza di gravità, anche la Luna per la sua forza di gravità (supposto che essa graviti) o per qualsiasi altra forza che la porti verso terra, potrebbe essere deviata a ogni istante dalla linea retta per avvicinarsi alla terra ed essere costretta a muoversi secondo una linea curva, e senza tale forza non potrebbe essere trattenuta nella sua orbita.
Il libro prosegue enunciato le tre leggi generali del moto. La legge d'inerzia: Ogni corpo persevera nello stato di riposo o di moto in linea retta uniforme nel quale si trova, a meno che qualche forza non agisca su di esso e non costringa a cambiare stato.
La legge della forza: La forza è uguale al prodotto della sua massa per l'accelerazione impressagli.
La legge di azione e reazione: L'azione è sempre uguale ed opposta alla reazione: vale a dire che le azioni dei due corpi, l'uno sull'altro, sono sempre uguali e in direzioni contrarie.



Il secondo libro parla del moto dei corpi, accenna alla teoria della resistenza dei fluidi, parla delle resistenze opposte dall'aria con i pendoli e la traiettoria di un proiettile. Sviluppa considerazioni sulla velocità di propagazione delle onde, sulla natura corpuscolare della luce e studi di idrodinamica e idrostatica.

Nel terzo libro Newton parla del sistema del mondo, del movimento dei pianeti, e confermando le leggi di Keplero, calcola la massa del sole, determina la densità con un errore del 10%. Parla della precessione degli equinozi come un moto di 26000 anni. Spiega in maniera definitiva la teoria delle maree come moto causato dall'attrazione della luna e del sole, descrive il moto delle comete come parabole attorno al sole. E conclude il libro con quattro importanti affermazioni e consigli che uno scienziato deve tenere in considerazione:
  1. Bisogna ammettere soltanto le cause necessarie per spiegare i Fenomeni.
  2. Gli effetti dello stesso genere devono sempre essere attribuiti, per quanto è possibile, alla stessa causa.
  3. La qualità dei corpi non suscettibili di aumento o di diminuzione e appartenenti a tutti i corpi sui quali si possono fare degli esperimenti, devono essere considerate come appartenenti a tutti i corpi in generale.
  4. Nella Filosofia sperimentale le proporzioni, tratte dai fenomeni per induzione, devono essere considerate, malgrado le ipotesi contrarie, come esatte o quasi vere, fino a che qualche altro feno-meno confermi la loro veridicità o dimostri che sono soggette a eccezioni.
I Principia furono pubblicati da Halley che curò i rapporti con l'editore. Il 23 maggio 1686 scrisse: «I membri della Royal Society, ai quali il dottor Vincent presentò il 28 scorso l'incomparabile trattato Philosophiae naturalis Principia mathematica da lei scritto e a loro dedicato, furono talmente sensibili a questo onore che si sono affrettati a rivolgerle i loro calorosi ringraziamenti, decidendo inoltre di convocare un consiglio per deliberare la pubblicazione dell'opera. Ma data l'assenza del presidente, in servizio presso il re, e dei vice presidenti che il bel tempo aveva allontanato dalla città, il consiglio non si è ancora riunito per prendere le decisioni necessarie.[...] La devo inoltre informare che il signor Hooke pretende di essere l'autore della scoperta della legge della gravità decrescente, inversamente proporzionale al quadrato delle distanze dal centro. Afferma che Ella gli è debitore dell'idea, benché riconosca che la conseguente dimostrazione delle curve è opera sua. Ella sa come stanno le cose esattamente, e come bisogna affrontare il problema, ma sembra che il signor Hooke pensi che nella prefazione, qualora Ella abbia l'intenzione di scriverla, debba essere citato il suo nome. Voglia perdonarmi se le dico tutto ciò, ma ritengo mio dovere informanla, perchè possa agire di conseguenza. Sono persuaso infatti che dalla parte di una persona che non ha certo bisogno di usurpare la fama altrui, non ci si possa aspettare che la più completa sincerità. La pubblicazione inizierà non appena Ella mi avrà fatto conoscere le sue decisioni, perciò la prego ancora una volta di farmele avere il più presto possibile».

Nel 1687, in Inghilterra spirava un periodo di relativo fervore in quanto era cambiato il re, Giacomo II aveva lasciato il posto a Carlo II. Questo complicò le cose per l'università di Cambridge, poiché fu introdotta la legge che vietava l'accesso dei non anglicani alle cariche pubbliche e alle università. Da qui nacque una grave crisi che sfociò in una rivoluzione nel 1688. Newton era ancora intento alla revisione dei Principia, e non si occupava di politica. Ma proprio in quegli anni l'università lo elesse rappresentante al parlamento per sbloccare la situazione e fare gli interessi degli scienziati. Così in questo periodo inizia per lui una fase ove abbandona gli studi scientifici per dedicarsi di più alla teologia, alle discussioni sulla trinità ecc. Tra l'altro conobbe il filosofo Locke con il quale strinse un'intima amicizia. Poi perse anche la madre, fu un duro colpo che lo portò nel 1693 a un periodo di pazzia o eccessivo esaurimento nervoso. Solo con l'affetto dei suoi amici riuscì ad uscire da questa grave crisi.

Il 19 marzo 1696 il suo amico Montague diventato ministro delle finanze lo nominò amministratore generale della zecca. Con questo incarico Newton potè disporre di maggior tempo libero e di un ottimo stipendio, si trasferì a Londra ma conservò il posto all'università. La sua nomina fu davvero essenziale. A quel tempo la moneta inglese era in balìa del caos, perchè era priva di una forgiatura anti falsari. Capitava spesso di contrabbandare monete false e di riprodurle, così per ovviare a questo enorme problema Newton fece coniare le nuove monete, ne rivoluzionò la forma, introdusse la zigrinatura e ammodernizzò la stampa. Questo cambiamento è alla base dell'ordina-mento monetario moderno dell'inghilterra.

Il 10 dicembre 1701 si dimise dalla cattedra dell'università, e il 30 novembre 1703 fu eletto presidente della Royal Society. La carica la conservò sino alla fine. Nei suoi ultimi anni di vita si interessò molto di teologia, scrisse anche delle opere teologiche, e curò l'interpretazione delle Sacre Scritture nelle parti inerenti l'Apocalisse e le profezie di Daniele: «Questa ammirevole disposizione del sole, dei pianeti e delle comete non può essere che l'opera di un essere onnipotente e intelligente. E se ogni stella fissa è il centro di un sistema simile al nostro, è certo che tutto deve essere soggetto a un solo e medesimo Essere, dato che esso porta l'impronta di uno stesso disegno, perchè la luce che si scambiano reciproca-mente il sole e le stelle fisse è della stessa natura, Inoltre colui che ha organizzato questo universo, ha collocato le stelle fisse a una immensa distanza la une dalle altre, per timore che questi globi non cadessero gli uni sugli altri, per la loro forza di gravità. Questo Essere infinito governa tutto, non come anima del mondo, ma come Signore di tutte le cose. E per questo suo dominio, il Signore Iddio si chiama Signore Universale. Perchè la parola Dio è una parola relativa che si riferisce ai suoi servitori; e si deve intendere per divinità colui che possiede la potenza suprema non soltanto sugli esseri materiali, come pensano coloro che considerano Dio unicamente come anima del mondo, ma anche sugli esseri pensanti a lui soggetti. L'altissimo è un essere  infinito, eterno, perfet-tissimo: ma un essere, per quanto perfetto, che non possedesse il dominio, non sarebbe Dio.»

Negli ultimi anni della sua vita Newton si ammalò di polmonite, che gli diede problemi per molti anni finché il 20 marzo 1727 morì a 85 anni. Fu seppellito a Westminster ove nella tomba vi si trova scritto: «Si rallegrino i mortali che sia esistito un tale e così grande onore del genere umano».
         
In vita ricordiamo alcune opere importanti:

1668 Tractatus de quadratura curvarum
1684 Del moto
1687 Philosophiae naturalis Principia mathematica
1704 Ottica: o trattato della riflessione, inflessione e colori della luce
1707 Aritmetica universale
1712 Teoria delle curve di terzo ordine
1736 Metodo delle flussioni e delle serie infinite.
   
Newton segna il passo decisivo nei confronti della separazione netta nata da Galileo, tra scienza dimostrata e filosofia empirica. Il mondo e le sue leggi vanno discusse e dimostrate, egli fece così per tutte le sue scoperte, vedi la gravitazione e le infinite applicazioni della fisica. Egli fu l'ultimo grande uomo che riuscì a scoprire e studiare in diversi campi. Da allora la scienza è progredita così tanto che un uomo non può avere tali conoscenze specifiche in materie diverse. Alla base della meccanica celeste e della fisica classica c'é Newton. Grazie alla sua genialità nacque il telescopio Newtoniano, e sempre grazie a lui il mondo conosce le tre leggi del moto, altre dell'ottica dell'idrodinamica della fisica e anche della filosofia. Newton è un mondo da scoprire, un universo da esplorare, colui che genialmente ha rivoluzionato il sapere del 600. Non fu un grande astronomo, ma diede un enorme contributo all'astronomia non solo con la legge universale!